Giovedì scorso, le mie timeline social e le chat di Whatsapp erano invase di commenti sul docufilm di Raoul Bova, Ultima Gara, trasmesso in prima serata da Canale 5 e con protagonisti l’attore romano ed i nuotatori Manuel Bortuzzo, Massimiliano Rosolino, Emiliano Brembilla e Filippo Magnini.

Non avendolo visto in diretta, l’ho recuperato nei giorni successivi, spinto dalla curiosità suscitata proprio in quelle ore e dai commenti, positivi e negativi, che la mia “cerchia” mi aveva regalato.

Se state leggendo, significa che siete dei nuotatori, ex nuotatori o appassionati di nuoto, quindi conoscete sicuramente l’argomento e la trama. Rimanendo rigorosamente no spoiler per chi volesse guardarselo – in streaming su Infinity – dico solo che si racconta il percorso che i quattro nuotatori (Bova compreso) intraprendono per tentare di battere il record del mondo della 4×200 stile master.

Provo a fare un po’ di ordine nelle idee che ho e in quelle che ho sentito. Giuro che potete leggere anche se non avete visto, non vi rovinerò lo spettacolo.

Perché mi è piaciuto

Quello che esce da Ultima Gara, è un’introspezione sul trascorso passato di ognuno dei protagonisti, una sorta di riflessione sulla propria vita e sulle esperienze, sportive e non, viste sempre con l’occhio del nuotatore. È proprio questo taglio che probabilmente riesce a far breccia nel cuore di chi ha vissuto o vive un rapporto particolare con l’acqua e con il mondo del nuoto, e che quindi si può facilmente riconoscere con alcune dinamiche vissute dai campioni del film.

La sfida infinita contro sé stessi, la voglia di migliorarsi e di crescere, la ricerca di consensi da parte dei propri genitori o allenatori, sono tutti scenari che abbiamo vissuto, ognuno a modo suo, ma in maniera simile e riconducibile all’esperienza di molti altri. Come ne siamo usciti, quello che ci ha lasciato il nuoto una volta appeso il costume al chiodo, è il fattore comune che ci fa sentire ancora legati, parte di una grande comunità. Che ci fa pensare di avere qualcosa di speciale, una sorta di piccola eredità clorata.

Che le situazioni rappresentate nel film siano vere o verosimili, non è così rilevante ai fini del racconto. Per apprezzare il prodotto basta riconnetterlo alla propria esperienza. O perlomeno, io ho fatto così, e non ho saputo trattenere le lacrime.

Ma è piaciuto a tutti?

Inutile nascondersi dietro un dito, c’è anche una buona fetta di pubblico alla quale Ultima Gara non è piaciuto. Il risultato di ascolti, innanzitutto, non è stato esaltante: Raoul Bova è passato dal quasi 20% del giovedì precedente (il 27 maggio) totalizzato con l’ultima puntata della fiction Buongiorno, mamma! al poco più del 10% con Ultima gara , che per la rete ammiraglia Mediaset in prima serata è un dato mediocre. In realtà, non c’era da aspettarsi molto di più per un prodotto incentrato su uno sport molto popolare, ma anche molto poco cinematografico. Proporre Ultima Gara nel prime time è stato un azzardo che ha pagato a metà.

Se la filmografia sportiva fosse una torta, la fetta maggiore ce l’avrebbe la boxe, poi ci sarebbero il baseball o il football, forse il basket ed il golf, gli scacchi e il tennis. Dopo arriverebbe anche il calcio, quasi a parimerito con il braccio di ferro. Il nuoto avrebbe le briciole. Tentativi ce ne sono stati, tutti abbastanza dimenticabili, dai trials olimpici riproposti in Baywatch (con il guardaspiaggia Cody Madison improbabile campione nei 100 stile) a Pride – la forza del riscatto, che ripropone il tema delle minoranze non raggiungendo però le vette di altri prodotti con altri sport.

