C’entra il fatto che ci si nuota di meno, perché le manifestazioni importanti sono in vasca da 50, ma non è l’unico motivo.

Tuttavia, anche quest’anno la World Cup ci ha dato diversi motivi crederci di più.

“Il nuoto vero è in vasca da 50”: è una frase che sentiamo ripetere da sempre e con talmente tanta insistenza che abbiamo finito per crederci. In parte è vero: le grandi manifestazioni estive, quelle che consegnano i titoli Mondiali e Olimpici, si nuotano in vasca da 50. Mondiali ed Europei in vasca corta sono eventi molto più recenti, e spesso sono stati trattati dai grandi atleti come una via di mezzo tra un divertissement e un fastidio lungo la preparazione invernale. Ma è proprio qui che andrebbe sfatato il primo mito.

Secondo una concezione classica del nuoto, l’allenamento a macrocicli va rispettato come una sorta di liturgia religiosa e ogni spostamento dalla direttiva, che sia geografico o concettuale, rischia di far andare tutto a rotoli. Per conferme chiedere a Michael Phelps, che in vasca corta ha nuotato praticamente solo i 200 stile a Indianapolis 2004 (vincendoli), o a Federica Pellegrini, che ha completato il Grand Slam nei 200 stile vincendo i Mondiali in corta a fine carriera, a Windsor nel 2016.

Da diverse stagioni, però, questa mentalità è stata se non superata perlomeno smussata nelle spigolature più pungenti. Molti grandi atleti hanno dimostrato con i fatti che, se inseriti con competenza ed intelligenza nei cicli di lavoro, gli eventi ad alto livello non solo non compromettono le prestazioni, ma sono anche allenanti, fisicamente e mentalmente. Dove prima la divisione tra specialisti della vasca corta e resto del mondo era netta, ora si assiste sempre di più ad una concezione che fluidifica gli impegni nell’arco dell’annata. Gli specialisti esistono ancora, ma non nuotano da soli contro i loro simili, anzi. I grandi nuotatori sempre più spesso decidono di cimentarsi nella vasca corta, e questo fortifica innanzitutto la loro aura di grandezza e aumenta la loro legacy sportiva.

Passiamo quindi a quello che ci ha detto la World Cup 2025: gareggiare per tre settimane di fila, sempre contro grandi rivali e in palcoscenici importanti, porta gli atleti non solo a migliorarsi, ma a cercare i limiti che nemmeno pensavano possibili. Anche questo non lo dico io, ma lo ha detto Hubert Kós, uno che nasce come nuotatore da 200 metri ma che si sta confermando super anche nella velocità.

“Tutto sta nel crederci e nel credere che il nuoto possa essere uno sport diverso”, ha detto Kaylee Mckeown, che ha scoperto di essere dominante in corta tanto quanto in lunga. “Sono venuta qui con una missione”, ha dato Kate Douglass appena dopo aver migliorato il record del mondo nei 100 stile.

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Uno degli aspetti sottolineati da quasi tutti gli atleti impegnati in World Cup è stato il potersi misurare con dei “pari grado”, formula magica che già avevano sperimentato abbondantemente durante la ISL e che ora è tornata a galla. Le rivalità che hanno acceso le tre tappe nordamericane, Kaylee vs Regan, Ponti vs Kharun vs Liendo, O’Callaghan vs Douglass, sono state la miccia che ha acceso le prestazioni nelle gare brevi, mentre per le distanze più lunghe ci ha pensato la voglia di superare limiti storici, come nel caso di Corbeau (sotto i 2 minuti nei 200 rana) o di Pallister, che nei 400 stile ha detronizzato Katie Ledecky (un’altra che in corta si è probabilmente espressa al di sotto del suo potenziale).

L’apparente facilità e frequenza con la quale sono caduti in questi giorni alcuni record del mondo, o anche nazionali tipo quelli migliorati da Ceccon, sono l’indicazione più chiara di quanto sia ancora inespresso il potenziale tecnico della vasca da 25. Con questo formato di Word Cup, la probabilità che sempre più grandi campioni siano attratti dal prize money e dall’esperienza in sé (guardatevi per curiosità le foto dei big in visita a Chicago con la canotta dei Bulls, o allo stadio del ghiaccio di Toronto a vedere i Maple Leaf) è elevatissima, e i numeri delle edizioni 2024 e 2025 lo testimoniano. C’è in giro una gran voglia di nuotare e divertirsi, e questo genere di eventi alimenta il morale di tutti, forse anche degli allenatori più scettici.

Dopo aver capito che la ISL era letteralmente insostenibile, il nuoto sta riscoprendo il concetto originale della nascita della super lega professionistica. Nell’entusiasmo generale di una generazione (precedente a questa) di nuotatori, la ISL riprendeva in realtà la versione originale della World Cup anni ’90, quella dei soli specialisti di corta, provando a ridare vita a una parte di stagione che, senza eventi di questo tipo, rimarrebbe confinata ad allenamenti e tornei minori sparsi qua e là. Per un paio di stagioni, prima di collassare su sé stessa, c’era anche riuscita.

Ora siamo in condizione di credere che la World Cup, per come l’abbiamo conosciuta in questi due anni, sia una formula vincente e costantemente migliorabile. Serve un ulteriore scatto di livello: ci devono credere più atleti e ci devono credere più media (la copertura della RAI, che trasmette le tappe con diversi gironi di ritardi, per quanto apprezzabile è totalmente fuori tempo massimo, nel mondo di oggi).

In sintesi, ci deve credere di più Word Aquatics e il nuoto in generale, impreziosendo non solo la World Cup ma anche Mondiale, Europei e magari anche qualche meeting storico. Il potenziale inespresso della vasca da 25 può rivelarsi una miniera d’oro per tutti.

See you later!

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Foto: Fabio Cetti | Corsia4