È finalmente arrivata la tanto attesa sentenza definitiva del TAS: Sun Yang (29 anni) pagherà una squalifica di 8 anni che, di fatto, pone fine alla sua carriera agonistica.

Dopo che il 27 febbraio si era espresso a favore di Filippo Magnini, il TAS ha smaltito oggi anche l’altro caso in sospeso che coinvolgeva un nuotatore, dichiarando Sun Yang colpevole ed applicando la squalifica più severa possibile tra quelle richieste. Quelli di Gwangju 2019 saranno, quasi sicuramente, gli ultimi titoli mondiali della carriera del più vincente atleta cinese di sempre, che saluta così anche il sogno di conquistare un’Olimpiade in Giappone, vicino a casa sua.

La squalifica arriva in seguito all’udienza di Montreax dello scorso gennaio quando, Sun da una parte, FINA e WADA dall’altra, si sono incontrati pubblicamente per sostenere il proprio punto. I fatti sono quelli della famosa notte tra il 4 ed i 5 settembre, quando un collaboratore di Sun ha distrutto delle provette e l’atleta si è sostanzialmente rifiutato di farsi analizzare. La difesa del nuotatore si basava sulla questione del riconoscimento degli agenti antidoping, che essendosi presentati senza il regolare accredito hanno insospettito il suo entourage.

Per il TAS, apprendiamo oggi, Sun è completamente colpevole e gli viene applicata la pena massima richiesta, provocando le reazioni più disparate a livello mondiale.

Come è stata accolta la sentenza nel mondo?

Nel mondo occidentale, Australia in primis, si esulta per la notizia al pari, quasi, di un vero trionfo sportivo. La squalifica di Sun non solo libera un posto sul podio di 400 e 200 stile, ma da in qualche modo ragione a chi lo aveva fortemente criticato, anche pubblicamente e platealmente, come Mack Horton sul podio di Gwangju. Per Team Australia si tratta della vittoria di una battaglia, in una guerra che è cominciata addirittura a Roma 1994, quando i sospetti di doping, poi in parte confermati, erano stati sollevati sulla squadra femminile cinese.

In patria, dove Sun Yang è lo sportivo più famoso ed acclamato, si grida all’ingiustizia ed al complotto, ed i profili di Weibo, il social cinese, sono pieni di manifestazioni di affetto e sostegno, a volte anche di disperazione. Nel frattempo Sun ha dichiarato, sempre attraverso il social cinese, di volersi appellare alla Corte Suprema Svizzera, difendendo di nuovo la sua innocenza e puntando di nuovo sulle procedure approssimative utilizzate quella notte.

Facciamo un po’ di chiarezza: Sun Yang è stato squalificato per doping?

No, non è stato squalificato per doping, perché nessun campione di sangue o urine è stato testato in quella notte. Va detto che, nel periodo successivo, di controlli ne sono stati fatti e tutti negativi. Sun Yang non ha nemmeno rotto le provette, come scritto anche sui principali quotidiani nazionali, ma lo ha fatto un suo collaboratore nella concitazione del momento, e non è comunque nemmeno soltanto questo il motivo della squalifica.

Quindi, perché una squalifica così lunga?

Essersi negato al test quella notte, aver distrutto le provette rendendo di conseguenza impossibili i test, con l’aggravante del fatto che Sun Yang aveva già subito una squalifica nel 2014 per la questione, anch’essa nebulosa, della trimetazidina, hanno fatto scegliere il TAS in favore della pena massima, 8 anni, contro quella minima, 2 anni, richiesta.

Quali sono i dubbi di Sun Yang?

Tutte le puntualizzazioni sono necessarie per inquadrare bene il contesto nel quale sono accaduti i fatti, che rappresenta poi il perno della difesa e dal quale possiamo meglio comprendere la decisione finale. A chi posso dare il mio sangue per testarlo? Se credo che ci sia un problema di riconoscimento, è giusto fidarmi? I tecnici si sono comportati nel modo giusto? Ora il TAS ci dice che sì, Sun avrebbe dovuto farsi testare quella notte, e le sue reazioni sono state esagerate, scorrette ed ora anche punite.

