Si è appena conclusa l’edizione 2023 della World Cup ed è stata, sotto svariati aspetti, la migliore della storia recente.

Alcune delle decisioni di World Aquatics sono state determinanti, in questo senso: la collocazione temporale ad inizio stagione, la compressione del calendario su tre weekend consecutivi, il tour europeo in città relativamente poco distanti tra loro, la vasca da 50, i premi in denaro.

Tutte cose che hanno fatto sì che molti big, e non solo i soliti, abbiano deciso di impegnarsi nell’esperienza, e quando dico impegnarsi lo intendo nel vero senso della parola.

Alcune gare, infatti, sono state di livello molto elevato, con Kaylee McKeown (2 world record), Qin Haiyang, Siobhan Haughey, Zhang Yufei e Sarah Sjöström autori di tempi eccezionali, soprattutto se rapportati al periodo dell’anno. Non sono state, però, solo prestazioni individuali e solitarie: la rana maschile, per esempio, aveva finali paragonabili per star power a quelle mondiali, con quasi tutti i migliori ranisti a contendersi la vittoria, e lo scenario si è ripetuto in diverse altre distanze e specialità.

World Aquatics ha lavorato bene anche sul fronte comunicazione. I personaggi sono emersi chiaramente, le interviste post gara ma anche quelle di contorno sono state molto interessanti ed i social network hanno prodotto contenuti che spesso sono diventati virali (tra i più in vista anche un Thomas Ceccon ormai proiettato nel suo ruolo di big del nuoto mondiale).

È stato un mix interessante e divertente di belle gare, belle interviste, bel nuoto e bel pubblico. È stato uno scorcio di quello che il nuoto potrebbe essere ma che, ancora, non è del tutto riuscito a diventare. Dopo un mese così, è naturale che il pensiero vada nella direzione che da tempo aleggia sul nostro sport, ed è altrettanto naturale pensare che il nuoto abbia bisogno (e si meriti) una lega professionistica che lo valorizzi.

Proviamo ad argomentare.

Cosa ci ha detto l’esperienza ISL

Il 4 dicembre 2021 si svolgeva a Eindhoven l’ultima giornata della terza stagione della International Swimming League: la vittoria degli Energy Standard e l’incoronazione di Sarah Sjöström come MVP sono state le immagini finali dell’unico vero tentativo di lega professionistica che il nuoto abbia mai visto. La ISL rispondeva ad un preciso bisogno dei nuotatori, che in quegli anni richiedevano con insistenza un cambiamento nel loro sport, la possibilità di vivere con respiro più ampio la professione di atleta, sulla scia di quello che in molti altri campi ha portato al vero e proprio professionismo.

La ISL ci ha provato e ha fatto un sacco di errori, primo dei quali non avere un piano economico sostenibile. Il tutto è partito, probabilmente, troppo forte ed in fretta, con gli organizzatori che hanno tentato l’all-in già nelle prime stagioni, facendo il passo più lungo della gamba. Era un modo per tentare di sfondare da subito, di mettere sul mercato un prodotto che avesse l’aspetto perfetto, i grandi campioni e i premi giusti fin dal giorno 1.

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Purtroppo, questa scelta si è rivelata non applicabile: tra i motivi c’è sicuramente il fatto che il nuoto è uno sport con zero storia di professionismo alle spalle e quindi con una fanbase non pronta ad uno step del genere (vi ricordate gli scetticismi sulle regole, ad esempio?). Gli sponsor, di conseguenza, non hanno certo fatto a pugni per assicurarsi uno spazio pubblicitario e, peggio ancora, i contratti televisivi davvero remunerativi hanno fatto fatica ad arrivare. Con questo scenario, e la crisi internazionale nella quale si è poi ritrovato coinvolto il patron Grigorishin, la fine per la ISL è stata inevitabile.

Di cose da salvare, però, ce ne sono state molte, a partire dalla soddisfazione degli atleti. Pagati o no, erano entusiasti del prodotto, del clima che si respirava nelle piscine, della competizione continua a cui erano sottoposti e della sfida rinnovata con gente del proprio livello. Non lo dico io, anche se ho potuto respirate tutto in prima persona a Napoli, ma lo hanno detto loro in più occasioni, anche con i risultati. Dopo la stagione 2021, molti atleti hanno nuotato un 2022 coi fiocchi, arrivando ai Mondiali di Budapest in grande forma (Ceccon e Martinenghi, per noi, ma non solo).

Salviamo anche il format: con le dovute modifiche, che pian piano stavano anche arrivando, la divisione in roster e la classifica per punteggi erano i capisaldi di uno spettacolo che aveva iniziato a prendere piede. La scelta della vasca corta, della velocità con cui si svolgevano le serate, delle prime interazioni tra nuoto e spettacolo erano un tentativo coraggioso che però aveva senso. Non tutto era da buttare, quindi.

Una lega professionistica è ancora possibile

L’anno scorso la World Aquatics si è affrettata per coprire buco lasciato dalla ISL rilanciando la World Cup, manifestazione che sembrava aver trovato una definitiva morte proprio quando gli atleti l’avevano snobbata per dirottare i loro sforzi verso il nuovo. Il risultato del 2022 era stato senza infamia e senza lode, ed era effetto (si pensava) anche di una stagione lunga e faticosa, che aveva lasciato i nuotatori senza forze e voglia.

Il risultato della World Cup di quest’anno smentisce questa tesi: con una stagione altrettanto lunga e complicata, e con l’aggravante di una stagione entrante ancora più intricata, la WC2023 è stata un successo generale che lascia anche un pò di stupore e ci dice chiaramente almeno un paio di cose.

Innanzitutto, ci conferma che gli atleti hanno voglia di gareggiare, e che questa voglia è anche propedeutica alla preparazione stessa. Gli allenatori mi sembrano ormai più che pronti ad inserire nelle loro programmazioni i momenti di competizione e a farne un uso intelligente. Il dogma del nuoto come sport nel quale ci si deve confrontare solo una volta all’anno mi pare ormai superato.

I tempi nel nuoto sono molto importanti, perché aumentano lo spettacolo e fanno girare la voce più velocemente, ma non sono tutto. Ci sono state, in queste settimane, gare che si sono decise negli ultimi metri, con belle rimonte e testa a testa entusiasmanti, che hanno in parte bypassato il discorso cronometrico. Un atleta che fa un record del mondo (o si avvicina a farlo) in World Cup è spesso da solo, diversi metri davanti agli altri, a gareggiare contro una linea immaginaria: una situazione che esalta il suo gesto tecnico ma che è meno spettacolare di una lotta all’ultima bracciata magari su tempi lievemente superiori. Il pubblico e gli atleti stessi vanno educati su questo concetto, perché se si vuole una lega professionistica è impossibile pensare di avere record del mondo ogni settimana, mentre è più verosimile che si lotti sempre per mettere la mano davanti.

Infine, discorso sostenibilità economica. È evidente che le dirette su YouTube, per quanto abbiano fatto molte visualizzazioni, non ripaghino affatto lo sforzo organizzativo di una manifestazione come la World Cup. Ci vogliono sponsor e TV interessate: il 2023 è stato un buon inizio, pagato però interamente dalla World Aquatics e dai suoi fondi. Se un privato dovesse di nuovo avvicinarsi al nuoto con intenzioni imprenditoriali, dovrebbe far tesoro di tutte queste esperienze.

Il nuoto, quindi, ha bisogno di una lega professionistica?

Se organizzata tenendo conto di tutto ciò, sì, perché ne gioverebbero tutti.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4