Anche se con un giorno di ritardo rispetto al solito, Fatti di nuoto non molla il colpo e torna a parlare di nuoto e dintorni, questa settimana con tre argomenti da sottoporre alla vostra attenzione.

Pronti?

La vasca corta potrebbe essere un problema (ma anche no)

Il prossimo weekend – 10 e 11 novembre – ci sarà il Trofeo Nico Sapio: scopriremo chi vorrà andare agli Europei in vasca corta (Otopeni, 5/8 dicembre), chi non ci vorrà andare e chi alla fine ci andrà anche se magari non vorrebbe (già prequalificati i finalisti e semifinalisti individuali di Fukuoka 2023 ed i medagliati di Melbourne 2022). Gli Europei in vasca corta potrebbero essere presi come un fastidio, perché situati appena dopo un’edizione degli Assoluti cruciale, che si svolgerà in vasca lunga e che avrà obiettivi ben diversi e più a lungo termine.

L’umore di chi ci andrà, a Otopeni, potrebbe essere diretta conseguenza del risultato del Assoluti stessi (28/30 novembre). Se saranno andati bene, la “gita” in Romania sarà un bel modo per festeggiare i risultati, tra l’altro sfruttando la spinta che spesso si ha quando si passa dalla lunga alla corta; nell’altro caso, invece, potrebbero essere giorni problematici. Comunque, agli Europei di corta abbiamo una tradizione vincente che vale la pena portare avanti, e inoltre sarebbe un peccato non sfruttare l’occasione per far esordire qualche giovane nella nazionale maggiore. Io, per esempio, inizierei a stilare la lista partendo da Ragaini e Bacico.

The Golden Race

È passata un pò sotto traccia, ma alla fine della tappa di World Cup di Budapest c’è stato l’esordio della Golden Race – Donne: Pilato a rana – la gara/esibizione che ha messo a confronto un nuotatore per ogni stile per determinare “il più forte”. I vincitori dei 100 metri si sono sfidati in un 100 extra, ognuno nella propria specialità, con le partenze sfalsate dalla rana allo stile. Tra i maschi ha gareggiato anche Ceccon.

Io la reputo una buona idea, come tutti i tentativi che cercano di movimentare la scena, di creare qualcosa di diverso e anche un pò ludico, di avvicinare qualche occhio curioso in più. È chiaro che quello non è il nuoto ma una semplice esibizione, quindi indignarsi non serve a nulla. Servirebbe però un pò più di convinzione da parte di tutti, World Aquatics in primis, che della Golden Race è stata ideatrice ma che poi l’ha lasciata relegata a qualche piccolo post social, senza crederci più di tanto, senza nemmeno inserirla nei risultati ufficiali di Budapest.

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Ungheria primitiva

A proposito di Budapest e di Ungheria, in molti si stanno chiedendo quale sarà il futuro di Kristóf Milák, il campione magiaro che da qualche tempo sta lottando contro problemi di salute mentale e che fatica a ritrovare la via che lo ha reso il delfinista più forte del mondo. Se lo è chiesto, a modo suo, anche Sándor Wladár, il Presidente della Federazione Ungherese, che ha dichiarato che Milák “ha un dono naturale che in ben pochi hanno al mondo e quindi dovrebbe mettersi al lavoro per difendere il suo oro a Parigi, lo deve a se stesso e all’Ungheria”.

Queste dichiarazioni hanno scatenato la risposta della leggenda dello sport ungherese, Katinka Hosszú, che tramite il suo Instagram ha detto che “Kristóf non deve niente all’Ungheria, anzi i leader dello sport dovrebbero solo ringraziarlo per i risultati che ha ottenuto in carriera.” La Iron Lady, spesso polemica con i vertici del potere del nuoto, ha poi rincarato la dose, dicendo che “sostenere che un atleta che ha vinto le Olimpiadi e che detiene dei record del mondo debba ancora qualcosa al suo Paese è oltraggioso e primitivo.”

Vorrei innanzitutto rincuorare Katinka: in Ungheria ci sono comportamenti primitivi (!) ma, come si dice, tutto il mondo è paese, nel sentore comune, nei modi di dire da strada, le parole di Wladar sono la (triste) normalità. L’uomo medio che guarda con superficialità gli sportivi si sente in diritto di sentenziare di tutto, compreso il fatidico “se fossi io al suo posto ecc ecc ecc”. Il problema è che non serve essere al loro posto per sperimentare problemi col lavoro, con la famiglia, con la vita. Quindi cosa cambia avere o meno “un dono naturale”? Essere un bravo ingegnere, un bravo panettiere, un bravo nuotatore fa qualche differenza?

Che Milák debba qualcosa al suo paese in termini di risultati sportivi è una visione arcaica dello sport, quasi da regime. Non possiamo continuare a pensare che chi ha un dono naturale sia obbligato a fare qualcosa per il semplice fatto di avere un talento (che poi, sulla definizione di talento bisognerebbe riflettere bene: a quei livelli, solo col talento ci fai poco).

Non ci sarebbe nulla di male se in un atleta ci dovesse essere un sentimento di orgoglio nel vestire e rappresentare i colori della propria, come espressione positiva e qualitativa di un intero momento sportivo, ma trasformare questa cosa in politica è, per usare le parole di Hosszú, primitivo. Ogni tanto dovremmo pensare che sono gli atleti stessi a sentirsi in dovere ed in debito (con se stessi e con chi li guarda), a sentirsi schiacciati dalle aspettative, a pensare di non essere mai abbastanza. Accusarli di non fare ciò che in realtà fanno fin troppo non è solo primitivo, è controproducente.

See you later!

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Foto: Fabio Cetti | Corsia4