Buon mercoledì a tutti da Fatti di nuoto Weekly, la rubrica che torna con la stessa dirompente costanza di Katie Ledecky in un 1500 qualsiasi.

Ebbene sì, questa settimana c’è anche del nuoto nuotato, per cui: a posto… via!

G.O.A.T.

Un termine per il quale, ultimamente, c’è un abuso a volte anche fastidioso in tutto il mondo sportivo ma che mi sento di poter utilizzare accanto al nome di Katie Ledecky.

Nello scorso weekend, ad Orlando, la sette volte campionessa Olimpica ha nuotato 1.54.66 nei 200, 8.11.83 negli 800 e 15.40.63 nei 1500 stile. Per intenderci, negli 800 ha nuotato più forte della finale (vinta) di Tokyo 2020, con il tempo dei 1500 avrebbe vinto comunque l’oro Olimpico e con quello dei 200 sarebbe arrivata terza (invece che quinta).

Tutto in un periodo molto distante dalle gare, nel quale la prestazione da urlo non era necessaria; forse Ledecky ci voleva dire qualcosa, mandare un messaggio a chi pensava che il suo spostamento in Florida fosse un azzardo o anche a chi pensava che fosse sul viale del tramonto sportivo. La più grande mezzofondista di sempre non molla, mi sembra abbastanza chiaro.

Nella stessa manifestazione, hanno nuotato anche Dressel e Fratus (bellissima sfida nei 50 stile), Michael Andrew, Maggie MacNeil e molti altri atleti di alto livello, qui i risultati.

Inclusione ed Esclusione

Continuano gli aggiornamenti sulla questione atleti transgender e continua il polverone sul caso Lia Thomas. Se fino a qualche tempo fa le critiche sembravano arrivare solo dall’esterno, ora pare che anche alla Penn State University ci sia del malumore e che addirittura ci sia una politica di repressione per chi vorrebbe esprimere opinioni in disaccordo con la scelta di far gareggiare l’atleta tra le donne. Secondo Nancy Hogshead-Makar (Olimpionica a Los Angeles ’84 e tra le più attive nella critica) ci sarebbero linee guida che impediscono alle atlete dell’università di esprimere il loro disagio, di sentirsi penalizzate dalla partecipazione di Lia alle gare femminili.

Questo coro si aggiungerebbe alle ormai numerosissime testimonianze di chi ha paura che la deriva possa portare ad una progressiva distruzione dello sport femminile, cosa che è francamente curiosa quando, da qualche altra parte, sembrano esserci pericoli ben più gravi e strutturati. La soluzione a questi problemi sembra ancora molto distante così come la vera inclusione di Lia e di chi ha scelto un percorso simile al suo.

È stata quasi esclusa dalle gare Leidy Lyons, ragazza statunitense di dodici anni che si è presentata al blocco di partenza con un costume recante la scritta “Black Lives Matter”. Il giudice ha deciso prima di squalificarla perché la scritta violava la norma di USA Swimming sul linguaggio politico, poi ha ritrattato facendola gareggiare ed infine l’ha nuovamente squalificata, inserendo tra le motivazioni quella di un logo troppo grande, non conforme alla misura massima consentita per gli sponsor. Alla fine, dopo le proteste della madre, la squalifica è stata revocata e la ragazza compare regolarmente nella classifica. In ogni caso, un pasticciaccio brutto che rischia, come spesso accade, di togliere il focus dal vero obiettivo, quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema che negli USA è ancora molto caldo.

Per fortuna ci sono segnali anche in senso opposto: Anthony Nesty – allenatore capo alla Florida University dove segue Dressel, Finke e Ledecky – è stato scelto come head coach di USA Swimming per Budapest 2022. È il primo tecnico di colore a ricoprire questo prestigioso incarico.

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Carriere più o meno lunghe

Non sarà a Budapest Townley Haas, che ha annunciato il suo ritiro con un post su Instagram. È stato oro a Rio nella 4×200 stile ed ha nuotato nella ISL con i Cali Condors, ha solamente 25 anni ed è in netta controtendenza rispetto a molti dei suoi colleghi che provano sempre di più ad allungare la carriera. Uno su tutti, Nicholas Santos, che ha compiuto 42 anni il 14 febbraio e che non sembra voler appendere cuffia ed occhialini al chiodo.

Ha tre anni meno di lui Kaitlyn Sandeno, che si è già ritirata da un pezzo e che ora lascia anche la ISL, dove ricopriva il ruolo di general manager dei DC Trident. Il suo annuncio arriva qualche giorno dopo quello di Rob Woodhouse, GM dei London Roar, e i rumors dicono che potrebbero essercene degli altri nei prossimi tempi.

Il Ban dell’Olanda alla ISL

La Federazione Nuoto Olandese ha comunicato, attraverso una nota mandata ai suoi affiliati, che proibirà ai propri atleti di partecipare alla ISL 2022, pena l’esclusione dalla squadra che parteciperà ai Mondiali e agli Europei. Una mossa che potrebbe portare a diverse conseguenze, alcune immediate ed altre più a lungo termine.

Innanzitutto si tratta della prima mossa ufficiale che una Federazione decide di attuare per tutelarsi dalla possibilità che qualcuno scelga la partecipazione alla ISL in periodi che potrebbero coincidere con impegni ufficiali. Anche se remota, la possibilità che qualche atleta opti per le tappe americane della ISL e non per i Mondiali di Budapest c’è.

Sembra però che ci sia un problema di posizione dominante: è giusto costringere di fatto gli atleti a scegliere di non partecipare alla ISL? Un atleta che fa la ISL e si qualifica regolarmente per i Mondiali per gli Europei può essere escluso dalla squadra per una libera scelta? Domande legittime che attendono una risposta.

In ogni caso la FINA, in quanto organo di controllo e garanzia del mondo del nuoto, dovrà probabilmente intervenire e chiarire la sua posizione. Per il nuoto si apre un capitolo inedito che in parte ha già toccato altri sport, come il basket europeo, e che rischia di definirne il futuro in maniera netta.

See you later!

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