Dopo la squalifica di otto anni che il CAS gli ha inflitto per la vicenda della distruzione delle provette nell’autunno del 2018, il campione cinese ha dichiarato di volersi appellare al Tribunale Federale Svizzero per tentare di ribaltare una sentenza che, di fatto, metterebbe fine alla sua carriera di atleta.
A causa dell’impatto mondiale del coronavirus, il periodo di 30 giorni entro i quali andava presentata l‘istanza è stato ampliato ed i legali del cinese hanno un altro mese per adempiere alle pratiche necessarie.
Nel frattempo, però, la Federazione cinese e Sun Yang non sono stati a guardare ed hanno pensato di includere il mezzofondista, squalificato ufficialmente dal 28 febbraio, nella lista dei convocati al collegiale “pre olimpico” che si svolge da aprile a giugno.
Insieme a lui il coach Zhu Zhigen, i medagliati Wang Shun e Ye Shiwen, He Junyi, Shang Keyuan, il campione del mondo dei 100 dorso Xu Jiayu ed il suo compagno di squadra Zhu Menghui. La nota ufficiale chiariva che il ritiro è finalizzato alla continuazione della preparazione olimpica durante il problematico periodo della pandemia.
C’è voluto Swimming World, sempre attento e sul pezzo, per segnalare la strana iniziativa alla WADA, che non ha perso tempo ed ha a sua volta chiesto chiarimenti all’ente sportivo cinese. Poche ore dopo, un comunicato ufficiale annullava l’invito di Sun Yang e chiudeva, almeno apparentemente, la questione.
Tuttavia, mai come in questo caso l’avverbio apparentemente è da utilizzare con fermezza, perché i fatti che si aggiungono di volta in volta a questa vicenda sono sempre più strani e nebulosi.
Preso atto di questo ultimo comunicato, chi può ad esempio garantire che Sun Yang non stia continuando ad allenarsi nella speranza che l’appello vada a buon fine e gli regali la possibilità, agevolata proprio dal Covid e dallo spostamento dei Giochi al 2021, di una partecipazione olimpica a Tokyo?
A tutti è chiaro che un nuotatore squalificato, anche se sta presentando ricorso, non può né allenarsi né frequentare le piscine. Forse non alla federazione cinese che, se non è incappata in un grossolano errore di trascrizione, ha chiaramente cercato di aggirare le regole e tenere in qualche modo in caldo il suo atleta di punta, nella speranza che i prossimi eventi lo riportino legalmente in gioco.
Ma un atto di questo genere, sommato alle precedenti iniziative strane (come quella di inserire un avvocato ex FINA tra i legali della WADA) ed agli interventi proprio della FINA a favore dell’atleta nel corso degli anni (le lungaggini nella decisione del processo, ad esempio), può solamente peggiorare la visione d’insieme che ci viene restituita sulla vicenda.
Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, nel quale anche un eventuale (improbabile) ribaltamento della sentenza in appello non ridarebbe alcuna credibilità all’atleta. Sun Yang, recentemente abbandonato dal suo storico coach australiano Denis Cotterell, si ritroverebbe a gareggiare in mezzo ai fuochi nemici della quasi totalità degli atleti ed addetti ai lavori internazionali che, a questo punto, si sentono giustamente non tutelati e probabilmente anche traditi. Ne uscirebbe, e questo è davvero triste, peggio sia della FINA che della federazione cinese, nonostante il suo ruolo sia, probabilmente, meno determinante nel quadro generale.
I giochi politici, gli interessi economici e gli equilibri di potere che sono per noi il contorno della vicenda sembrano oramai il vero fulcro del discorso. Che senso avrebbe, altrimenti, giocarsi la credibilità come Federazione (cinese ed internazionale) per difendere ciò che sembra ormai indifendibile?
Foto: Fabio Cetti | Corsia4