Nel 1996 si svolgono ad Atlanta, Georgia, i Giochi Olimpici del centenario, quelli ricordati per la sponsorizzazione della Coca-Cola e per la fiamma accesa da Muhammad Ali, ultimo tedoforo d’eccezione, ma anche perché secondo molti ingiustamente scippati ad Atene – sede della prima edizione nel 1896 – nelle fasi finali delle votazioni al CIO.

In un secolo di storia Olimpica, l’Italia ha vinto ori nella scherma, nell’atletica e nel ciclismo, nella pallanuoto e nei tuffi, ma nessun italiano ha mai vinto un oro nel nuoto.

Il 26 luglio le condizioni perché questo fatto storico avvenga sembrano potersi finalmente avverare.

Il nuoto italiano si presenta ad Atlanta con una squadra ambiziosa, composta da diversi veterani, alcuni giovani molto promettenti (Rosolino e Brembilla soprattutto) e una sola punta di diamante. Dopo la storica tripletta di podi di Novella Calligaris a Monaco e i bronzi di Stefano Battistelli e Luca Sacchi tra Seul e Barcellona, Emanuele Merisi è l’atleta più atteso, colui che sembra destinato a riempire il buco nel medagliere che nemmeno Giorgio Lamberti, il più grande talento che l’Italia abbia mai avuto fino ad allora, è riuscito a colmare.

Merisi non ha ancora 24 anni, è nel pieno della sua maturazione agonistica e va in America forte del miglior tempo dell’anno sulla sua distanza (200 dorso – 1’57”70), fatto a marzo agli Assoluti di Livorno. Il peso del favorito assoluto per la vittoria finale non sembra scuoterlo, tanto che alla vigilia si dichiara in più occasioni “sicuro di poter lottare per la vittoria olimpica.

La Nazionale, dal canto suo, gli ha fornito tutto ciò che serve per potersi esprimere al massimo delle sue potenzialità. Come riporta la Gazzetta dello Sport, Merisi “ha potuto prepararsi in tranquillità, allenarsi come e dove ha voluto, seguito dallo staff medico federale, controllato assiduamente al computer sotto il profilo tecnico e circondato dall’unanime affetto.”

Il suo talento nella doppia distanza del dorso è diverso rispetto a quello di Bibi Battistelli, suo ideale predecessore e bronzo in carica di Barcellona 1992. Il romano è dotato di una polivalenza straordinaria ed ha spaziato nelle grandi finali internazionali dai 1500 ai 400 misti, passando appunto per i 200 dorso, gara che lo ha spesso visto protagonista di rimonte eccezionali nell’ultima delle quattro vasche.

Merisi, invece, è un dorsista puro, abile nei 100, nei quali è primatista italiano, e fenomenale nell’aggiungere ad una buona velocità di base anche un ritorno eccellente, il migliore al mondo nel suo periodo.

La sua nuotata è elegante e pulita, sempre in presa perfetta e quasi mai scomposta, e si contrappone a quella di Battistelli, che è esteticamente meno aggraziato anche se ugualmente molto efficace, famoso soprattutto per una frequenza di bracciata molto elevata, soprattutto nelle fasi decisive dalla gara.

Tra gli specialisti dei 200 dorso della sua epoca, Merisi nuota un dorso che si avvicina di più a quello di Martin Lopez-Zubero, spagnolo di passaporto cresciuto negli USA, campione in carica di Barcellona 1992, rispetto a quello di Vladimir Selkov, campione del mondo a Roma 1994. Entrambi sono presenti ad Atlanta ed entrambi hanno tempi superiori a quelli del nativo di Treviglio, che nei giorni precedenti alla gara dimostra di essere in grande forma.

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Il 23 luglio si disputano i 100 dorso, e per Merisi è la prova del nove: si qualifica per la finale con l’ottavo tempo della mattinata (le semifinali verranno introdotte a partire da Sydney 2000), e nel pomeriggio si spinge fino al sesto posto, nuotando un ottimo 55”53.

I suoi grandi rivali per la gara dei 200 stentano, con Lopez-Zubero solo quarto e Selkov addirittura nono, estromesso dalla finale proprio da Merisi. L’americano Schwenz, molto più velocista di lui, lo precede di soli 23 centesimi.

Tutto sembra andare bene verso il 26 luglio, il fatidico giorno dei 200 dorso.

