Nelle ultime discussioni e riflessioni sempre in tema di allenamento del nuoto moderno ci siamo quasi sempre soffermati sugli stessi punti focali:
- Un allenamento volto a migliorare la tecnica sempre correlata alla prestazione, quindi un programma di lavoro con l’obiettivo di migliorare l’ampiezza di bracciata.
- Un allenamento che non trascura in nessun modo la fisiologia, ma non la rende fine a se stessa, al contrario la considera al servizio della prestazione. Tradotto in termini pratici l’obiettivo è mettere il fisico nella condizione di fornire l’energia che è effettivamente richiesta nella prestazione e nei tempi giusti (di cui il concetto di potenza metabolica), il tutto riferito in maniera specifica alla disciplina interessata, intesa come stile e distanza di gara
- Non esiste l’allenamento dei velocisti o dei mezzofondisti, ma l’allenamento della specificità.
Sintetizzando i punti precedenti, come avevo illustrato in uno degli articoli precedenti – Training Lab, nuove forntiere oltre Budapest e Riflessioni di fisiologia natatoria – si era arrivati alle conclusioni seguenti:
- Un allenamento che tenga conto dei fattori intrinseci dello sport in oggetto; sia fisiologici che biomeccanici dal momento che vi è una correlazione, e solo così contengono l’informazione corretta sul vero costo energetico e quindi sui reali requisiti per progettare al meglio la macchina atleta nuotatore.
- Per adeguarsi a quanto appena riportato al punto precedente ci si trova di fronte a una realtà che impone senza troppe discussioni la strada dell’evidence-based coaching, quindi sulla reale conoscenza delle evidenze scientifiche del caso, da cui possa scaturire un programma di lavoro basato su tali evidenze.
Solo in questo caso possiamo parlare di veri paradigmi di allenamento. Il paradigma non è una parola scelta a caso, per come è stata definita in tempi remoti dalla filosofia della scienza.
Nel testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche il filosofo Thomas Kuhn ha definito paradigma scientifico come:
un risultato scientifico universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati
ovvero il paradigma costituisce e delimita il campo, logica e prassi della ricerca stessa. In altre parole i paradigmi servono a indirizzare il più possibile sulla strada giusta, aumentano la probabilità di successo.
Ecco quindi che ho deciso di fornire un esempio di ricerca scientifica sul nuoto che definisce proprio dei paradigmi condotta dal grande studioso americano David Pendergast, professore all’Università di Buffalo, che abbiamo avuto l’onore di ascoltare all’ultimo Convegno Nazionale degli allenatori di nuoto tenutosi a Torino il mese scorso.
La ricerca che ha presentato a noi italiani (siamo nel 2017) fu condotta in realtà nell’anno 2000, quando venne pubblicata sulla rivista americana Journal of Swimming Research. Il titolo dell’articolo è emblematico, e può fare a meno di una traduzione in italiano: “Training using the stroke frequency-velocity relationship to combine biomechanical and metabolic paradigms”.
Questo studio dell’americano è partito da un’analisi intrinseca caratterizzante la prestazione sportiva in oggetto; il punto chiave di questa ricerca è di essersi basati su osservazioni oggettive e riscontrate in vasca, non su preconcetti mutuati da altri sport, che si sono rivelati in passato solo fonte di miscredenze scientifiche. Questo studio è stato condotto su dei nuotatori maschi universitari, i quali sono stati monitorati nel loro allenamento per quattro anni. Questi atleti in esame provenivano da un precedente programma di lavoro basato prettamente su overdistance-training, quindi un allenamento sempre a basse intensità, con un volume di lavoro compreso tra 60000 e 80000 yard alla settimana (circa fra i 55 e 73 km).
Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare l’effetto di un nuovo regime di allenamento utilizzando velocità più alte e distanze di allenamento più corte, sulla relazione frequenza di bracciata/velocità, sul costo energetico della nuotata, sulla potenza e sulla capacità metabolica.
Il punto di partenza è stato quello di determinare le relazioni frequenza di bracciata/velocità per ogni nuotatore. I soggetti hanno svolto delle serie nuotate partendo con la spinta dal muro a velocità e frequenza costanti. Il nuotatore partiva alla frequenza minima e doveva ricercare la massima ampiezza. Poi la frequenza veniva aumentata e il nuotatore doveva mantenere la massima ampiezza fino a raggiungere la massima velocità possibile. Da allora in poi, il soggetto doveva aumentare esclusivamente la frequenza e non concentrarsi più sull’ampiezza. Tutto questo fino ad arrivare al punto di non riuscire a incrementare più la velocità con la frequenza, definendo così la velocità massima possibile del soggetto. La massima velocità per ciascuna frequenza è stata utilizzata nel tracciamento di una curva utilizzata per l’allenamento.