C’è da dire che Raoul Bova, da questo punto di vista, è stato più che ammirevole. Ci aveva già provato, con la fiction Come un delfino, che ha addirittura raggiunto l’obiettivo della conferma in una seconda stagione, ma le parti migliori della serie tv non erano di sicuro quelle sportive (gare ed allenamenti proposti in modo abbastanza grossolano) ma quelle dedicate alle storyline tra i protagonisti.

Anche a quei tempi, ricordo un discreto successo generale accompagnato da un altrettanto discreto polverone polemico tra i nuotatori.

“Fanno ridere!”, “Non sanno neanche nuotare!”, “Si dice coach, non mister!”, erano i commenti più ricorrenti.

Anche in quel caso, il nuoto era un mezzo per il racconto, e non il fine.

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Quanto è difficile raccontare il nuoto

Di base, moltissimo. Il nuoto è uno sport noioso negli allenamenti e velocissimo nelle gare, con un’azione tecnica subacquea perlopiù incomprensibile agli occhi non esperti di un pubblico generalista; molto più semplice mettere in scena una tragedia incentrata su un violento e sanguinoso incontro di boxe, che di per sé è già un film fatto e finito, o una lunga partita di baseball, dove l’azione è ripetuta infinite volte ed è quindi narrativamente perfetta. A differenza di questi sport, nei prodotti cinematografici e televisivi sul nuoto, quasi mai il nuoto è il vero protagonista.

Anche in Ultima Gara, le parti sportive sono un contorno alla storia e i protagonisti si raccontano in base al nuoto, lasciandolo però sempre sullo sfondo. Le gare sono riproposte solo in modo onirico, come ricordo sbiadito, oppure visualizzate in piccoli spezzoni di filmati d’epoca. Le immagini degli allenamenti, soprattutto quelli nel lago, sono suggestive e montate con maestria, ma capisco che siano molto più emozionanti per chi ha vissuto quelle esperienze, magari in maniera diretta, che per chi vede il nuoto se va bene una volta ogni quattro anni.

Per un pubblico generalista, invece, restano poco più che un intermezzo tra un dialogo e l’altro. Questo per rispondere ai duri e puri che avrebbero voluto più immagini veritiere di allenamenti e gare, che magari sono gli stessi che non guardano la ISL “perché quello non è nuoto”.

Cosa ci lascia?

Non vincerà l’Oscar e neanche il Telegatto, ma Ultima Gara rimane a modo suo un evento storico per gli appassionati del nostro sport. Chi tra i nuotatori lo ha guardato con l’occhio giusto, non può che essersi sentito protagonista, per una sera, del palinsesto mainstream. Ci siamo presi per due ore quello spazio che di solito è occupato dai calciatori, mettendo in mostra un certo orgoglio di appartenenza alla comunità delle piscine in un momento storico, tra l’altro, non proprio positivo.

Se questo è successo, non dobbiamo dimenticarci che è solo ed esclusivamente grazie a Raoul Bova ed al suo mai celato attaccamento al nuoto, sport che lo ha evidentemente formato non solo nel fisico. È diventato famoso per la sua bellezza e per la sua capacità interpretativa, ma spesso ha ricondotto questi suoi successi alla gavetta che ha fatto nel nuoto. Ultima Gara è il ringraziamento finale, una sorta di dichiarazione di riconoscenza alle piscine.

Che poi se ci pensate, la sua storia non è poi così diversa dalla nostra. Quante volte ci viene da dire che, dopo aver attraversato un periodo difficile, ne siamo usciti grazie alla forza di volontà sviluppata in ore ed ore di vasche? Quante volte abbiamo attribuito i meriti dei nostri successi nella vita alla palestra di vita che è stata per noi la piscina? Se siamo quel che siamo lo dobbiamo anche al nuoto, alle gare vinte e perse, alle soddisfazioni ed alle delusioni. Se affrontiamo ogni giorno come se fosse una gara, lo dobbiamo anche a quella sgangherata medaglia della gara sociale che ancora ci ricordiamo, brillante e luminosa, sudata manco fosse un oro olimpico.

Non vergognatevi se Ultima Gara vi farà scendere una lacrima. Sarà di sicuro clorata.

See you later!

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