La mattina si svolgono le batterie, ed a guardarle con un occhio critico si può già trovare il primo piccolo seme di preoccupazione. Merisi, che in carriera ha già nuotato per ben sei volte sotto la soglia simbolica ma significativa dei 2 minuti, si ferma a 2’00”01, centrando la finale con il quarto tempo, preceduto dalla coppia di americani e dal compagno di squadra Mirko Mazzari. I più forti, però, sono tutti dietro: Lopez-Zubero è in finale, ma con il sesto tempo, e sembra tutto fuorché quello del 1992, mentre Selkov e Braun, secondo e terzo crono dell’anno, sono addirittura relegati alla (per loro) umiliante Finale B, che puntualmente non nuoteranno.

Nell’introdurre la finale sulla RAI, il telecronista Sandro Fioravanti afferma che la batteria di Merisi è stata nuotata “con scioltezza, per entrare in finale.” La gara, invece, ci dice probabilmente qualcosa di diverso.

Gli americani, che ai Trials avevano centrato la qualificazione nuotando entrambi 1’59”, sembrano da subito avere qualcosa in più, soprattutto Brad Bridgewater, che già in batteria si era spinto fino a 1’59”04 e che al giro di boa passa in testa in 57”72. Merisi, che nuota alla corsia 6 accanto a Tripp Schwenk, parte malino, incappando in un primo 100 ben al di sotto delle sue potenzialità (28”56, 58”89), ed alla virata di metà gara sembra totalmente fuori dal gioco per le medaglie. Mentre gli americani a centro vasca sbracciano per giocarsi l’oro olimpico in casa, Merisi non sembra nemmeno per un attimo abbandonare la sua nuotata, composta e propulsiva, come se stesse fino all’ultimo cercando di attenersi ad un piano preparato e studiato accuratamente alla vigilia.

Nella terza vasca, quando le speranze di vittoria sono ormai ridotte al minimo, Merisi ha un sussulto di orgoglio e la sua progressione si fa improvvisamente determinata e pericolosa. Il terzo parziale è di poco più basso rispetto al secondo (30”27 contro 30”33), e gli permette di rientrare abbastanza velocemente e portarsi a ridosso del terzo posto. Bridgewater rimane in testa con più di un secondo di vantaggio ed è oggettivamente imprendibile, ma nella quarta vasca Merisi passa immediatamente il giapponese Itoi, fino a lì terzo, e si avvicina pericolosamente a Schwenk, che invece sembra ormai arrancare. La risalita dell’italiano si fa sempre più incalzante, quasi come se, ad un tratto, qualcosa lo avesse risvegliato dall’agrodolce torpore dell’emozione olimpica nel quale si è forse adagiato prima di tuffarsi in acqua.

È negli ultimi 50 metri che si vede il vero Emanuele Merisi, quasi completamente emerso dall’acqua nel disperato ma pur sempre elegante tentativo di recuperare terreno.

I commentatori si lasciano completamente andare, tradendo allo stesso tempo emozione e delusione, quasi come se fossero passati, in poco meno di due minuti, dalla certezza di dover raccontare il primo oro del nuoto italiano allo strenuo tentativo di spingere l’atleta all’obiettivo minimo della medaglia.

Alla fine è bronzo, a soli 19 centesimi dall’argento e a 64 dall’oro: con il tempo degli Assoluti di Livorno, che rimarrà la miglior prestazione al mondo del 1996, avrebbe agilmente portato a casa il titolo olimpico.

Per dirla con le parole perfettamente sintetiche di Aronne Anghileri, sempre sulla Gazzetta dello Sport, “Il Merisi della finale olimpica è stato buono, ma non il miglior Merisi.

Nonostante tutte le premesse fossero positive, nonostante l’ottimismo dei tecnici e dei media e nonostante la situazione relativamente favorevole del giorno della finale stessa, secondo i commentatori RAI “nel team italiano c’era preoccupazione, ma si tratta comunque di una medaglia olimpica.” Nella situazione particolare della finale olimpica, unica e non replicabile per emozione e tensione, gli americani si sono rivelati più pronti, forse anche spinti dall’ambiente amico del Georgia Tech Acquatic Centre e dalla competizione interna, quella dei Trials, che li forgia preparandoli a situazioni da “dentro o fuori” che difficilmente un nuotatore italiano riesce a vivere in patria.

L’indubbia importanza di un podio a cinque cerchi, l’unico tra l’altro della spedizione di Atlanta per il nuoto, si contrappone al rammarico per quella che, a tutti, è sembrata immediatamente un’occasione sprecata.

Emanuele Merisi rimane, anche ai giorni nostri, il miglior dorsista italiano di sempre, pluri-finalista olimpico e pluri-medagliato internazionale, oltre che colonna portante della nazionale per più di un decennio. Il suo bronzo, per quanto non fosse il risultato sperato, ha dato idealmente il via alla rivoluzione del nuoto italiano avvenuta nel quadriennio successivo e culminata a Sydney 2000.