Sono stati poi raccolti i dati relativi al costo energetico per le velocità aerobiche, dopodiché per stimare il costo energetico alle alte velocità ci si è basati sulla considerazione seguente: la potenza anaerobica richiesta è definita come la differenza tra il totale di quella richiesta e quella proveniente dai processi metabolici ossidativi. A partire dai prelievi del lattato (considerando il valore di picco) tali valori sono stati convertiti in consumo di ossigeno equivalente sulla base dei dati di altre ricerche. È stato così ricavato il costo energetico complessivo in funzione della velocità.
Il programma di allenamento ad alta velocità utilizzato in questo studio è quindi basato sui dati biomeccanici e metabolici raccolti durante inizio e metà stagione per ciascun singolo nuotatore. Il programma di allenamento è durato 26 settimane. L’allenamento ad alta velocità è stato basato sulla relazione velocità/frequenza di bracciata, che è stata determinata ogni inizio e metà stagione per ognuno dei 4 anni. Il principio generale di questa allenamento ad alta velocità è stato quello di shiftare progressivamente per ogni atleta questa curva frequenza/velocità a una nuova curva teorica e da lì insegnare all’atleta la nuova ampiezza di bracciata necessaria per acquisire la nuova velocità obiettivo.
Questa ricerca è andata di pari passo con una vera e propria periodizzazione suddivisa nelle seguenti fasi.
Fase #1 – fase biomeccanica: allenamento a velocità moderate in modo da far concentrare il nuotatore sulla ricerca dei nuovi pattern biomeccanici di nuotata (senza eccessivi stress metabolici).
Dal momento che il nuotatore riusciva a raggiungere la velocità desiderata alla frequenza desiderata per almeno due sedute di allenamento successive, ecco che la velocità e la frequenza venivano incrementate e il nuotatore doveva mantenere l’ampiezza costante. Questa prima fase di allenamento durava approssimativamente 2-3 settimane. Le velocità medie di questa fase sono partite con 1,32 m/s per arrivare fino a 1,56 m/s. A questo punto i nuotatori si sono spostati verso la seconda fase e per ciascuno è stata aggiornata la nuova curva di velocità in base alla nuova massima ampiezza di bracciata acquisita.
Fase #2 – fase metabolica aerobica: è partita solo nel momento in cui il nuotatore era in grado di nuotare fino alla sua massima andatura aerobica.
Questa seconda fase dell’allenamento è stata disegnata con l’obiettivo di incrementare la massima potenza aerobica e la rimozione dell’acido lattico. Questo allenamento ha coinvolto il nuotatore alle velocità che lo stesso era in grado di sostenere per 10 minuti (intensità tra il 115% e il 129% del VO2max). Durante i 10 minuti successivi il nuotatore nuotava di continuo al 60% del VO2max in modo da ottimizzare la rimozione del lattato. Questo blocco era ripetuto tre volte nell’arco di un’ora di allenamento. Durante un periodo che è durato dalle 6 alle 7 settimane, con l’aumento della potenza metabolica dei soggetti la loro velocità di nuotata da 1,61 a 1,81 m/s.
Fase #3 – fase metabolica anaerobica: è stata progettata per incrementare la frequenza di bracciata alla velocità massimale, mantenendo o migliorando il VO2max, e aggiungendo l’allenamento deputato al miglioramento dei sistemi metabolici di tipo anaerobico.
Nel corso di questa fase durata 15-16 settimane, i nuotatori hanno nuotato progressivamente a frequenze e velocità sempre maggiori. Ogni volta che il nuotatore riusciva a svolgere due sessioni consecutive alla frequenza prescritta, ecco che questa veniva aumentata. All’inizio di questa fase veniva svolta una serie di 16×25 yard con 15 secondi di riposo tra le ripetizioni, riposando 1 minuto e mezzo al termine e proseguendo con questo set di allenamento per un’ora. Una volta raggiunto l’obiettivo della frequenza di bracciata su un’ora di lavoro, si è passati a serie di 16×50 yard con 30 secondi di riposo tra le ripetizioni. Non appena il nuotatore progrediva ecco che il riposo veniva progressivamente ridotto a 20 secondi.
Nonostante le distanze nuotate erano corte era altrettanto breve il riposo. Così, sia il sistema aerobico che anaerobico erano entrambi impiegati su un’ora di lavoro. Se il nuotatore non era in grado di mantenere la frequenza di bracciata prestabilita ecco che questa veniva diminuita per tornare al livello precedente in modo da permettergli di recuperare. I nuotatori hanno progressivamente aumentato la frequenza di bracciata e la velocità di nuoto. Questa era esattamente la frequenza da tenere in gara.
Fase #4 – L’ultima fase del programma è stata di 21 giorni prima dell’evento competitivo. Questa fase era basata su sedute con mezz’ora di lavoro con ripetizioni da 25 yard con 10 secondi di riposo a frequenza e velocità progressivamente crescenti. Nessun tapering (intenso in modo convenzionale) è stato effettuato in questa programmazione, gli atleti si sono allenati in questo modo fino a tre giorni prima del meeting obiettivo.
