È il nuotatore più famoso d’Australia, tutti conoscono le sue imprese. Ricordo di averlo visto nuotare ad Atene 2004 ed aver pensato cavoli il nuoto è uno sport fico, voglio farlo anche io.

Kyle Chalmers, oro olimpico nei 100 stile libero a Rio 2016

Nel corso della sua carriera, Ian Thorpe ha avuto diverse immagini, da quella del fenomeno invincibile – grazie anche al suo sensazionale costume nero intero – al ragazzo fragile che lotta contro le sue debolezze ed i suoi demoni.

Questo lato riflessivo e fragile è ciò che più lo rende umano e vicino alle persone comuni, che oggi guardano a lui come ad un modello di grande ispirazione: “Volevo essere una persona sicura di sé, ma era solo l’istantanea di un momento, niente altro, perché gli atleti sono tutt’altro che così, sono lontani dall’essere perfetti. Abbiamo le stesse fragilità di tutti, amplificate da ciò che facciamo.”

Alle gare della sorella, il piccolo Ian si annoia a morte così la mamma decide di fargli fare un paio di lezioni alla settimana. Thorpe nuota con la testa fuori dall’acqua perché gli dà fastidio il cloro, poi ha scoperto di esserne allergico: “Tutti mi dicono che la piscina è il mio ambiente naturale, ma non è così”. Gli allenatori consigliano alla madre di fargli togliere le adenoidi per non avere più problemi di sinusite, ma le ha ancora “forse mia mamma non aveva tutta questa fiducia nelle mie possibilità”.

“Quando sei giovane pensi di poter fare tutto, e finché credi in te stesso raggiungi dei risultati incredibili”. Thorpe ha vissuto con una telecamera puntata addosso fin da giovanissimo, a 15 anni diventa Campione del Mondo, in Australia è già una celebrità e, come dice l’olimpionica ed amica di Ian, Sophie Edigton, “la gente tende a dimenticarsi che è stato sotto i riflettori fin da bambino, non deve essere una situazione molto semplice da gestire”.

Dopo l’oro mondiale a Perh nel 1998, Thorpe continua i suoi successi ai Giochi del Commonwealth e, l’anno successivo, stabilisce 4 record del mondo in 4 giorni ai Pan-Pacifici. “Non solo faceva record” ricorda Alexander Popov, “batteva sistematicamente sé stesso, e non di poco”. Anche la leggenda australiana Dawn Fraser parla con orgoglio di quanto fosse determinato e di come “aveva i paraocchi, niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea sul come condurre una gara. Il suo solo obiettivo erano le Olimpiadi.”

A Sydney 2000 Ian ha 18 anni, è la sua prima esperienza a cinque cerchi ed è il grande favorito nelle sue gare, 200 e 400 stile, ma la pressione su di lui è incredibile, tanto che ricorda di non essere mai stato cosi nervoso in tutta la sua vita. Nonostante ciò, il primo giorno olimpico della sua carriera non va poi così male, anche se dopo le batterie dei 400 non si sente nelle condizioni migliori: “Avevo il primo tempo, ma in acqua non ero sereno ed iniziai ad avere dei dubbi su me stesso, nella mia mente.” All’uscita dalla camera di chiamata ci sono 17 mila persone ad attenderlo ed incitarlo per la sua prima finale olimpica: “Ero nervoso, l’ansia mi stava mangiando dentro, ma poi annunciarono il mio nome… non ho mai sentito un boato così forte in tutta la mia vita. Mi diedero la carica per riprendere il controllo della situazione”.

Il sudafricano Ryk Neethling ricorda quella gara con un sorriso amaro: “Ho nuotato accanto a lui quel giorno, non fu per nulla una bella sensazione perché lui partì fortissimo, ho avuto l’impressione di nuotare dentro una lavatrice per tutto il tempo.” La strategia di Thorpe è quella di restare in testa da subito e poi amministrare per tutta la gara, così da risparmiare delle energie per la staffetta che ci sarebbe stata poco dopo, risultato: oro e record del mondo, 3’40”53, con il più vicino dei rivali, Massimiliano Rosolino, dietro di 3 secondi.

