Nonostante abbia solo 27 anni, Federico può ritenersi uno degli atleti più esperti dell’intera Nazionale italiana, con la quale si accinge a partecipare alla terza Olimpiade, quella di Tokyo 2020one. Nello strano tragitto che porta a questa tanto agognata edizione dei Giochi, si è rimesso in gioco, confermando di essere un nuotatore deciso ma anche un uomo dalle idee chiare e mai banali.
Abbiamo chiacchierato di nuoto e di vita in situazioni normali, di quelle che qualche mese fa ci sembravano lontanissime: io seduto al bar e lui in coda verso Roma, nel tragitto automobilistico che lo porta allo stadio del Nuoto per partecipare al Trofeo Sette Colli.
Partiamo dall’attualità: il Sette Colli 2020 sarà un’edizione particolare, un po’ strana. Cosa ti aspetti da questa esperienza e come sono le tue condizioni di forma?
Abbiamo nuotato per tre mesi, dopo lo stop forzato di tre mesi: non è tanto ma neanche poco, un po’ di condizione c’è.
Certo sarà strano nuotare al Foro dopo tutto quello che è successo e probabilmente senza pubblico, ma comunque sarà un test importante per valutare questo primo scorcio di lavoro.
Più che un cambiamento era una scelta già presa in precedenza, quella di comprare una casa: per un anno ho sostenuto le doppie spese – del mutuo e dell’affitto a Monza – ma ovviamente era una situazione momentanea e non più sostenibile economicamente. Quindi, una volta tornato dalle mie parti (provincia di Varese), allenarmi a Brebbia da Marco – Pedoja, allenatore e gestore dell’impianto – è stata la scelta più naturale.
È una dimensione più provinciale, rispetto a Milano è tutto molto più tranquillo. Nuotare in una piscina di proprietà e non dove affittiamo le corsie ci permette di essere più sereni su spazi ed orari e di vivere il tutto con molta meno pressione. Poi, lo stimolo di allenarmi con atleti FIN è impagabile: sono “il pesce piccolo” del gruppo e ho sempre qualcuno da inseguire, questa situazione mi sprona e mi aiuta a migliorarmi giornalmente.
È una scelta molto difficile. Uno si aspetterebbe Rio 2016 e l’oro olimpico, che indubbiamente resta un ricordo indelebile. Ma nel cuore porto con me il momento nel quale ho battuto, nel 2015, il record del mondo nei 100 farfalla. Arrivare lì, in cima al mondo, ha significato la chiusura di un cerchio. Avevo guardato i 100 farfalla di Pechino 2008 (con il record del mondo) dal divano di casa, poi all’Europeo del 2011 me lo avevano fatto di fianco: era un obiettivo che sognavo fin da bambino.
È stato un momento forte, lo volevo talmente tanto che, una volta ottenuto, quasi non me ne rendevo nemmeno conto. Ed essere finalmente lì mi ha dato stimoli nuovi: i record sono fatti per essere battuti e difesi, fino a quando si può.
L’altra biografia che amo particolarmente è quella di Gregorio Paltrinieri, con il quale condividi i successi mondiali ed olimpici, la lunga guida tecnica ma anche la volontà di cambiamento in questo particolare momento storico. Ci sono delle simmetrie nelle vostre carriere.
Di Gregorio stimo tantissimo la dedizione ed il modo di approcciarsi a questo sport che è così monotono, inventandosi sempre cose nuove. Adesso si è buttato anche nelle acque libere, facendo una scelta di cambiamento che dimostra fermezza ed idee chiare. E sono sicuro che è una decisione che pagherà.
È stato un percorso che mi sono goduto al 100%. Siamo partiti da una Nazionale davvero piccola ed ora siamo Campioni del mondo, il nuoto paralimpico è arrivato ad avere una visibilità incredibile. Il solo fatto che ne stiamo parlando ora, insieme, qualche tempo fa era impensabile. C’è stato un lavoro magistrale partito da Roma e sceso giù fino a tutte le federazioni, regionali e provinciali, che ci ha portato fin qui. Ed il lavoro non è finito: ci sono ancora tantissime persone con disabilità che nemmeno conoscono la possibilità di fare sport. C’è sempre da lavorare e migliorarsi.
Lo scorso dicembre, ad una premiazione ufficiale, hai detto che in Italia manca la cultura della sconfitta. Un discorso che ha colpito molti e che affonda nel cuore della nostra cultura, non solo sportiva.
“Errare humanum est”, ma nel nostro mondo ce lo siamo dimenticato: sbagli una gara o una partita e sei subito bollato come scarso e finito. Invece ci sono mille motivazioni che ti portano ad un risultato, ed accettare la sconfitta è il primo passo per migliorare. Il mondo dello sport è già abbastanza duro di suo e non è giusto doversi anche scontrare con giudizi sempre molto negativi. Questo vale anche per la vita di ogni giorno: alcune delle più grandi invenzioni della storia sono arrivate attraverso degli errori, quindi sbagliare è giusto. Stigmatizzare la sconfitta fino all’estremo è una vera follia. Nella vita e nello sport la normalità è perdere, vincere è un’eccezione.
Grazie per il ricordo eh (ride). Sono sportivamente innamorato di Andrea Pirlo già da quando ci ha guidato alla vittoria dei Mondiali nel 2006 e anche quando ci batteva con il Milan lo ammiravo. Poi alla Juve ci ha fatto sognare, ha dei piedi incredibili ed una visione di gioco unica. È giovane (più giovane di Buffon!) e porterà delle idee fresche, modificabili anche nel tempo. Credo che sia una scelta inattesa ma ponderata: mi fido della società che negli anni si è dimostrata seria e lungimirante. Ho conosciuto molte persone della Juve – una mia cuffia è al museo dello Juventus Stadium – e sono professionisti seri che con i risultati hanno dimostrato il loro valore.
Un po’ come Federico Morlacchi: serietà, dedizione e risultati.
Foto: A. Bizzi / FINP