“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura” sentenziava ottimisticamente Sun-Tzu nell’Arte della Guerra.
E non c’è dubbio che da un anno a questa parte, il nemico pubblico numero uno per la società in generale, e per la comunità dei nuotatori in particolare sia quel COVID-19 che ha fatto scriteriata irruzione nelle nostre vite e nei nostri calendari agonistici, portandovi abbondanti dosi di scompiglio e di stravolgimento.La conoscenza come chiave per sconfiggere l’insidioso avversario e riportarci a una qualche forma di normalità: che per gli atleti significa potersi allenare e gareggiare in sicurezza per sé e per gli altri.
Ed è così che dopo mesi di studi e osservazioni, è stato possibile acquisire e consolidare un quadro più circostanziato di evidenze scientifiche, peraltro in continua evoluzione, sulle ripercussioni del contagio sul fisico di chi ha contratto il virus, permettendo alle autorità di formalizzare direttive e raccomandazioni molto più precise ed esaustive sui comportamenti sanitari da tenere per tutti i tesserati che hanno avuto/non avuto contatti con il COVID-19 ai fini dell’idoneità sportiva agonistica.
Si è infatti scoperto che il virus, pur avendo conquistato la sua detestabile popolarità a motivo degli effetti sull’apparato respiratorio (la famosa polmonite interstiziale assurta ahinoi agli onori delle cronache col suo corredo horror di bombole di ossigeno, caschi per la ventilazione, intubazioni forzate ecc.), può lasciare in insidiosa eredità, e sovente lo fa davvero e senza beneficio d’inventario, complicanze a livello cardiaco nella forma di esiti a distanza di un processo infiammatorio acuto a carico del nobile organo, portando allo sviluppo di una miocardite che può comprometterne sostanzialmente l’efficienza della funzione pompa, e aumentare significativamente il rischio di incorrere in temibili aritmie da non prendere assolutamente sottogamba.
Il concetto da inculcarsi bene nella testa, prima di addobbare la stessa di cuffietta d’ordinanza e ributtarsi entusiasticamente a macinare vasche, è che non basta essere formalmente guariti dall’infezione, a seguito di tampone negativo o di congruo periodo di tempo senza sintomi, per essere riconosciuti in automatico nuovamente idonei come se nulla fosse stato, pur avendo un certificato in corso di validità.
In realtà il tesserato che abbia avuto contatto con il COVID-19 (ad esempio: tampone o sierologia positiva) o anche abbia solo presentato sintomatologia riferibile a detta patologia, anche se con tampone negativo, deve rassegnarsi a considerare sospeso il suo certificato. Per ripristinarlo, dovrà attendere che siano trascorsi almeno 30 giorni dall’avvenuta guarigione e quindi procedere a opportuni accertamenti clinico/strumentali (via via più approfonditi a seconda che la patologia sia stata da asintomatica a gravemente sintomatica), per poi ripetere infine la visita presso il Centro di Medicina Sportiva che lo ha rilasciato; dopo tale rivalutazione medica si entrerà in possesso di una nuova certificazione di idoneità agonistica chiamata “Ritorno all’Attività” / “Return to Play” da allegare al certificato già in essere di cui diventerà parte integrante.
A differenza dei numerosi protocolli finora variamente partoriti dalle autorità per regolamentare lo svolgimento delle diverse attività, quest’ultimo non è fondamentalmente concepito per proteggere gli altri da noi ipotetici untori, ma bensì per proteggere noi stessi, segnatamente dalle conseguenze inattese e potenzialmente nefaste dei subdoli strascichi dell’infezione. Per chi avesse il cuore penalizzato nella capacità di pompare sangue, e suscettibile di andare fuori giri sotto sforzo, una serie da 8×50 massimali parrebbe indubitabilmente un’efficace alternativa a un giro di roulette russa all’insegna del più sfrenato azzardo …
Ed è così che il pensiero di chi veglia sulla salute pubblica è subitamente planato su quanti vivono e operano da atleti o simil-tali pur senza avere la possibilità, in genere per palesissime ragioni banalmente riconducibili all’anagrafe, di farlo da professionisti: e tra questi come non annoverare innanzi tutto i Master, che spesso avendo ogni principio di ragionevolezza “in gran dispitto” amano sottoporre appassionatamente il loro sistema cardio-vascolare, pur talora onusto d’anni, a sforzi intensi che richiedono la perfetta condizione di tutti i vari organi e apparati deputati, se si vuole che siano impunemente assorbiti senza danno.