A fine serata c’è la 4×100 stile, l’unica gara che gli USA non hanno mai perso alle Olimpiadi, e gli aussie decidono di iniziare forte: Michael Klim abbatte il record del mondo dei 100 stile nella frazione di apertura, nell’incredulità generale anche dello stesso autore della prestazione. Thorpe parte per ultimo, dopo Chris Fylder e Ashley Callus, con un minimo vantaggio su Team USA: “I miei compagni mi avevano chiesto cosa desiderassi e io gli risposi che volevo essere in testa” ricorda Thorpe “ma avrei dovuto essere più specifico, dire, ad esempio, che avrei voluto un vantaggio più consistente.”

Dopo il tuffo gli americani sono già davanti e così anche dopo la virata. Mentre l’esultanza ed il tifo della gente si trasformano in rassegnazione, Thorpe sa che solo il fatto di non aver perso ancora terreno è in sé una piccola vittoria, così nel secondo 50 continua a mangiare centimetri a Gary Hall Jr, mentre il tifo del pubblico ritorna assordante. “Sapevo cosa provava Gary perché in allenamento replicavo all’infinito quel particolare genere di dolore fisico, proprio per essere pronto in gara a superarlo”. L’Australia vince col record del mondo (3’13”67), per Thorpe sono 2 ori e 2 world record in una sola serata al primo giorno di Olimpiade.

Alla vigilia, Gary Hall Jr aveva dichiarato che avrebbe spaccato la squadra australiana come una chitarra, così i 4 aussie si mettono ad esultare imitando proprio il gesto dello strumento in uno dei momenti più iconici della storia dello sport australiano.

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Dagli atleti non vogliamo solo le vittorie ed i record, ma desideriamo soprattutto momenti nei quali emozionarci, esempi da seguire. Ian Thorpe e Cathy Freeman lo sono stati nel 2000 “con i nostri costumi interi abbiamo davvero dato spettacolo, ci siamo proprio divertiti” ricorda la velocista australiana, oro a Sydney nei 400 metri piani, che vede Thorpe come “uno dei più grandi fenomeni dello sport nella storia australiana, mi faceva commuovere e ridere, aveva un atteggiamento sempre positivo, lo spirito di un bambino”.

Ma da Sydney ad Atene le cose cambiano, Ian non è più il ragazzo prodigio cullato dal suo stesso Paese ma il campione affermato che tutti devono battere e la sua corsa verso Atene inizia con la famigerata squalifica nei Trials australiani dei 400 stile, quando il rumore del pubblico lo spinge a commettere falsa partenza. Thorpe è ufficialmente fuori dalle Olimpiadi nella sua gara, ma Craig Stevens decide di rinunciare al posto olimpico per darlo al compagno di squadra, in una chiacchierata vicenda al limite tra amicizia ed interessi commerciali. Thorpe si trova a dover affrontare la gara con ancora più pressione, senza scelta alcuna se non quella di vincere.

Mi preparo sempre al meglio per le gare, al punto di sapere con certezza di essere il più forte, ma quella volta non ero per niente sicuro. Fu una brutta prestazione, probabilmente il peggior 400 della mia vita, ma feci quanto basta per battere il mio miglior rivale, e subito mi sentii decisamente più leggero.

Tutta la carriera agonistica di Ian Thorpe sembra essere un lungo avvicinamento alla finale di Atene dei 200 stile, quella che molti definiscono la gara del secolo. “C’erano cinque campioni olimpici in acqua e ciascuno degli otto finalisti avrebbe potuto vincere, fu uno spettacolo incredibile” ricorda Popov. In acqua c’è la più alta densità di talenti che il nuoto ricordi, un vero e proprio spot internazionale per il nuoto: l’Europa che tifa van den Hoogenband, l’America convinta che Phelps possa vincere e l’Australia e l’Asia a spingere Thorpe, che sente su di sé il peso “di dover vincere a tutti i costi, pensavo che solo io avrei potuto perderci in quella finale perché Pieter mi aveva battuto a Sydney e Michael stava facendo una grandissima Olimpiade.”

