I Campionati Italiani Assoluti primaverili sono terminati da pochi giorni.
Da tradizione sono indicati come il primo giro di boa della stagione, ma questa volta il significato è decisamente più profondo: ora possiamo finalmente dire che il nuovo quadriennio olimpico è davvero cominciato.
Il nuoto italiano degli ultimi 16 anni, corrispondenti a 5 rispettive edizioni di giochi olimpici, ha fatto emergere tratti contrastanti.
Come ho avuto già modo di affermare diverse volte l’edizione di Sydney 2000, a oggi ancora l’apice storico del nuoto italiano, ha rappresentato una vera e propria linea di demarcazione tra un passato fatto di pochi lustri e un periodo a seguire (corrispondente al dopo 2000 per arrivare a Rio 2016) con due facce opposte: quella bella è rappresentata da un’onda carica di voglia di praticare il nuoto che si è alzata all’improvviso come mai prima.
Purtroppo l’evidenza dei fatti ci ha fatto constatare che quell’onda non è stata in grado di proiettare l’Italia tra le nazioni di vertice del panorama mondiale, ecco quindi la faccia meno bella. I risultati parlano chiaro, nel senso che l’aumento esponenziale del numero di tesserati ha fatto proliferare un mondo giovanile che negli anni novanta non era minimamente paragonabile, abbiamo assistito alla creazione di una fucina di talenti che purtroppo hanno mancato l’ultimo step, quello più importante!
Abbiamo assistito a una quantità spaventosa di medaglie agli Europei giovanili, ricordo sempre le edizioni di Palma de Majorca 2006 e Praga 2009 che da sole hanno fatto più medaglie di quasi tutte le altre edizioni del decennio precedente, come i Mondiali Juniores di Monterrey 2008 e potrei andare avanti per molto tempo.
Il messaggio che voglio trasmettere è che il materiale umano a disposizione è sempre di più e di ottima qualità. E quest’anno, forse mai come prima, i campionati appena conclusi l’hanno confermato.
Un’altra onda si è alzata, e il nuoto italiano ancora una volta ha una grossa opportunità: proiettarsi veramente nel nuoto mondiale oppure rimanere in una situazione tendente a un valore medio, alzato ogni tanto da poche individualità, esattamente come è successo nell’ultima olimpiade.
La forza la deve fare il movimento, e a livello assoluto.
Dico questo proprio perché ho avuto modo di osservare in questi giorni diversi nuotatori giovani tecnicamente adeguati agli standard mondiali.
Entrando nella realtà che ho visto, come non poter iniziare con Giacomo Carini e Nicolò Martinenghi. Loro rappresentano già una realtà consolidata, perché hanno dimostrato a livello cronometrico di valere quei tempi, dal momento che li hanno confermati in più occasioni.
Ma il mio intento non è ricordare i tempi che hanno fatto, anche perché ci sono mille modi di nuotare una prestazione, prima del numero che appare sul display, vi è una quantità ben maggiore di movimenti e coordinazioni da analizzare. Poi stiamo parlando di rana e delfino, gli stili più faticosi, dispendiosi e complessi, motivo per cui le variabili in gioco aumentano considerevolmente.
Soprattutto nel caso di Carini possiamo parlare di completezza tecnica: il suo delfino almeno in Italia e unico, fatto di una grande coordinazione che lo porta a essere aperto al massimo a ogni aggancio di bracciata e a sfruttare al massimo la gambata in controfase (quindi con le braccia in spinta) per produrre la cosiddetta planata alla Michael Phelps; la sua ondulazione è quella che serve a contrastare il wave-drag e basta (le nuotate alte sull’acqua sono belle da vedere ma inefficaci!), mantenendosi sempre il più orizzontale possibile per minimizzare l’attrito frontale; in questo modo anche il tempo di esecuzione è ottimizzato al massimo.
La velocità prima di tutto come diminuzione del costo energetico, piuttosto che aumento di potenza metabolica.
Anche quest’ultima è fondamentale, e di sicuro non è stata trascurata dal suo allenatore, e gli ha permesso di un gran miglioramento anche sui 100 e di poter gestire un passaggio da gara internazionale sulla doppia distanza.