In tutte le quattro fasi l’allenamento è stato condotto a blocchi di due giorni con questo allenamento ad alta velocità seguiti da due giorni di recupero. I due giorni di alta velocità hanno appunto seguito gli schemi che abbiamo appena riportato. I due giorni di recupero al massimo includevano degli scatti brevi (meno di 15 secondi) nuotati con 2-3 minuti di riposo, con questa logica venivano utilizzati solo i substrati energetici di pronto impiego (fosfati) senza intaccare le riserve di glicogeno. Inoltre i giorni di recupero erano utilizzati per enfatizzare la tecnica di nuotata così come le partenze e le virate. Quindi i due giorni ad alta velocità massimizzavano lo stress mentre i due giorni successivi permettevano il completo recupero. In tal modo era permesso al nuotatore di effettuare degli allenamenti di elevata qualità i giorni di allenamento ad alta velocità. Se in questi ultimi si aveva una significativa riduzione del glicogeno nei muscoli, le due giornate successive si aveva il completo recupero dei livelli iniziali di glicogeno.
Conclusione
L’unico aspetto caratterizzante questo programma svolto è stato l’utilizzo della curva velocità/frequenza. Le fasi sono state tre: aumento dell’ampiezza di bracciata, allenamento a velocità più alte riuscendo a mantenere l’ampiezza di bracciata e infine raggiungimento della frequenza di bracciata più alta possibile per ogni velocità.
Si sente sempre più spesso parlare di un allenamento di nuoto ottimale intenso come miglioramento sia della biomeccanica così come delle debolezze a livello metabolico. È stato in precedenza riportato che i nuotatori di élite hanno una curva frequenza/velocità spostata verso la destra, una maggiore ampiezza di bracciata, maggiori frequenze di bracciata alle diverse velocità comparate con i nuotatori di minor livello. Una relazione frequenza/velocità spostata a destra, è stato dimostrato essere correlato con un costo energetico della nuotata ridotto.
L’alto livello di performance è legato ad una maggiore frequenza di bracciata, una maggiore ampiezza di bracciata e alla capacità di sostenerle fino in fono durante la gara. Per i nuotatori di élite di una specifica disciplina le curve frequenza/velocità sono simili, almeno nella forma. In tal modo, migliorare la propria performance implica spostare tale curva in alto e a destra. I dati ricavati da questo studio dimostrano che è possibile effettuare questo spostamento anche del 10% all’anno (40% in 4 anni) e tali miglioramenti sono stati osservati in altri nuotatori in diverse distanze e stili.
Un simile miglioramento della curva non è stato invece rilevato per nuotatori praticanti over-distance training. È stato rilevato che in tali programmi (over-distance) non ci sono significativi miglioramenti di performance, VO2max, capacità anaerobica e dei vari enzimi ossidativi. Questo è deducibile per il fatto che l’allenamento a intensità troppo basse non provvede uno stimolo sufficiente, o piuttosto uno stimolo adeguato al miglioramento del VO2max come invece forniscono le intensità più elevate di questo programma di allenamento oggetto di studio.
La performance natatoria è legata al picco di lattato (ematico). Nel presente studio c’è stato un significativo aumento di questo parametro. Nel programma di allenamento ad alta velocità partendo con riposi di 30” e diminuendo fino a 10” si è dimostrato efficiente per massimizzare la velocità di nuotata e il consumo di ossigeno, mentre si è ritardato dell’acidosi muscolare. Inoltre, è stato maggiore l’aumento della potenza anerobica, che delle capacità anaerobica, il che suggerisce un miglioramento della capacità di ”buffering” del lattato dai tessuti muscolari.
Infine, nel presente studio il miglioramento delle performance finali è stato supportato da dati oggettivi. Questi allenamenti esercitano cambiamenti nella capacità del corpo di trasportare sangue e ossigeno verso i muscoli impiegati e consentono di aumentare la quantità di lavoro svolto. Gli adattamenti periferici includono sia l’aumento della capacità ossidative dei muscoli che della capacità anaerobica. Perifericamente c’è un aumento della capacità ossidativa che produce una migliore estrazione dell’ossigeno dal sangue consegnato, nonché un aumento del flusso sanguigno.
Il nuoto ha dimostrato un elevato grado di specificità all’allenamento, questo programma di allenamento è stato progettato per condizionare l’atleta alle specifiche intensità che la competizione richiederebbe piuttosto che semplicemente specifico per il nuoto. L’aspetto univoco dell’allenamento ad alta intensità è l’utilizzo di distanze di allenamento e di velocità più elevate rispetto a quelle degli allenamenti che sono tipicamente associati ai programmi standard basati sul volume, nei quali si è osservato oggettivamente una diminuzione significativa del glicogeno muscolare e un affaticamento cronico.
(Foto copertina: Fabio Cetti | Corsia4)