Secondo le testimonianze raccolte dalla giornalista, il coach John Wright sarebbe stato autore di violenze fisiche ed abusi sessuali ai danni di ragazzini di 10/12 anni quando allenava alla piscina Chandler, grande polo natatorio di Brisbane sede tra l’altro dei Giochi del Commonwealth nel 1982.
Se siete intenzionati a leggere, voglio avvertirvi che si tratta di una lettura dolorosa, perché contiene informazioni davvero pesanti su quanto sembra essere stato un modo di fare radicato e, in qualche modo, anche accettato in piscina in quel determinato periodo storico.
John Wright sarebbe stato ripetutamente aggressivo e violento con i suoi atleti, al punto di arrivare a farli sentire in pericolo con le sue parole e, soprattutto, con le sue azioni. L’allenatore ospitava in casa alcuni ragazzi, tra i quali anche la figlia dell’ex primo ministro di Singapore, che ha ricordato di essere stata aggredita davanti a 13 testimoni, afferrata per il collo con entrambe le mani e sbattuta al muro e a terra ripetutamente.
A questo si aggiungono anche svariate accuse di violenze sessuali riportate da diversi atleti che ai tempi si allenavano insieme, tra i quali appunto Shane Lewis, morto suicida il 21 febbraio scorso e spinto al gesto, secondo quanto riportato anche dall’olimpionica Curry Lewis, sua cara amica, proprio dalle violenze subite in passato.
I ragazzi – che nel frattempo sono diventati uomini e donne, madri e padri – hanno tenuto tutto dentro ed hanno combattuto con i loro demoni per anni, fino a quando il peso non è diventato semplicemente troppo grande, per alcuni anche ingestibile.
Nel caso c’è davvero tutto ciò che di pessimo si può immaginare in un ambiente che invece dovrebbe essere sano e sereno: oltre ai gesti inqualificabili del coach, che nel frattempo è sparito nel nulla, c’è l’immobilismo delle istituzioni, che sembrano non aver reagito con tempestività alle prime avvisaglie e si sono limitate ad alcune lettere di scusa, evidentemente non sufficienti ad aiutare gli interessati.
Il tutto avvolto da una sensazione di omertà che, sinceramente, è una delle cose più spaventose dell’intera vicenda. Se negli anni ’80 sembra, sempre stando alle testimonianze del reportage, che ci siano stati genitori che erano a conoscenza di questi fatti ma che hanno deciso di non denunciare per una non meglio specificata paura, questo atteggiamento ai giorni nostri non deve esistere.
Nessuno deve più avere paura di aprirsi, di parlare di ciò che succede e, se necessario, anche di denunciarlo alle autorità.
Queste solo alcune delle possibilità:
TELEFONO AZZURRO: 1 96 96
TELEFONO AMICO: 02 2327 2327
NUMERO VERDE PREVENZIONE SUICIDI: 800 860022