Se parliamo di velocità come prodotto frequenza×ampiezza, la chiave di miglioramento è proprio contenuta nell’aumento dell’ampiezza, figlia a questo livello di un incremento della forza e delle sue modalità di utilizzo nella prestazione; nel suo caso è normale vista l’età e avrà tutto il tempo di lavorare sul potenziamento muscolare richiesto.
Dal delfino alla rana, stile che ha avuto a livello mondiale la maggiore evoluzione tecnica e prestativa proprio perché ha appreso molto dal suo parente più nobile.
Essendo la rana la nuotata più critica in termini di attriti e propulsione degli arti superiori, è proprio sulle sue debolezze che ha costruito i suoi punti di forza: introduzione dell’ondulazione del bacino (per gli stessi motivi appena descritti) e dello sfruttamento sempre maggiore almeno della fase di trazione della bracciata, cercando un aggancio sempre più rapido e deciso come nella farfalla.
Proprio quest’ultimo aspetto ha introdotto delle problematiche maggiori in termini di coordinazione, tant’è vero che azzeccare la frequenza giusta è sempre molto complicato e soggettivo proprio perché le caratteristiche fisiche-antropometriche sono molto diverse in ogni atleta. In ogni caso la nuotata a rana che sfrutta questo particolare necessita dell’introduzione di una serie di contro-movimenti per poi sfruttare nella seconda parte la propulsione tradizionale del colpo di gambe; in altre parole è quello che serve per rendere la nuotata più continua possibile dalla ricerca dell’appoggio fino alla distensione dei piedi.
Analizzando la nuotata del giovane talento lombardo, si può proprio dire che nuota con il bacino molto più alto e il miglioramento si è visto, questo dettaglio ho avuto modo di notarlo già ai Criteria, ovviamente essendo ancora carico di lavoro i tempi non erano veritieri, agli Assoluti in vasca lunga lo sono stati doppiamente!
Per quanto riguarda i contro-movimenti di cui parlavo prima, può sicuramente migliorare, vista la giovane età è più che normale, anche perché presenta una gran trazione di braccia degna di un nuotatore evoluto. In questo modo, ottimizzando i contro-movimenti, potrà sfruttare ancora di più il colpo di gambe sui 200, distanza dove ha fatto sempre un gran miglioramento, ma forse è finito un po’ fuori giri nella seconda parte di gara.
Su questa disciplina voglio spendere più di una parola: finalmente Luca Pizzini ha fatto vedere quello di cui è capace – anche grazio allo stimolo di Martinenghi – un gran talento a livello giovanile, ma che si è fatto vedere a livello assoluto solo l’anno scorso con la medaglia agli Europei: risultato di altissimo valore, ma dove ancora non venivano espresse le sue capacità a pieno regime.
Ora se proprio vogliamo citare un tempo, è bene mettere in risalto il suo parziale del secondo 50: 32”97, ma soprattutto con 32 cicli di bracciata al minuto, si commentano da soli!
Questo vuol dire nuotare bene – e veloce, altrimenti essere belli è fine a se stesso – e saper fare un 200, perché come insegnava il grande maestro Fulvio Albanese, il secondo 50 è quello che dà il ritmo alla gara. In questo caso ci è riuscito pienamente, se proprio vogliamo fargli le pulci ha ceduto un po’ gli ultimi 10 metri, ma questa è stata la prima volta che ho visto tremare veramente il record di Loris Facci (allievo del grande Fulvio!).
Sono convinto che la prestazione di Pizzini non è un caso, il colpo in canna era pronto: a tal proposito è stato bravo il suo attuale tecnico a finalizzare il lavoro, si vede come insistono sulla prima parte di gara – guardate le prestazioni di Federica Pellegrini gli ultimi 3 anni – in acqua e a secco, l’allenamento moderno deve proprio tenere conto di un cambio dei prerequisiti di gara che sono cambiati, ma le basi sono frutto di un allenamento altamente specifico per la rana svolto gli anni passati.
Le medaglie della rana maschile degli ultimi 7 anni sono firmate Fabio Scozzoli (finalmente tornato a nuotare come ai tempi migliori) e Luca Pizzini, ma con sempre Tamas Gyertyannfy a bordo vasca!
Se rimaniamo sempre su questa disciplina, ma ci spostiamo a livello femminile, segnatevi un nome: Giulia Verona; anche se non è ancora una realtà come Martinenghi ha dimostrato di avere tutto il bagaglio tecnico per emergere, diamogli il tempo che serve.
