Mi accingo a citare quell’edizione anche come punto di partenza per questa analisi tecnica. È fuori discussione che allora si assistette a delle imprese rimaste vive per sempre legate allo stile libero prolungato maschile: 200-400-800-1500 stile libero portati in una nuova dimensione da due soli atleti: Ian Thorpe e Grant Hackett.
Il trittico formato dal tunisino Ahmed Hafnaoui, dall’americano Bobby Finke, e dall’australiano Samuel Short, sintetizza al meglio quanto accaduto dai 400 ai 1500 stile libero maschile. Tre nazioni differenti, tre continenti differenti, ma stessa capacità di far riecheggiare quelle imprese storiche, senza dimenticare il tedesco Lukas Martens capace di elevare il livello medio dei 400 stile libero con un podio a 3’42”20.
Se estendiamo lo stile libero a livello globale considerando le altre distanze si può dire che l’Australia si conferma a livello complessivo la patria dello stile libero, sia maschile che femminile e in tutte le distanze, da questo punto di vista ancor di più oggi che vent’anni fa. Si può affermare che è stato un Mondiale all’insegna della terra dei canguri: aggiungiamo Cameron McEvoy e Kyle Chalmers, dominatori indiscussi delle distanze più brevi; Mollie O’Callaghan e Ariarne Titmus, non hanno bisogno anche loro di presentazione.
Queste ultime capaci di dominare dai 100 ai 400 stile libero infrangendo il record della distanza intermedia della nostra Federica Pellegrini. Ariarne Titmus è stata anche capace di affacciarsi agli 800 stile libero, al momento in forma esplorativa, vista una tattica di gara molto tranquilla, ma capace di chiudere in 28”91 l’ultima vasca, più veloce che nei 200 stile libero.
La riflessione tecnica che a questo punto viene da fare, osservando proprio gli australiani, femmine e maschi senza distinzione, pone l’accento su uno stile libero universale dal punto di vista tecnico: indipendentemente dalla distanza ci sono contenuti tecnici della nuotata che sono universali.
Saper sfruttare al massimo le leve corporee degli arti superiori con gli angoli ottimali per una bracciata sempre più profonda e sfruttando al massimo i muscoli del tronco (gran dorsali), che rimangono il vero motore della nuotata così come l’uso delle gambe ormai diventato imprescindibile anche nelle distanze più lunghe visti i rush finali cui assistiamo oggi ma anche con i mostri sacri dei primi anni 2000.
Non è un caso che tutti questi atleti hanno queste caratteristiche ben sviluppate e per l’appunto non è solo una questione di talento o di genetica, ma anche e soprattutto metodologica. Nel caso dell’utilizzo degli arti superiori in modo ottimale è necessario avere sviluppati dei livelli di forza adeguati; nel caso di un utilizzo importante delle gambe, è doveroso ricordarsi che stiamo parlando di muscoli che consumano parecchio ossigeno, pertanto, andranno allenate in relazione allo sforzo specifico della gara, con il giusto impatto metabolico.
Per comprendere meglio quest’ultimo punto passiamo a parlare di un altro nuotatore degno di nota in questo mondiale appena concluso: il francese Leon Marchand.
Risulterebbe superficiale soffermarsi sulla prestazione cronometrica dei 400 misti, quanto invece sono rimaste impresse sotto gli occhi di tutti le subacquee formidabili, in particolar modo nella frazione conclusiva a stile libero. Uso delle gambe, ma anche di tutto il corpo in questo caso. Si è parlato ormai all’infinito della tecnica del quinto stile e del movimento ondulatorio da compiere sott’acqua che presuppone un gran lavoro tecnico, sulla mobilità articolare in primis. Tutto giusto per quanto riguarda l’apprendimento tecnico. Ma se si vuole sfruttare veramente questo skill in condizioni simili quella della gara, il discorso è molto diverso: deve essere allenato al pari della nuotata completa e quindi va sviluppato e migliorato in base alle condizioni che l’atleta incontrerà nella competizione.
In sintesi, le serie di allenamento volte a colpire i diversi tipi di stimoli dovranno inglobare anche questo aspetto. Si tratta di un approccio al lavoro differente per non dire opposto rispetto ad alcuni retaggi del passato, soprattutto per quanto riguarda la scelta degli intervalli di recupero ottimali.
Altra disciplina su cui è bene soffermarsi è la rana maschile; sebbene il livello medio non sia stato così alto rispetto ad altre edizioni, è stata scritta un’altra pagina importante di storia dall’emergente cinese Qin Haiyang. Nessuno era riuscito a vincere le tre discipline della rana contemporaneamente e con prestazioni da vertice mondiale: record del mondo nei 200, seconda prestazione mai nuotata nei 100 e tra i primi cinque di sempre nella distanza più breve.
Osservando le sue gare si nota una rana di stampo moderno: trazione della parte superiore ben sfruttata con un’eccellente coordinazione e apporto di gambe e traiettorie della bracciata essenziali prendendo i giusti spazi. Rispetto ad altri ranisti emerge nell’atleta cinese una capacità di adattamento della coordinazione in base al tipo di distanza, che rappresenta il vero punto chiave per poter emergere in tutte e tre le discipline.
La rana, come detto altre volte rappresenta probabilmente lo stile che più di tutti in allenamento ha bisogno di nuove concezioni e accortezze particolari, altrimenti risulterebbe vano ogni sforzo nel tentativo di migliorare la prestazione. Quanto mostrato in vasca conferma sempre di più che certi tempi sono legati a una costruzione tecnica ben precisa che non lascia nulla al caso, e presuppone schemi che vanno perseguiti sin dal primo giorno di preparazione.
Con le tematiche appena illustrate non si ha la presunzione di dare consigli oppure, niente di più sbagliato, delle ricette di come ci si deve o non deve allenare. Perché l’evoluzione del nuoto è fatta di osservazioni e riflessioni profonde, e questa edizione giapponese è stata ricca di spunti in tal senso.
Detto ciò, concludiamo con un’analisi della prestazione dell’Italia. Esattamente come 22 anni fa la nostra Nazionale ha ottenuto ben 6 medaglie, ma che hanno un significato ben diverso. Allora erano tutte portate dal settore maschile da un movimento che aveva appena iniziato l’ascesa e con un livello medio generale nettamente inferiore a questo. Ora si tratta di successi che da una parte danno consapevolezza che qualcosa di buono è stato fatto, ma non devono nascondere le carenze che ancora sono presenti.
Proprio le riflessioni tecniche sopra riportate lasciano intendere in questo senso, sempre avendo osservato alcuni nostri atleti e atlete in alcune discipline. Per quanto siamo una delle Nazioni protagoniste è evidente che nonostante i numeri dell’attività giovanile che crescono perdiamo ancora troppi futuri campioni causa della mancanza di una visione e soprattutto di progetti a lungo termine.
Perché per essere ambiziosi è necessario saper lavorare duro sempre, ma in modo coerente per l’età, e senza trascurare alcun aspetto dell’allenamento, in acqua e fuori.
Foto: Fabio Cetti | Corsia4