Immaginate per un momento di avere un dono eccezionale, una dote naturale che vi rende incredibilmente bravi a nuotare.

Immaginate che questa capacità sia scoperta da un allenatore estremamente lungimirante e capace, che affina la vostra tecnica in modo perfetto, insegnandovi tutti i segreti della disciplina. Immaginate di avere una tempra pazzesca, una capacità di andare oltre i vostri limiti in allenamento con costanza e dedizione, e di saper tradurre questa grinta in vasca durante le gare.

Immaginate di avere tutto questo in una posto in cui il nuoto è considerato lo sport nazionale ed i nuotatori sono delle celebrità acclamate e venerate.

Ma come ogni scenario che sembra apparentemente perfetto, c’è nascosto un piccolo compromesso: potete avere tutte queste doti, che fanno di voi potenzialmente il miglior mistista della storia, ma dovete condividerle non con una ma con altre due persone. Che fate, accettate?

Un confronto storico

Difficile dire che cosa uno dei tre abbia avuto di più, o di meno, dell’altro, ma che Michael Phelps, Ryan Lochte e László Cseh abbiano vissuto e nuotato nello stesso periodo storico è un fatto abbastanza incredibile, paragonabile forse – con le dovute proporzioni e differenze – alla contemporaneità delle carriere tennistiche di Federer, Nadal e Djokovic.

Le coincidenze sono molte: sono praticamente coetanei, Lochte è il più vecchio (3 agosto 1984), mentre Phelps (30 giugno) e Cseh (3 dicembre) sono entrambi del 1985. Ognuno di loro ha una peculiarità personale, ma sono tutti e tre mististi eccezionali, che si ritrovano in particolare nella gara dei 200. Hanno caratterizzato un’epoca del nuoto, ognuno a modo suo, ognuno – possiamo dirlo – con il proprio pubblico ed ognuno con i propri risultati.

Il loro scontrarsi nelle grandi occasioni è stato logicamente anche motivo di sprone, di voglia di migliorarsi e di riuscire a primeggiare sugli altri. Interrogato sulla cosa, László Cseh ha detto di non avere rimpianti:

Michael e Ryan ci sono sempre stati, non saprei immaginare un mondo senza loro. Ho sempre cercato di concentrarmi su quello che potevo modificare con le mie azioni, i miglioramenti in allenamento soprattutto.

Va detto però che le differenze sono tante almeno quanto le somiglianze. Innanzitutto il palmarès: Phelps è l’atleta olimpico più vincente della storia e la sua evoluzione è talmente incredibile da non essere paragonabile a niente e nessun altro. Lochte ha provato in tutti i modi a metterne in discussione il dominio e in certi momenti ci è anche riuscito, portandosi a casa una quantità di titoli a sua volta pazzesca.

Cseh è quello dei tre con meno allori in bacheca: se escludiamo il titolo mondiale dei 400 misti (nel 2011 di pausa di Phelps) e quello straordinario nei 200 farfalla nel 2015 (con Phelps sempre ai box) per lui ci sono “solo” piazzamenti. Per la precisione sei Olimpici (quattro argenti e due bronzi) e undici mondiali (sei argenti e cinque bronzi), che se contrapposti alle trentatré medaglie d’oro europee (tutte individuali) sembrano un bottino meno pregiato. Particolarmente emblematica la sua statistica olimpica: su ogni singolo podio da lui conquistato c’era almeno uno tra Phelps e Lochte a fargli compagnia.

Proprio in questa agguerrita concorrenza è da ricercarsi il motivo principale per cui il nuotatore europeo più vincente della storia (come lui nessuno a livello di titoli individuali) non sia riuscito a raccogliere altrettanto in campo mondiale.

Ma ci sono altre differenze che rendono Cseh molto diverso dagli altri, delle sfumature meno evidenti che però ci restituiscono un’immagine più romantica, quasi d’altri tempi, di un nuotatore del quale, se ci fermassimo solo agli ori, non apprezzeremmo appieno la grandezza.

