​Marco Orsi compirà trentadue anni a dicembre, è nel giro della Nazionale dal 2008, ha all’attivo più di trenta medaglie internazionali e più di quaranta titoli nazionali assoluti. È stato primatista italiano individuale, è primatista mondiale nella staffetta 4×50 stile, ha all’attivo due stagioni di ISL con il Team Iron e una sconfinata esperienza internazionale, ma la sua voglia di gareggiare e migliorarsi non si è ancora spenta.

Per la stagione che sta iniziando, dopo dodici anni, ha deciso di cambiare guida tecnica, tuffandosi in un progetto completamente nuovo. Mentre ci sentiamo telefonicamente, sta tornando a Bologna da Torino. “Sono distrutto, è stata una settimana davvero impegnativa, stiamo lavorando tantissimo.”

​Dopo tanti anni, non deve essere stato semplice cambiare tutto, tecnico, team e città.

In realtà già dopo gli Assoluti Primaverili avevo deciso che era arrivato il momento di sperimentare qualcosa di nuovo. La prima idea è stata quella di andare a Torino, così ho provato per tre mesi alternando periodi nella nuova realtà a giorni a casa. Devo dire che ho capito subito che si trattava della strada giusta per me.

Ora è Torino la tua sede definitiva.

Sì, da inizio settembre mi sto allenando nel gruppo di Antonio Satta, un team di una quindicina di atleti tutti di livello assoluti, in cui spicca naturalmente il nome di Alessandro Miressi. È un gruppo di professionisti incredibile, dove tutto è studiato appositamente per la prestazione, per non lasciare nulla al caso. È esattamente quello che stavo cercando.

​Quali sono le principali motivazioni che ti hanno spinto al cambiamento?

Negli ultimi dodici anni il mio coach mi ha letteralmente cresciuto, facendomi diventare l’uomo e l’atleta che sono. Se ho raggiunto i risultati che ho raggiunto lo devo sopratutto a lui, e la decisione di cambiare strada è stata presa di comune accordo, proprio per trovare nuovi stimoli che mi permettano di fare un’ultima parte di carriera positiva.

Quali sono le principali differenze che riscontri rispetto al tuo recente passato?

Nel nuovo gruppo c’è una competizione interna incredibile. In allenamento ci scanniamo, Miressi, Bori ed io vogliamo sempre mettere la mano davanti, e questo per me è uno stimolo determinante. Ho ancora tanta voglia di faticare, di allenarmi e di preparare le gare al meglio. Sento che ho ancora qualcosa da dare al nuoto e voglio tirare fuori il massimo. Sto bene, fisicamente e psicologicamente, e non vedo l’ora di gareggiare.

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​La preparazione per la stagione in corta è già nel pieno. Quali sono i tuoi obiettivi?

Gli appuntamenti principali sono già molto vicini, il tempo a disposizione non è moltissimo. Sto cercando di ritornare a preparare al meglio anche lo stile libero, avendo a disposizione dei compagni di allenamento così forti mi sembra il momento giusto per provarci e per pensare ad un posto nelle staffette 4×50 e 4×100. Non trascurerò comunque i 100 misti, che rimangono la gara fulcro del mio programma in vasca corta e anche la specialità che mi diverte di più, per la cura ai dettagli che serve nel prepararla.

A proposito di stimoli, nel 2022 mancherà la ISL e quindi una bella fetta di stagione rispetto agli scorsi anni.

Per me è davvero un peccato, perché credo che i risultati che tutti noi abbiamo avuto l’anno scorso in vasca corta (ma poi anche in lunga) sono stati facilitati dall’esperienza della ISL. Personalmente, il poter gareggiare di continuo e sempre ad alto livello mi ha permesso di arrivare alla finale europea con una consapevolezza elevatissima e con una conoscenza della mia gara perfetta. Sapevo a memoria ogni passaggio, ogni bracciata e ogni respirazione, non ho avuto nessun problema a replicare quello che avevo già fatto così tante volte. E poi allenarsi con atleti internazionali di livello altissimo, nel mio caso ad esempio Ranomi Kromowidjojo e Nicolas Santos, è una risorsa importantissima per imparare sia in acqua che in palestra. Speriamo ci siano le possibilità di rifarla presto.

Tutta questa esperienza e voglia di migliorarsi è ciò che cercate di trasmettere nei vostri campus NESC.

Sono esperienze davvero formative per i ragazzi che partecipano, che sono in un’età, quella adolescenziale, nella quale apprendono come spugne. Il cuore dei campus è l’allenamento, e se ne fa tanto, ma il plus è la presenza di campioni che hanno già vinto molto nella loro carriera, che anche solo raccontando le proprie esperienze permettono ai ragazzi di sognare in grande, un primo piccolo grande passo per visualizzare i propri obiettivi. Credo che sia un’esperienza che, a prescindere dai risultati, poi ci si porta dentro a lungo.

Si tratta di qualcosa che per te può rappresentare uno scorcio di futuro?

Non penso che farò l’allenatore una volta appesa la cuffia al chiodo, però un progetto come quello del NESC si avvicina già di più a quello che mi piacerebbe fare. Ora però sono solo idee, ho ancora tanto da dare e dimostrare in acqua.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4