E quindi proprio a noialtri principalmente devono fischiare le orecchie udendo di “raccomandazioni sull’idoneità all’attività agonistica in atleti non professionisti COVID-19 positivi guariti e in atleti con sintomi suggestivi per COVID-19 in assenza di diagnosi da SARS-COV-2” predisposte dal Ministero della Salute sulla base del documento elaborato e proposto dalla Federazione Medico Sportiva Italiana e condiviso con il Dipartimento dello Sport, con il CONI e con il Comitato Italiano Paralimpico (si può inserire link della comunicazione del CONI del 14.01.2021 con oggetto Idoneità ecc.).
È altresì inteso tutelare doverosamente le figure professionali coinvolte nella certificazione dell’idoneità, quindi il Medico di base, il Medico Sociale e il Centro di Medicina Sportiva, che nel malaugurato caso di contagio devono essere obbligatoriamente e inderogabilmente informati senza indugio.
È codificata una classificazione degli atleti coinvolti in tre distinti gruppi a seconda della severità dei sintomi accusati, in base al giudizio del medico valutatore, da quelli con “infezione asintomatica o presintomatica” o con “malattia lieve” che rientreranno nel gruppo A1, a quanti abbiano presentato “malattia moderata” che verranno inseriti nel gruppo A2, fino ai più vessati dalla malasorte che, colpiti da “malattia severa” o “malattia critica”, saranno assegnati al gruppo A3.
Per ciascuno dei tre gruppi è indicata nel dettaglio la pappardella di esami strumentali e di laboratorio e dei relativi approfondimenti diagnostici cui sottoporsi per tornare alla pratica della specifica disciplina sportiva; serie di esami che naturalmente cresce di numero e di impegno al crescere della sintomatologia e della conseguente classificazione dell’atleta.
Come minimo sindacale, per i meno sfortunati inseriti in A1, sarà necessario sciropparsi (per i dettagli e le tecnicalità più minuziose si rimanda al documento originale):
- un test ergonometrico incrementale massimale
- un ecocardiogramma color-Doppler
- un esame spirometrico
Chi ahilui è finito in A2 o in A3 dovrà aggiungere:
- ECG Holter 24 h
- esami ematochimici svariati
con la possibilità di dover integrare, se ritenuto necessario, con:
- diagnostica per immagini polmonare
- diffusione alveolo-capillare.
Si direbbe quindi decisamente auspicabile che i responsabili di ciascuna squadra provvedessero a dare la più ampia pubblicità in materia a beneficio del vasto pubblico dei loro iscritti, con l’obiettivo di renderli convenientemente edotti e correttamente preparati sul da farsi.
Quanti invece risultino COVID-19 negativi e asintomatici non testati nel periodo della pandemia vengono battezzati nel cosiddetto gruppo B e in sintesi la scampano, nel senso che è previsto che procedano a visita di idoneità alla scadenza naturale della precedente, senza la necessità di ulteriori approfondimenti.
Questo documento, a prima vista ostico e oneroso da metabolizzare, ci fornisce a ben guardare lo strumento per mettere in pratica il millenario precetto di Sun-Tzu (Sun-Yang invece è decisamente fuori portata …): ciascuno, conoscendo con precisione sé stesso (cosa ha avuto, come sta) e il nemico (cosa fa e quali danni può arrecare) si vede spalancare il percorso che conduce alla vittoria, permettendogli di dribblare le circostanze avverse e continuare in sicurezza nell’attività di allenamenti e gare che per tanti Master rappresenta il più godibile ed irrinunciabile elisir di lunga vita … alla faccia appunto della pandemia!
Un ringraziamento per la consulenza tecnico-scientifica al Dr. Marco Broccolino, Presidente della Master Melzo e a tempo perso cardiologo professionista.
Foto: Fabio Cetti | Corsia4