I protagonisti non si fermano alla rana, anche lo stile libero maschile ha dato un gran segnale di risveglio, e soprattutto abbiamo una generazione di talenti unica dal punto vi sta genetico. Come dichiarato da Claudio Rossetto a Swimbiz: «se non sfruttiamo questa generazione di ’97-’98 attorno ai 2 metri di altezza significa che non avremo capito nulla».
Ragazzi come Vendrame, Miressi, Bori, e lo stesso Zazzeri sono gli stileliberisti che l’Italia non ha mai avuto prima d’ora.
I tempi soprattutto nei 100 stile libero sono sotto gli occhi di tutti, ma proprio in virtù di queste caratteristiche fisiche mi sarebbe piaciuto vedere questi ragazzi esprimersi su più distanze, intendo dai 50 ai 200; come hanno fatto nei loro stili Martinenghi e Carini (non è solo per la loro posizione nel ranking mondiale che li ho citati per primi).
E sempre rimanendo nello stile libero Detti dovrebbe essere l’esempio per questi giovani su come esprimersi al massimo su diverse distanze dello stile libero, la risposta più netta è la sua prestazione sui 200: non conta il passo gara da allenare e la distanza specifica, ma l’acquisire un bagaglio tecnico più ampio possibile, e in questo Detti prevale nettamente su Paltrinieri, merito anche dei suoi allenatori (Corrado Rosso in primis ai tempi della Nuoto Livorno) che gli hanno sempre tenuto aperte più porte possibili, evitando la specializzazione precoce, il vero danno del nostro nuoto giovanile.
Sempre Detti con le sue prestazioni superlative in più distanze deve far porre l’accento su una filosofia basata sul duro lavoro, altrimenti il salto di qualità è praticamente impossibile.
Tornando alla gara regina, le prestazioni sono state di assoluto valore in virtù della giovane età, ma al momento solo in chiave staffette. Si sono viste a confronto diverse situazioni di allenamento e tecniche di nuotata, ma siamo ancora distanti dallo stile libero degli australiani, secondo il sottoscritto il migliore per utilizzo ottimale del tronco e della propulsione di gambe (nessuno le allena come gli australiani).
Le caratteristiche e background comune di questi giovani sarebbe un input ideale per far nascere un progetto di alto livello volto allo stile libero maschile, anche in ottica 4×100 e 4×200. Guardate l’accoppiata Paltrinieri-Detti cosa è stata in grado di fare in questo quadriennio, nel caso di questi altri giovani sarebbe un gruppo molto più nutrito, non dimentichiamo anche Filippo Megli, l’unico che ha dato segnali importanti nei 200 stile (con una nuotata molto ben impostata), specialità che ha sofferto molto per carenze tecniche, ma soprattutto metodologiche: in questa distanza i prerequisiti di gara sono cambiati radicalmente, come ho accennato prima nel caso dei 200 rana.
A proposito di progetti, sempre Sempre Claudio Rossetto alla Gazzetta dello Sport ha messo in evidenza alcune problematiche sulla difficoltà di far effettuare ai giovani l’ultimo step in modo da riuscire a canalizzare quei 10-20 talenti di cui disponiamo: oggi manca ancora il giusto confronto e la condivisione tra gli allenatori, sia per far crescere gli atleti, che per aver il coraggio di sperimentare nuovi modi di allenare.
Il suo messaggio è chiaro: molto spesso non sono gli atleti a non voler crescere, ma certi allenatori che vogliono rimanere nel proprio guscio. La presenza di questi numerosi talenti dovrebbe essere un ulteriore opportunità e stimolo tutti quanti, così da creare definitivamente questa struttura che fino ad oggi è sempre mancata, in modo da remare tutti nella stessa direzione.
Come ci hanno insegnato questi Assoluti, i nostri ragazzi hanno dimostrato di essere perfettamente adeguati per competere a livelli stellari, su tutto il resto che gravita attorno, che però risulta determinante per mettere nella condizione i nostri atleti di esprimersi, qualche dubbio è ancora legittimo.
In ogni caso lo scopriremo solo nuotando!
Foto: Fabio Cetti | Corsia4