Working class hero

Se volete farvi una prima idea di László Cseh, vi consiglio il suo profilo Instagram. Mi rendo perfettamente conto che, così come qualsiasi social network, non è lo specchio della realtà, ma la differenza che si trova tra i suoi post palesemente autoprodotti e pubblicati spontaneamente, e quelli di Phelps, Lochte e molti altri nuotatori professionisti, certamente curati da un social media manager, è lampante.

Tra i migliori vi cito:

  • 4 aprile 2020: László , in crocs, che taglia il prato del giardino con una macchinetta che in mano a lui sembra un simpatico attrezzo uscito da Toy Story.
  • 5 aprile 2020: László che trapana il muro di casa con un’espressione da appena sveglio (ed un altro paio di crocs)
  • 28 giugno 2020: László, sempre con le crocs, ed il costumino che lava la macchina in cortile con una spugnetta (ed un pò di pancetta)
 

 
 
 
 
 
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Le sue scene di vita quotidiana, tra il tentativo di fare un dolce e l’improbabile carrello della spesa, ce lo dipingono come un personaggio semplice, un qualsiasi vicino di casa, uno di noi. È questa una delle grandi differenze con Phelps, che in un certo periodo della sua vita è stato in qualche modo un alieno, e con Lochte, troppo strano e sopra le righe da sembrare a volte un personaggio costruito. László Cseh ha sempre avuto qualcosa di popolare, di rustico, quell’atteggiamento rilassato che lo faceva sembrare nella corsia del nuoto libero anche mentre si apprestava a nuotare la finale Olimpica.

Proprio per questo, negli anni è diventato una sorta di feticcio, un volto amico da cercare in televisione in mezzo a una miriade di facce tese e corrucciate. A chi non è capitato di scrutare i partenti di una batteria dei 200 misti per cercare l’unico atleta senza cuffia e tirare un sospiro di sollievo? Con questa cosa lui ci ha nel tempo anche giocato, ritraendosi nel rituale di rasatura dei capelli pre gara che era diventato ormai l’avviso ufficiale di una sua presenza agguerrita all’imminente manifestazione, il momento in cui tutti noi potevamo finalmente esclamare: “László c’è anche stavolta!”

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La carriera

Con un talento come il suo, emerso già dalle categorie giovanili, le attese per il suo cammino tra i “grandi” erano elevatissime. All’esordio internazionale, a soli 17 anni, è arrivato terzo agli Europei in vasca corta del 2002, dietro ad Alessio Boggiatto e Jacob Cartensen, ma è stato a Barcellona 2003 che il mondo si è accorto di lui. Dietro un già dominante Michael Phelps, record del mondo in 4’09”09, solamente László Cseh è riuscito a tenere botta, giungendosi secondo in 4’10”79.

In patria si parlava già di nuovo Tamás  Darnyi. “Credo che il confronto non mi abbia fatto né bene né male” ha dichiarato Cseh in una recente intervista, “non ho mai pensato di essere a quei livelli, ho sempre pensato alle gare una alla volta.” Anche nelle sue dichiarazioni, mai sopra le righe o fuori luogo, traspare un certo senso di serenità, come se lui sapesse di aver dato tutto e di poter essere in pace con sé stesso.

D’altronde la sua carriera, anche se meno costellata di vittorie di quella altrui, è ugualmente memorabile. Ad Atene 2004 sale sul podio dei 400 misti, bronzo dietro a Phelps e Vendt, mentre a Pechino è argento sia nei 200 che nei 400, in entrambi i casi dietro a Phelps ma davanti a Lochte. Sempre loro tre sono sul podio sia a Montreal 2005 che a Melbourne 2007, con Lochte e Cseh che si scambiano i gradini più bassi, ed anche a Shanghai 2011, quando Lochte batte Phelps e Cseh è terzo.

Il primo dei suoi due ori Mondiali arriva nel 2005, quando si aggiudica i 400 misti battendo Luca Marin: “Lo ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita, in quel momento pensavo di essere finalmente arrivato.” Ci vorranno dieci anni, e la decisione di cambiare gara di riferimento, per ripetere l’impresa.

