Cosa rimane di questo Assoluto 2017?
Tante considerazioni e parecchi numeri ve li hanno già lasciati Bierre, Roberto e i nostri statistici Luca (leggi QUI l’analisi in numeri) e Marco.
Ma qualcos’altro da raccontare ancora c’è!
Intanto una premessa: questi italiani post Olimpiadi erano forse attesi più da noi appassionati per la nuova formula di qualificazione stile Trials che dagli stessi atleti, molti dei quali potevano permettersi anche un anno più tranquillo dopo il quadriennio che ha preceduto Rio.
Ma come abbiamo visto i giovani scalpitano e la new generation è pronta a far saltare qualche testa, quindi meglio tenersela ben salda al collo e occupare i posti sul volo verso Budapest.
Vecchi o giovani poco importa dunque, i cinque giorni romagnoli hanno dato conferma della buona scelta della Federazione di impostare le qualificazioni in questo nuovo metodo, dando dimostrazione di quanto il livello del nuoto azzurro sia in continua crescita.
Quando poi guardo i 400 stile di Gabriele Detti sono in uno strano stato confusionale con la speranza che abbatta quel vecchio primato e il dispiacere nel vedere “cancellato” uno dei miei idoli di gioventù. Pensare che nel 2000 il buon Max Rosolino nuotava tempi di livello assoluto ancora ai giorni oggi fa impallidire.
Spinto dalla curiosità mi butto alla ricerca di quanto nuotato nei primi anni 2000 ai Campionati Italiani, imbattendomi sul sito FIN nei primi risultati dei Campionati Primaverili Assoluti di Brescia del 2002.
Si arrivava lì dopo il bel mondiale nipponico di Fukuoka e con l’obbiettivo di centrare la qualificazione per gli Europei di Berlino (leggi i tempi limite).
Da quei giorni sono passati 15 anni e i tempi, ovviamente e fisiologicamente si sono tutti abbassati decisamente. Ma quello che può rendere orgogliosi tutti – dai tecnici federali agli istruttori delle scuole nuoto e, perché no, anche noi dell’informazione – è che il livello medio si è decisamente alzato.
Non sono parole buttate al vento, e questi numeri lo dimostrano.
Ecco il confronto fra i tempi del primo classificato del 2002 e quello di quest’anno e fra quelli dell’ottavo crono utile per la finale sempre del 2002 e quello del 2017.
Come si può vedere il gap che separa l’oro e l’ottavo tempo di qualifica nel 2002 è nella maggioranza dei casi molto più ampio rispetto al distacco tra il vincitore di quest’anno e il crono nuotato dall’ultimo qualificato per la finale.
Su 17 gare succede 12 volte in campo maschile e 13 in quello femminile.
Il distacco, dunque, pare essersi assottigliato tanto che è quasi più difficile, con le dovute proporzioni, entrare in finale che vincere.
Un esempio per chiarire: nella gara regina al maschile, Lorenzo Vismara vinceva nel 2002 in 49″69, con il tempo utile per la finale fisso a 51″58, con uno scarto dunque di 1″89. La scorsa settimana Luca Dotto confermava il suo titolo italiano vincendo in 48″66 mentre per entrare fra i migliori otto ci voleva 49″60, con un differenziale di 0″94 centesimi.
Guardando un po’ tutte le gare troviamo questo margine fra primo e ultimo qualificato più basso nel 2017 che nel 2002.
Ovvero? A fronte di un abbassamento generale dei tempi è andata aumentando la densità delle prestazioni.
Ma per essere sicuro di questo dato ho confrontato anche il miglioramento che c’è stato fra il tempo ottenuto dal primo nel 2002 e il primo nel 2017 e fra quello dell’ottavo qualificato nel 2002 e l’ottavo qualificato nel 2017.
Sostanzialmente si rispettano i valori visti prima: in quasi tutte le gare si è abbassato maggiormente il crono di accesso in finale che quello della vittoria.
Ma non su tutte le gare vale questo ragionamento. Le eccezioni eccellenti sono motivate dalle prestazioni fuori dal normale dei vincitori. In campo maschile infatti su 400, 800 e 1500 è maggiore il gap tra primo e ottavo in questo 2017 che nel 2002. Stesso discorso se guardiamo il miglioramento cronometrico, con il tempo utile per la finale che si abbassa meno rispetto a quello utile per vincere invece che aumentare.
Merito indiscusso delle prestazioni di Detti ( 400 e 800 ) e Paltrinieri ( 1500 ) che scavano un solco con i rivali ben maggiore di quello scavato a loro volta da Brembilla ( 400 e 1500 ) e Minotti ( 800 ).
Discorso simile per i 100 rana di Martinenghi e i 200 farfalla da record di Carini mentre in campo femminile la Pellegrini sbilancia i conti nei 200 stile.
Diverso il discorso per le altre prove al femminile: negli 800 stile, 100 farfalla e 400 misti si è migliorato maggiormente il crono per la vittoria rispetto a quello per la finale: merito, più che di una punta, di un intero movimento che in quelle distanze è cresciuto lentamente in questi 15 anni, spinta dalle prove nel tempo di Filippi e Bianchi.
Infine un occhio stile per stile: le distanze veloci dello stile libero ( 50 e 100 ) mostrano una riduzione del gap tra primo e tempo per la finale sia in campo maschile che femminile. Discorso uguale per il dorso in entrambi i sessi: dal 50 al 200 i tempi per entrare fra i primi otto si sono abbassati di più rispetto a quelli per la vittoria.
Alla rana manca l’en plein per “colpa” del boom di Martinenghi nei 100, mentre nella farfalla solo i 50 registrano un miglioramento seppur risicato (3 centesimi al maschile e 2 al femminile). I misti non chiudono il cerchio per il buon livello registrato nei 400 donne e la buona prova di Stefania Pirozzi.
Chiudo questo pezzo vagamente amarcord ricordando che se i giovani d’oggi hanno contribuito attivamente a questo miglioramento generale delle prestazioni ci sono un paio di ragazzi che in quel lontano 2002 erano già in vasca a sgomitare per una finale.
Indovina chi? Già, proprio la coppia Magnini–Pellegrini!!!
(Foto copertina: Fabio Cetti | Corsia4.it )