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Perché la sua squalifica non annulla tutte le medaglie vinte?

Perché non è stato trovato positivo a nessun test antidoping, né prima né dopo quella notte, quindi non ha, da quanto ci dicono i fatti, gareggiato traendo vantaggio da sostanze proibite. Non è previsto che, per essersi sottratto ad un test, la squalifica sia retroattiva ed annulli i successi conquistati in piscina. E non è nemmeno prevista la radiazione. Poi possiamo discutere tutta la vita su ipotesi e moralità, ma i fatti sono questi.

Ci sono ancora possibilità di revocare la pena?

Sun Yang ha dichiarato di aver dato disposizione ai suoi avvocati per presentare un appello alla Corte Suprema Svizzera, ma sembra improbabile la sua partecipazione alle Olimpiadi.

Al netto del verdetto del TAS, che non si discute, quanto dobbiamo essere contenti di come sono andate le cose?

L’impressione è che, in questa fase storica dominata dalle opinioni social, ci sia un’eccesiva caccia alle streghe, una sproporzionata voglia di trovare sempre un colpevole ed ergersi addirittura al di sopra delle autorità competenti, assegnandogli pene anche più severe di quelle che ha subito.

In definitiva, quali sono i lati positivi della vicenda?

Che la giustizia sportiva ha preso finalmente una decisione, non rimandando ulteriormente il problema a dopo Tokyo 2020.

Quelli negativi?

Che la storia si è trascinata per troppo tempo, lasciando spazio alle esagerazioni ed esasperando l’opinione pubblica, costringendo la gente a farsi un’idea, spesso errata, su come stanno davvero le cose. L’affaire Horton era evitabile, così come l’ondata di odio che ha portato.

Cosa intendi?

Per quanto rispetti e sia d’accordo con la sentenza del TAS, il caso mi preoccupa e mi ricorda, con i dovuti paragoni, quello di Marco Pantani. Come si sia arrivati al controllo, quali siano le circostanze che hanno fatto scattare le reazioni di Sun e dei suoi, sono ancora dubbie. E non faccio fatica a, in qualche modo, comprendere la paura che può avere un atleta di quel calibro, tanto amato quanto odiato, nel dare con leggerezza i suoi campioni di sangue.

Semplicemente perché sapeva di essere dopato, no?

Possiamo vederla così, anche se non ne abbiamo le prove. Sun Yang è sicuramente colpevole, ma non di doping. Possiamo anche pensare che quella sera si sia raggiunto un punto di non ritorno che, forse, non sarebbe stato necessario con altre metodologie di lavoro. Credo che gli atleti professionisti debbano essere tutelati e da questo punto di vista il caso Sun aiuterà ad una maggiore precisione nei controlli, nelle procedure, nel rispetto di tutto. Anche delle persone.

Perché non riesci ad odiare Sun Yang?

Non riesco non vedere in lui anche una vittima. Di una situazione strana, ombrosa, controversa. E di una vita che, forse, non ha voluto in toto, di un sistema che, probabilmente, lo sta fagocitando, di una pressione che, sicuramente, lo schiaccia.

Forse Sun era solo un ragazzo più bravo degli altri a nuotare che sognava di diventare un campione e che si è trovato in una cosa più grande di lui. Sappiamo talmente poco della sua vita e dei suoi rapporti col mondo esterno da non poterne giudicare gli effetti reali. La madre che lo gestisce, lo Stato che lo usa come esempio, gli intrecci tra interessi extrasportivi ed agonistici: tutte cose che possiamo solo immaginare, ma che sicuramente hanno influito sulla sua storia.

È stato il più grande di sempre, ma non lo ricorderemo così. E questo mi rende triste.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4