Piccola e impopolare riflessione sul nuoto contemporaneo di Fatti di nuoto Weekly.

 

Nello scrivere settimanalmente di nuoto, per questa rubrica e non solo, passo due terzi dell’anno a cercare le notizie più nascoste, le curiosità, gli anniversari, le piccole dichiarazioni (spesso social, e ho detto tutto), o anche solo le foto postate da chissà quale luogo, da un nuotatore, dal suo allenatore, da suo cugino.

Ci sono delle aggravanti: per esempio, ho una chat su whatsapp con me stesso (e chi non ce l’ha) dove mi mando i link e le idee che mi vengono, come se fossero piccole gemme di immenso valore incastonate in un’enorme montagna di pietra, prima che svaniscano irrimediabilmente. Non sto dicendo che siano i lavori forzati, anzi, ma a volte non è semplice essere puntuali, interessanti e utili allo stesso tempo. Ci si prova, insomma.

Poi improvvisamente arrivano giugno e luglio ed è come girarsi verso la spiaggia dopo aver sentito una leggera brezza e scoprire che l’onda perfetta dello tsunami sta per travolgere la costa. Per star dietro alle notizie di questo periodo bisognerebbe sostare i giorni interi davanti ad almeno due computer, annullare la propria vita e dedicarsi solo a questo, fino alla fine dell’estate, per poi ritornare nel letargo precedente.

Il nuoto è fatto così, mi direte, ed è esattamente la risposta che mi sono sempre dato in tutti questi anni da appassionato esaminatore di nuoto (non so come altro definirmi). Le sento già le voci dei duri e puri: ci sono i cicli di allenamento, l’importante è andare forte quando conta, si fanno i tempi solo due volte l’anno, bisogna allenarsi e non distrarsi in cose inutili. Tutto vero, tutto bello, tutto risaputo.

Poi però c’è il nuoto che arranca, che non si vende bene ai media, che passa in ombra non solo rispetto agli sport di squadra, ma anche rispetto agli altri sport individuali, nei confronti dei quali (vedi atletica, ad esempio) c’è da sempre l’ombra del confronto impari.

È possibile che questa situazione sia così immutabile? Che non si possa in alcun modo uscire da questa visione del nuoto che ci portiamo dietro praticamente da sempre?

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Prendiamo ad esempio questo preciso momento storico. Sono in corso, praticamente in contemporanea, Trials USA, una sfilza di campionati nazionali (validi per la selezione Olimpica), gli Europei e il Settecolli (il trofeo più antico al mondo, cit.), sono appena terminati i Trials australiani e la Coppa Comen, bella e interessante gara giovanile che passa inesorabilmente in terzo piano.

Manca qualcosa? Forse sì e me ne scuso.

Con il nuoto organizzato in questo modo, l’accavallamento delle gare è del tutto naturale, perché tutti devono selezionare i propri team per l’evento estivo, e molti lo fanno nello stesso periodo, e tutti hanno bisogno dello spazio per fare il meglio possibile. Ci sono poi gli equilibri politici che, come sappiamo, hanno portato alla contemporaneità di Europei e Settecolli, facendo parlare le rispettive parti solo del proprio evento, come se l’altro non esistesse proprio, in una scena che forse ha prodotto più imbarazzo che altro.

Tra un mese, infine, ci saranno le Olimpiadi e quella settimana che, una volta ogni quattro anni, ci fa intravedere le potenzialità di questo sport, peri poi nasconderle di nuovo sotto lo zerbino dell’autocommiserazione, almeno fino ai prossimi Giochi.

Non so se sia un punto di vista pessimistico o semplicemente troppo di parte, ma di certo è dettato dalla voglia di vedere qualcosa cambiare, andare in una direzione illuminata, magari anche pazza, ma che possa portare a dei veri cambiamenti migliorativi. Comunque io, ogni settimana, sarò qui, a cercare di cavare il sangue dalle rape, sperando che non finisca mai. E che magari qualcosa cambi.

See you later!

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Foto: Fabio Cetti | Corsia4