Il finale è di un’intensità pazzesca, a soli 50 metri dall’arrivo i tre sono ancora molto vicini con VDH in leggero vantaggio. Qui inizia la gara di Thorpe, che ricorda di aver cercato “di tenere la bracciata lunga proprio quando si accorcia sempre di più, per mantenere il ritmo. È stata dura, ma è stato davvero emozionante, una gara per la quale tutti, anche gli altri atleti, hanno interrotto le loro attività.” Il podio è l’immagine più potente ed epocale che il nuoto abbia prodotto, una fotografia che non ha bisogno di didascalie: Thorpe oro, VDH argento, Phelps bronzo.

Dopo Atene, Ian sente che il nuoto è diventato qualcosa di diverso per lui, soprattutto per quello che ora rappresenta per la gente: “Non si trattava più di gareggiare, ma c’erano meeting, conferenze stampa, eventi per gli sponsor e per promuovere lo sport. La mia carriera non era più mia, la mia vita non mi apparteneva più, non mi piaceva quello che facevo perché non lo facevo per me stesso.”

Così Thorpe annuncia il suo ritiro dal nuoto agonistico e lo ricorda mentre cammina per Sydney e pensa a quanto bene abbiano fatto le Olimpiadi del 2000 a questa città, che è diventata “il perfetto esempio di stile australiano, né americano né europeo, semplicemente australiano”.

Dopo Atene, Thorpe combatte con la depressione e nel 2006 pensa anche al suicidio: “Dopo aver sperimentato l’emozione di vincere un oro olimpico, è orribile scoprire che esistono sentimenti altrettanto potenti, ma in negativo”. Spesso gli atleti che si ritirano o che sono fermi per infortunio provano una sensazione di vuoto, di solitudine, che deriva dal fatto di avere per anni avuto una seconda famiglia, il proprio team o la nazionale, e all’improvviso trovarsi da soli.

Dopo un breve e non troppo fortunato tentativo di rientro per Pechino 2008, Ian trova la passione per continuare all’esterno delle competizioni, grazie alla sua azienda di pulizia di piscine – per la quale gira degli spot fortemente autoironici e trasmette un’immagine di sé diversa, più simpatica – ma soprattutto al suo impegno nel sociale.

Con la sua fondazione, nata dopo Sydney 2000, è fortemente impegnato al fianco delle minoranze, per il sostegno alle popolazioni indigene australiane – Cathy Freeman è con lui in questa ammirevole iniziativa – ma anche nella lotta per la parità dei diritti. Dopo aver affrontato la difficile questione della sua sessualità in famiglia ed aver fatto coming out pubblicamente, Ian si è accorto di essere un privilegiato perché vive “in un Paese che mi garantisce gli stessi diritti di tutte le coppie etero. Nel resto del mondo non è così, ci sono Stati dove essere gay è un reato perseguibile anche con la pena di morte, altri dove se sei gay è la tua famiglia che ti lancia dal balcone.” La sua lotta per la questione dei diritti è di ispirazione per molti nel mondo, come Missy Franklin che si dice “ammirata nel vederlo parlare di un argomento che gli sta a cuore, si percepisce tutta la sua passione e la sua umanità.”

Il mito di Ian da bambino è stato Alexander Popov, e Thorpe ha dovuto batterlo ad Atene per accedere alla finale dei 100 stile: “Ricordo di essermi sentito fortemente in colpa per averlo battuto, ma lui era davvero tranquillo, un modello di sportività. Credo che la vera essenza dell’essere dei campioni stia nel tramandare quello che ha fatto chi c’è stato prima di te alle generazioni successive, in modo da poter ispirare a tua volta altri grandi campioni. Spero di essere riuscito a farlo”.

Foto: KidsNews.com.au