Tuttavia, niente di tutto ciò scuote l’animo di un ragazzo che ha appena finito la maturità, ha davanti a sé l’estate più bella della sua vita ed un solo, grande, sogno, raccontare con la sua penna le storie dello sport che ama, il nuoto. Come tutti i suoi coetanei, non pensa molto al futuro né rimugina sul passato: per lui c’è solo il presente, e viverlo è la cosa più importante.
Ciò che quell’estate lo fa emozionare sono i pomeriggi al fiume con gli amici, il vento in faccia che entra dai finestrini della macchina, le notti intere passate a parlare di tutto, di niente. Ciò che lo emoziona sono le immagini che arrivano dall’altra parte del globo, da un luogo mistico e lontano, che ospita i campionati del mondo di nuoto. A luglio del 2001, a Fukuoka, va in scena l’edizione dei Mondiali che ha cambiato per sempre la scena natatoria ed il mondo di quel ragazzo.
Qui è dove vi racconto cosa è stato per me Fukuoka 2001, l’estate dopo gli esami.
Cambiamento e speranza
L’estate dopo gli esami di maturità porta probabilmente con sé la più grande sensazione di cambiamento della vita. Non sai cosa ti aspetta ma non hai paura, anzi hai voglia di scoprirlo, e tutto ti sembra possibile. Tutto è ammesso, anche sognare di non essere davanti alla tv nel salotto di casa ma in Giappone, patria di antica tradizione natatoria e di grandi campioni del passato, che per me significava nuotatori che spesso nuotavano meglio degli altri (e mi ci ritrovo anche oggi).
Mai un Mondiale era stato organizzato in Giappone e mai l’anno dopo le Olimpiadi, e con i Mondiali di Fukuoka cambiava anche per sempre la collocazione temporale dell’evento, non più una volta ogni quattro anni, ma una ogni due: c’è notizia più bella per una appassionato di nuoto? Da lì in poi, Mondiali in doppia razione, negli anni dispari, in perfetta alternanza con Olimpiadi ed Europei, un sogno.
Anche oggi, a distanza di vent’anni, quando sento qualcuno parlare di mondiale post Olimpico come Mondiale minore mi faccio una risata: intanto perdere non piace a nessuno, figuriamoci a degli agonisti individuali come i nuotatori, e poi il fascino del mondiale che si svolge l’anno dopo le Olimpiadi è pazzesco, perché sa di speranza e futuro. E tutto è iniziato proprio durante quella magnifica estate a Fukuoka 2001.
Che ve lo dico a fare
Non riesco a ricordare se in quel periodo fossi più in fissa per i numeri o per i nuotatori giapponesi (o probabilmente per quella compagna di classe che, alla fine, niente), ma ricordo che uno dei giochini che preferivo, nelle calde ore morte, era scovare i più forti giapponesi tra i risultati delle gare, un pò perché mi piacciono i nomi esotici e un pò per fare da scopritore di talenti.
Il Giappone non aveva mai vinto un oro Mondiale, e nemmeno a Fukuoka lo farà, ma ricordo che tra le medaglie era impossibile non notare quella di bronzo nei 200 rana di Kosuke Kitajima, diciannovenne (come me) di belle speranze (più di me) che, mentre io prendevo il sole sulla riva del Ticino, faceva il record dei campionati nelle batterie dei 100 rana. La sua rana era un incanto, stilisticamente molto vicina a quella di Fioravanti, forse un pò meno estrosa, un pò più scolastica, ma altrettanto efficace. Ancora oggi, a distanza di vent’anni, sono convinto di aver scoperto il talento di Kitajima prima degli altri, anche se evidentemente non è vero.
L’altra cosa che mi ha sempre appassionato sono gli americani (e capirai direte voi), la loro incredibile capacità di rinnovarsi e di trovare sempre nuovi modi di dominare il mondo del nuoto. I primi Mondiali post Olimpici della storia potevano essere un’insidia per la loro ferrea organizzazione, fatta di trials e cadenze quadriennali, e in effetti a Fukuoka hanno perso il medagliere ai danni dell’Australia di Ian Thorpe. Le apparenze però ingannano, e chi parlava di declino USA forse non aveva notato che il team era composto da diversi giovani di belle prospettive, molti dei quali miei coetanei portati per fare esperienza.
