di Gianna De Santis

Due anni prima di lasciare le gare, l’atleta bolzanina proverà a portare a casa un oro mondiale e una medaglia olimpica

Il fisico minuto e un viso dolce potrebbero trarre in inganno lo spettatore poco attento, perchè quella faccia d’angelo quando sale sul trampolino si trasforma in un guerriero, determinato e grintoso ma che conserva nella sua corazza un’eleganza unica. Tania Cagnotto, la regina dei tuffi figlia d’arte sia da parte di padre Giorgio Cagnotto che di madre Carmen Casteiner, è una che ha saputo, con i consigli giusti, costruirsi la sua strada.

È arrivata in alto (il suo palmares generale conta tra mondiali ed europei senior e giovanili qualcosa come 27 ori, 13 argenti e 10 bronzi, considerando tuffi dal trampolino, dalla piattaforma, individuali e sincro, per non parlare dei 46 titoli italiani), ha messo su un mattoncino per volta, non scoraggiandosi davanti agli infortuni e agli imprevisti della vita.

È caduta e si è rialzata, anche quando magari solo il verdetto dei giudici gli ha negato una medaglia che sarebbe stata più che meritata. Ma non si è mai persa d’animo, è risalita sul trampolino e ha ricominciato da capo. È dura la vita di un atleta di grandi livelli, sacrifici e allenamenti per arrivare però a salire sul gradino più alto del podio, vedersi quell’oro al collo e sentire le note di un inno, del tuo inno, risuonare per l’intera vasca. Sacrifici e difficoltà che ti passano davanti come un film, che scompaiono però in un secondo, perchè la gioia per la vittoria è più grande e immensa.

Essere una figlia d’arte ha più vantaggi o svantaggi?

«Più vantaggi – risponde Tania con la semplicità e la sincerità che l’hanno sempre contraddistinta -. Anche se da piccolina non ero contenta di avere sempre il papà con me che mi controllava – sorride, un sorriso che dice tutto sull’amore che prova per la sua famiglia -, ma se sono arrivata fin qui è sicuramente grazie a lui. Anche se dopo 20 anni che ti alleni insieme alla stessa persona, che in più è tuo padre, si ha bisogno di cambiamenti. Ma in gara il feeling che ho con lui non credo lo avrò mai con nessun altro».

Qual è il consiglio migliore che tuo padre ti ha dato?

«Di continuare finché mi fa piacere farlo».

Come ci si sente ad essere la prima donna italiana ad aver conquistato una medaglia mondiale nei tuffi?

«È una bella sensazione, ti senti un po’ un precursore in un certo senso. Ma i tuffi sono sempre stati la mia passione e prima o poi se ci si impegna a fondo per coronare i propri sogni alla fine può capitare che alle volte questi si realizzino».

Hai vinto tante medaglie a quale ti senti più legata e perchè?

«Ricordo molto volentieri il mio primo oro europeo e il mio primo bronzo mondiale, perché tutte e due erano molto inaspettate».

Al tuo palmares manca una medaglia alle Olimpiadi e un oro mondiale… le mettiamo nel mirino per il 2015 e 2016?

«Bisogna sempre pensare in grande per superare i propri limiti, senza però farsi inutili aspettative. Io punto sempre a dare il massimo per ottenere il miglior risultato possibile. Però mi piace essere anche razionale. Quindi dipende in che stato di forma sarò! Nel mio cammino professionale mi sento anche serena di aver al mio fianco un brand come Arena, che dimostra di essere un partner tecnologicamente avanzato ed affidabile, fornendomi l’attrezzatura di cui ho bisogno per massimizzare il mio rendimento».

Quanto bruciano le due medaglie di “legno” di Londra?

«È stata sicuramente la batosta più grande della mia vita… Sono una ferita ancora non del tutto rimarginata, diciamo così. Speriamo in futuro di poter superare quel ricordo magari ottenendo un risultato migliore».

Quali sono le differenze e le difficoltà di gareggiare da sola e in coppia?

«Da sola sai che dipende tutto da te quindi la tensione è alle stelle. In coppia alle volte no. Instaurare un rapporto di fiducia e rispetto reciproco è molto difficile, ma è ciò che ti permette di ottenere risultati importanti perché fa la differenza».

Con Francesca Dallapè formate una coppia vincente, qual è il segreto? E quanto vi allenate insieme per raggiungere questi traguardi?

«La cosa fondamentale è che siamo amiche. Ci conosciamo troppo bene per mentirci, quindi siamo sempre oneste e sincere tra di noi. Poi siamo tutte e due delle gran lavoratrici e abbiamo un sogno in comune».

Com’è la giornata tipo di Tania Cagnotto? Quali sono le tue passioni e i tuoi hobby?

«Mi alleno due volte al giorno, tra palestra, pesi, tuffi, atletica ecc… poi il tempo libero mi piace passarlo con gli amici e spesso anche solo a godermi casa».

Fuori dalle piscine sei una persona molto impegnata socialmente: campagna sicurezza stradale, lotta al tumore al seno, testimonial per l’Admo – donatori midollo osseo. Dove trovi il tempo e le energie per seguire tutti questi progetti?

«Alle volte durante la stagione sportiva è difficile riuscire a ritagliarsi del tempo. Ma provare a sensibilizzare le persone su veri problemi non è una cosa che mi porta via energia. Anzi quando ti accorgi che il tuo aiuto è riuscito ad avere un effetto positivo anche solo per una piccola parte, è una cosa che ti gratifica e ti dà una carica incredibile».

Pensi mai al ritiro? È un’idea che ti spaventa o la vivi con serenità? Cosa vorresti fare una volta chiusa la tua carriera di tuffatrice?

«Certo che ci penso e tra due anni la mia carriera finirà. Ma non mi preoccupa, anzi non vedo l’ora di fare anche qualcosaltro dopo 25 anni. Fisiologicamente la carriera di ogni sportivo è destinata a concludersi e cosi sarà anche per me. Spero di riuscire ad arrivare a quel momento in maniera serena, soddisfatta di tutto quello che sono riuscita ad ottenere dal mio sport. In futuro non ho ancora deciso dove e cosa farò. Ma mi piacerebbe rimanere nel mondo dei tuffi, questo è certo».

Come è certo che non averla in quel mondo sarebbe una sconfitta per lo sport. Perchè Tania ha tanto da dare agli altri, anche come allenatrice se vorrà seguire le orme paterne. Perchè mai come nel suo caso il motto “Se lotti e persisti, raggiungi e conquisti” è così vero, e lei ha molto da trasmettere e insegnare.

(foto credit: La Presse)