A Kazan 2015 László Cseh ha quasi 30 anni ed in molti lo danno per finito. A Londra 2012 ha portato a casa il bronzo nei 200 misti (Phelps e Lochte davanti a lui), ma è rimasto fuori dalla finale dei 400, con una prestazione molto sottotono. Ai successivi Mondiali di Barcellona ha raccolto un sorprendente argento nei 100 farfalla, nuotando 51”45 e sfiorando addirittura l’oro in una bella sfida con Chad Le Clos. I 200 farfalla, tuttavia, li aveva abbandonati dopo l’argento di Pechino 2008, nuotandoli (e vincendoli) in campo europeo ma non portandoli più alle manifestazioni mondiali. Per questi motivi non è tanto la sua forma smagliante ai Mondiali del 2015 a sorprendere, quanto la scelta dei 200 farfalla come gara forte del suo programma.

La vittoria, però, arriva in un modo che è molto “László Cseh”, ovvero con i tre turni nuotati tutti forte, senza nascondersi dietro a strategie di gara: 1’53”71 in batteria, 1’53”53 in semifinale, 1’53”48 in finale, dove batte di due decimi il campione Olimpico in carica Chad Le Clos.

Volevo dimostrare che ne ho ancora questa è una vittoria che vale tutto per me.

Ha detto intervistato dopo la gara. Potrebbero sembrare delle parole dette in reazione a qualche polemica, ma nelle immagini si nota un László Cseh sempre sorridente, quasi costretto a parlare perché incalzato dalle domande del giornalista, ma di sicuro né arrabbiato né stizzito. In quello stesso mondiale è bronzo nei 50 (!) e argento nei 100 farfalla, sempre dietro a Le Clos, con un tempo (50”87) che lascia intravedere una buona speranza per le Olimpiadi di Rio 2016.

Alle Olimpiadi brasiliane, Cseh si presenta nei 100 e nei 200 farfalla, abbandonando completamente i misti per cavalcare l’onda della sua seconda giovinezza nel delfino.  Nei 200, però, stecca clamorosamente la finale, arrivando solo sesto e con un tempo ben lontano dalle sue potenzialità dimostrate appena un anno prima.

I 100 sono la prova del nove, e anche se non è la fine della sua carriera rappresentano la simbolica chiusura del cerchio di una carriera prestigiosa ma strana. A vincere è Joseph Schooling, che imbocca la giornata giusta per l’oro che vale una carriera, ma è l’incredibile secondo gradino del podio a rimanere nella storia.

Phelps, Le Clos e Cseh si tengono per mano e non riescono a trattenere le risate quando ricevono l’argento a pari merito che sembra scritto da uno sceneggiatore di Netflix. Difficile dire chi dei tre sia il più contento, di sicuro Schooling ha l’espressione di uno che si è imbucato a un matrimonio facendo finta di essere un cugino dello sposo.

Legacy

A Tokyo 2020 László Cseh è arrivato settimo nei 200 misti, nuotando la sua quarta finale nella gara in cinque Olimpiadi. L’oro è andato a Wang Shun (classe 1994), mentre Lochte non è riuscito a qualificarsi e Phelps è ormai ritirato già da cinque anni.

La coda della sua carriera è stata meno scintillante di come forse aveva immaginato, ma non sembra averci dato molto peso: “Ho sentito Michael, era a casa coi bambini e mi ha fatto i complimenti” ha detto dopo aver nuotato tre turni al massimo della sue possibilità (come suo classico), per tre volte 1’57” a quasi trentasei anni di età. Un pò come accaduto per Federica Pellegrini, abbiamo dovuto immaginare lo stadio pieno di gente in piedi ad applaudirlo, in segno di rispetto per uno dei grandi del nuoto contemporaneo.

Quello che lascia László Cseh è un vuoto forse incolmabile nel cuore degli appassionati di nuoto duri e puri: una figura nostalgica e rassicurante, un uomo che ha saputo trarre il meglio da ciò che aveva, migliorarsi e reinventarsi al momento giusto, non mollare alle prime difficoltà. Un talento acquatico raro, un mix puro di tecnica e tenacia, capace alzare il livello di qualsiasi gara solamente con la sua presenza.

Uno che anche se ti batteva, o batteva il tuo nuotatore preferito, non potevi che volergli bene.

Foto: Fabio Cetti