Così, mentre il mio impegno massimo era scegliere tra un gelato o una birretta, mi capitava di vedere uno di loro prendere questa cosa del fare esperienza troppo sul serio e portarsi a casa il primo titolo della carriera condito dal record del mondo nei 200 farfalla. Si trattava – che ve lo dico a fare – di un sedicenne proveniente da Baltimora, Michael Phelps, che salirà su quel gradino altre 25 volte in carriera, cambiando per sempre il mondo del nuoto e la storia dello sport in generale. In lui si poteva già riconoscere quello sguardo, quei riti pre-gara, quell’atteggiamento sicuro di se rinchiuso ancora nel viso di un ragazzo delle high schools che si vuole godere gli anni migliori della sua vita (e io che me la facevo sotto per una batteria dei giovanili al Foro Italico). Ai tempi, non c’era una cosa da guardare che mi faceva sognare di più, se escludiamo forse quella mia compagna di classe che poi, niente.
O forse no, forse c’era addirittura qualcos’altro. C’era Antony Ervin, un giovane velocista reduce dall’oro pari merito con Gary Hall Jr di Sydney nei 50 stile, che in Giappone era leader della nazionale Usa e della velocità, in un modo però tutto suo. A Sydney nessuno gli avrebbe dato due lire, dopo Fukuoka (e i due ori nei 50 e 100 davanti a Pieter VDH) tutti si aspettavano un lungo regno di dominio internazionale. Ma chi vuole fare la vita del nuotatore quando puoi surfare, suonare in una band e vivere i migliori anni della tua esistenza lungo le spiagge dell’Oceano Pacifico? Non è stato tutto rose e fiori, per lui, ma il coraggio di fare scelte impopolari per seguire il suo istinto, quello gliel’ho sempre invidiato. Bisognerà aspettare Rio 2016 per rivederlo con un oro pesante al collo ma, francamente, non gli posso dare torto.
L’Italia, dolce e amara
L’hype per l’Italia a Fukuoka 2001 fu era direttamente proporzionale al gasamento post Sydney 2000, quindi direi alto. Il boom del nuoto, l’ascesa di una piccola nazione che improvvisamente trovava il suo posto sulla mappa, i talenti generazionali ed i giovani che crescevano: tutto era apparecchiato per un Mondiale da protagonisti, e invece io me lo ricordo dolce e amaro.
Partiamo da Domenico Fioravanti, l’eroe del 2000, che a Fukuoka si è difeso senza strabiliare. Intendiamoci, non sono da buttare un bronzo nei 50 rana (alle spalle di veri specialisti della distanza come Lisogor e Sludnov) e un argento nei 100 (Sludnov oro), soprattutto se si pensa al futuro, ma il futuro sportivo di Fioravanti, ai tempi 24enne, è stato amaro. Al pari di quella mia compagna di classe, Fioravanti mi ha fatto sognare per poi spezzarmi il cuore, ma di lui (come di lei) non riesco a conservare un ricordo negativo, nemmeno quando lo (la) vedo oggigiorno, invecchiato nel corpo ma intatto nel fascino.
Nei misti, invece, i risultati sono talmente positivi da far credere all’inizio di una vera e propria era italiana. Massimiliano Rosolino ha 23 anni e a Fukuoka completa il Grand Slam con il titolo che gli manca, e forse oggi ci dimentichiamo che c’è stato un momento in cui era campione europeo, olimpico e mondiale in carica dei 200 misti. Alessio Boggiatto, che a Sydney era arrivato quarto per soli 6 decimi nei 400, a Fukuoka ha vinto in maniera sontuosa ed elegante. Entrambi non vinceranno più: Rosolino sarà bronzo a Barcellona dietro Phelps e Thorpe, mentre per Boggiatto arriveranno altri due legni Olimpici. Ma non fa niente, va bene così, perché sognare durante quell’estate non costava niente e non c’è niente di peggio che rovinare un bel sogno con la cruda realtà.
Alla tanto sviolinata “Notte prima degli esami” ho sempre preferito l’estate dopo, un pò perché quella notte io ho dormito alla grande e un pò perché, in fondo, le notti passano ma le estati ti restano addosso. E Fukuoka 2001, l’estate del 2001, con i suoi alti e bassi, le speranze e le delusioni, i sogni e la cruda realtà, è ancora attaccata qui, alla mia pelle.
Foto: World Aquatics