Michael Phelps - da teamusa.com src=Quando è uscita la notizia del ritorno alle competizioni di Michael Phelps quasi quasi non ci credevo.
Tempo fa, in momenti non sospetti, avevo casualmente fatto degli esempi su come scrivere una news in homepage qui sul forum ed il mio esempio era proprio questo: Il Kid è tornato!

Ora, non so se esserne felice, interessato, deluso, triste, emozionato… forse tutto questo insieme. Michael Phelps non è un nuotatore qualsiasi, è una leggenda vivente del nuoto mondiale. Non serve di certo citare il suo palmares, basta vedere il tumulto mediatico che si è scatenato intorno all’evento di Mesa dello scorso fine settimana (di per sé uno dei tanti della stagione agonistica, per quanto primo rientro in acqua di molti big del nuoto a stelle e strisce) per capire cosa significhi il suo ritorno in vasca.
Come sarà solo il tempo potrà dircelo, ma possiamo sicuramente già dire qualcosa: non sarà uno dei tanti ritorni. Sarà UNICO, come tutto quello che ha ruotato intorno a lui negli ultimi 15 anni! Anni in cui il suo nome ha sempre risuonato, dalle prime avvisaglie ai più grandi successi, come la punta di diamante dello sport che tanto amiamo. Il mondo della piscina si è mosso con le gesta di Michael ed il mondo dei media gli è venuto dietro come un carrozzone alla ricerca della notizia che prima non interessava a nessuno (o ai soliti pochi: noi patiti e drogati di cloro); certo, ci sono i fenomeni nostrani che richiamano i media ad ogni respiro, ma nessuno al mondo ha smosso l’interesse di tutti i notiziari mondiali rispetto al nuoto quanto Phelps.

Insomma, sono curioso.

Curioso di vedere come sarà il suo vero ritorno agonistico, quali saranno le gare in cui deciderà di cimentarsi, quali saranno i risultati che riuscirà ad ottenere.

Ma non solo questo, mi domando anche e soprattutto cosa possa significare questo ritorno.
Sembra proprio che la difficoltà di abbandonare definitivamente il cimento agonistico sia per noi nuotatori veramente complicato. Di questo periodo l’ultima notizia, tristissima peraltro, di un altro grande di questo inzio millennio che non riesce ad uscire dalla sua depressione post abbandono. Il grande (in tutti i sensi) Ian Thorpe, l’australiano che ha strabiliato il mondo del mezzofondo, ha fallito. Ha fallito il rientro (o meglio, il rientro olimpico!), il ritorno a qualcosa che evidentemente gli manca più di tutto.
Noi nuotatori, e soprattutto i più fortunati (quelli che raggiungono il successo), abbiamo una grande difficoltà ad abbandonare l’ambiente piscina, il mondo degli allenamenti, la carica di adrenalina di una gara. Perché?
Per tutta la vita abbiamo passato quasi più ore in acqua che a scuola, sicuramente più che a studiare. La piscina è quello che conosciamo (anche a basso livello il nuoto richiede un impegno incredibilmente elevato, imparagonabile con quello di altri sport maggiori come calcio, pallacanestro o pallavolo), la squadra e l’allenatore sono le persone con cui passiamo più tempo ed i nostri amici con cui condividiamo tutto, i collegiali sono (quasi) le nostre vacanze, le gare sono i nostri fine settimana. Con il risultato di vivere in un mondo parallelo, in un mondo chiuso, in un mondo un po’ oppressivo ma che diventa la nostra campana di vetro che ci protegge da tutto quello che c’è intorno a noi. E quando questa magia protettiva finisce ci troviamo invariabilmente davanti al dilemma su cosa fare della nostra vita. Ed i grandi campioni a fine carriera si trovano più tardi di altri a dover decidere cosa fare lontano dai riflettori, spesso senza l’ausilio della propria fortuna acquatica. Ecco che l’auspicio di un utente del forum per la creazione di un qualche sistema di accompagnamento psicologico al termine dell’attività agonistica non sembra più così fuori dal mondo!

E Michelone? Beh, sono sicuro che Phelps riuscirà a stravolgere anche questo “tabù”, in un modo o nell’altro; aprirà nuove strade anche in questo, dopo aver aperto le autostrade in acqua, aver spalancato gli occhi di tanti appassionati, aver richiamato dietro di sé file e file di nuotatori che vivevano (e vivranno) per poter dire di aver sconfitto il Kid di Baltimora, aver creato innumerevoli emulatori della polivalenza e, soprattutto, aver fatto scrivere fiumi interminabili di parole come quelle che sto buttando giù io adesso: semplicemente infinite, inutili e contemporaneamente estremamente vere.