di Alessandro Foglio
Di recente Michale Phelps ha dichiarato di voler intraprendere la carriera da allenatore una volta smesso di nuotare. La domanda è: “si può diventare grandi allenatori dopo essere stati grandi atleti in gioventù?”
Il mondo dello sport in generale dice di sì: nel calcio si sprecano gli ex giocatori ora seduti sulle panchine dei club più grandi del mondo, nel tennis, di recente, i grandi campioni degli anni 80′-90′ hanno affiancato i miglior tennisti del momento (Becker-Djokovic, Edberg-Federer, Lendl-Murray) e anche nella pallanuoto diversi big del passato ora guidano squadre importanti, come il caso di Alessandro Campagna, oro olimpico a Barcellona 92′ e ai Mondiali del 94′ e attuale allenatore del Settebello o il coach della Pro Recco, Amedeo Pomilio, compagno di squadra di Campagna nell’Italia di Rudic che vinse tutto nei primi anni novanta. Ma nel nuoto invece, è possibile confermarsi anche una volta svestiti i panni dell’atleta e indossati quelli dell’allenatore? Forse.
Il caso più eclatante in questo momento è quello di Melanie Marshall: ai meno esperti dirà poco ma, oltre a essere l’allenatrice di Adam Peaty, e aver vinto per questo nel 2014 il premio come allenatrice dell’anno in Gran Bretagna, la Marshall da atleta non era affatto male. Infatti, oltre ad aver preso parte ai Giochi di Atene 2004 è salita sul podio ai Mondiali di Fukuoka vincendo l’argento nella 4×100 stile. Vanta inoltre diverse medaglie tra Europei, Mondiali in vasca corta, Giochi del Commowealth tra le quali spicca l’oro nei 200 stile agli Europei di corta del 2003.
Spostandoci dalla Gran Bretagna alla Francia arriviamo in casa Florent Manaudou. Lo sprinter di Villeurbanne è seguito oltre che da suo fratello Nicholas Manaudou (che è stato un buon atleta ma non al livello dello stesso Florent e di Laure) da Romain Barnier. Quest’ultimo ha un palmares invidiabile, con due presenze alle Olimpiadi (Sidney e Atene) un bronzo nella 4×100 stile ai Mondiali di Barcellona 2003 e svariati altri podi nelle maggiori competizioni continentali, tra cui il bronzo nei 100 stile agli Europei in corta del 2001.
Questi sono due esempi di allenatori giovani, che hanno smesso i panni di atleti da pochi anni e hanno avuto la fortuna ma anche il merito di poter allenare fin da subito due grandi nuotatori. Ma se andiamo a cercare gli altri grandi atleti del momento, vediamo come siano seguiti da coach dal curriculum lunghissimo ma che hanno meno “storia natatoria” dalla loro. Per esempio David Marsh, l’allenatore di Ryan Locthe e Cullen Jones, oltre a far brillare questi due fenomeni del nuoto USA ha seguito 47 atleti Olimpici e portato al vertice le sue squadre negli States, mentre da atleta è stato “solamente” un cinque volte “All-American” nel dorso ad Auburn, la sua società. Discorso simile per il grande Bob Bowman, che per chi non lo sapesse è lo storico allenatore di Michael Phelps, il quale rispetto alle 18 medaglie d’oro olimpiche del suo assistito vanta il ruolo di capitano nelle finali nazionali dal 1985 al 1987 per la sua squadra dei Florida State Seminoles.
Rimanendo negli USA non possiamo esimerci dal chiederci se l’allenatore di Katie Ledecky fosse un “macina chilometri” come la sua atleta: Bruce Gemmel, è stato un buon nuotatore, che si è qualificato ai Trials USA sia nel 1980 che nel 1984 mentre la passione per il fondo la giovane Katie l’ha forse ereditata dal suo vecchio coach, Yuri Suguyama, finalista ai Nazionali del 2000 negli 800 e oro con la 4×200 stile in quella stessa edizione.
Chi in patria ha fatto benissimo ma non ha brillato allo stesso modo nel panorama internazionale è Graham Hill, sudafricano e allenatore di Chad Le Clos, che da atleta è stato campione nazionale nei 200,400,1500 stile, 100 e 200 dorso, 200 e 400 misti nell’edizione del 1985.
Quello che possiamo dedurre da questi esempi è sicuramente il fatto che essere stato un nuotatore magari non è fondamentale ma aiuta parecchio, come dichiarato anche dallo stesso Jon Rudd, (allenatore di Ruta Meilutyte) perchè permette di capire meglio lo sforzo che viene richiesto al proprio atleta, avendolo già provato quando nuotava. Lo stesso Rudd rientra nella lista di quei grandi coach che hanno avuto una buona carriera a livello giovanile e nazionale ma che non sono diventati stelle del nuoto mondiale: a lui aggiungiamo anche il marito-allenatore di Katinka Hosszu, Shane Tosup o anche Dirk Lange, coach di Cameron Van der Burgh e per un anno anche di Fabio Scozzoli, presente nel giro della Nazionale giovanile tedesca fino al 1988.
Anche spulciando un po’ di nomi italiani il discorso pare lo stesso: per esempio l’attuale allenatore di Federica Pellegrini, Matteo Giunta, ha gareggiato a livello italiano per diversi anni, partecipando sia ai Campionati giovanili che agli Assoluti, senza mai andare oltre, un po’ come fatto da Gianni Leoni, il tecnico di Arianna Castiglioni, mentre il tecnico della Nazionale, Cesare Butini ha un buon palmares a livello italiano con tanti titoli ai campionati Giovanili e diverse medaglie agli Assoluti oltre alle convocazioni con la Nazionale.
E se tutti i tecnici fin qui indicati sono dei veri e propri monumenti del loro sport (e tanti altri ne mancano) di nessuno di loro si può dire lo stesso da atleti. Come mai??? La motivazione più maligna è quella di non voler crescere qualcuno che un giorno diventi più bravo e popolare di te, oppure semplicemente perchè dopo anni in un certo ambiente e con certe pressioni si ha solo voglia di cambiare aria? O ancora più semplicemente perchè si può avere la fortuna di vivere di rendita senza dover iniziare qualcosa di nuovo e non certo semplice??
Le risposte possono essere moltlepici e personoli, ma i fatti dimostrano quanto sia difficile essere una star in acqua e confermasi anni dopo come allenatore.
La prossima volta scopriremo che strada hanno intrapreso i più grandi nuotarori degli ultimi trent’anni… saranno diventati grandi coach???