Il nuoto moderno continua a insegnarci anno dopo anno, indipendentemente da quelli olimpici, che certi limiti non sono ancora esplorati come si pensava (ad esempio nel periodo dei costumi gommati) e che ormai non esistono più velocisti e mezzofondisti, ma nuotatori veloci e nuotatori lenti; sempre gli stessi, ma classificati in modo diverso.

Questo è ciò che hanno confermato gli ultimi Campionati del Mondo di Budapest. Vince sempre chi nuota più veloce e oggigiorno la velocità si costruisce soprattutto nella prima parte di gara, a cominciare dalla partenza, più precisamente fuori dall’acqua!

Arrivati a questo punto non si può non nominare l’americano Caeleb Dressel, che ha dato lezione a tutti in questo.

Non che gli altri nuotatori siano carenti, se guardiamo i tempi di reazione dell’americano nelle sue gare coronate dall’oro (50-100 stile libero e 100 delfino) erano sempre sullo 0.64 come tanti altri. La sua superiorità si è vista dall’istante 0.65 in poi, con un’esplosività tale da proiettarlo in acqua ai 5 metri (in particolare nei 100 delfino) e fino qui ci troviamo ancora fuori dall’elemento liquido, ma in una situazione del genere viene costruita una base di partenza importante, a patto che la velocità che ne deriva potenzialmente venga mantenuta poi nella successiva fase subacquea.

Anche in questo Dressel non ha tradito, dimostrando una perfetta capacità di penetrazione e di affusolamento; senza fare della scienza troppo complicata quando si insegnano i tuffi ci si concentra sull’ingresso in acqua ideale in un cerchio più stretto possibile, dalle mani ai piedi. Se è vero che la velocità sott’acqua è circa il triplo rispetto a quella nella fase di nuotata, la base di partenza è ottima senza aver fatto ancora grossi sforzi, ma per sfruttare il più possibile la velocità creata in precedenza occorre conservarla, e si fa ciò solo agganciando perfettamente la prima bracciata in modo da creare il presupposto ottimale per prendere subito il ritmo e non più tardi!

A questo punto è bene porre l’accento sulla prima parte di gara, sia a delfino che a stile libero nel caso del nuotatore statunitense. Le due prestazioni nel suo caso sono perfettamente sovrapponibili, perché anche dal punto di vista tecnico, si tratta di una nuotata standard nel caso del crawl e di uno stile libero a braccia pari nel caso del delfino. L’accento che voglio porre nel suo caso, come anche degli altri centisti dei due stili più veloci e anche nel dorso (la rana merita un’analisi a parte), riguarda la prima parte di gara, ormai all’evidenza dei fatti fondamentale e imprescindibile. A rendere l’idea sono le cinque prestazioni sotto i 48″ nei 100 stile libero uomini, hanno tutte come prerequisito un passaggio sui 22″, ma fatto a ragion veduta.

A questo punto in molti penseranno subito a migliorare questa fase della prestazione con l’allenamento sulla potenza anaerobica (quello è il meccanismo che alleniamo veramente, non il picco di lattato!). Essa è sicuramente un prerequisito imprescindibile, che va allenato come noto da anni, ma rappresenta solo una componente che va a creare la sommatoria finale. È riferita solo all’adattamento metabolico, mentre ormai queste prestazioni sono fatte anche e soprattutto di componenti neuromuscolari, e lo stesso vale per la seconda parte di gara ovviamente.

L’adattamento neuromuscolare è la nuova vera frontiera dell’allenamento, non è questo il luogo e non sono io la persona più indicata per parlare di tematiche così profonde, dal momento che ci sono corsi specialistici a riguardo. Giusto per avere un’idea in parole povere della loro influenza, la componente neuromuscolare è le chiave dell’allenamento in quanto un tale adattamento permette di creare quei pattern neuromuscolari in cui sono codificati (a livello di unità motorie) e descritti ogni singolo movimento da compiere di quel gesto motorio (la nuotata in questo caso, ma anche la spinta dal blocco o in virata, a proposito di dove inizia la gara) e anche l’intensità a cui compierlo: per capirci una bracciata normale e una bracciata poderosa tale da produrre una grande propulsione costituiscono due pattern diversi. Per ottenere tali adattamenti è necessario stimolare pesantemente il sistema neuromuscolare e a riguardo sono stati studiati diversi protocolli e set specifici.

Se per l’adattamento metabolico (ad esempio lattacido come in questo caso) sono sufficienti 3-4 settimane per la corrispettiva parte neuromuscolare servono anche mesi, questo per rendere l’idea di come l’allenamento della specificità della gara deve essere sempre presente e non è solo un periodo speciale o di rifinitura.

Un discorso analogo lo si ha per l’allenamento della forza in palestra, non tanto per migliorare il massimale, ma per incrementare il numero di ripetizioni con un carico submassimale, la componente preponderante è quella neuromuscolare, molto meno l’aumento della sezione trasversa del muscolo, è sempre più limitata e richiede meno tempo. Proprio appoggiandoci al numero di ripetizioni, va messo in evidenza come la componente neuromuscolare agisce allo stesso modo sulla seconda parte di gara se non ancora di più, come ha dimostrato lo stesso Dressel nei 100 delfino (vasca di ritorno con 25 metri controllati con un ottima ampiezza per poi aumentare ritmo alla fine, tutto tranne che casuale) o in particolare la canadese Masse nei 100 dorso, disciplina in cui come tipo di nuotata non vi sono più differenze tra i due sessi.

Gli aspetti metabolici della seconda parte di gara, in tal caso il sistema aerobico spinto al massimo per rimuovere il lattato prodotto in precedenza e la capacità lattacida per aiutare la fase di chiusura, rimangono sempre importanti e vanno curati, ma vanno saputi inquadrare in virtù del fatto che la seconda parte di gara è solo più un mantenimento (tutt’altro che facile) e non una fase di rimonta, a meno che non si parli di Federica Pellegrini, caso più unico che raro. Infine sempre in chiave metabolica, va rivalutato il tanto trascurato sistema anaerobico alattacido, evidenziato in alcuni studi come fornitore di energia in buone percentuali per il primo quarto di gara (per 100 e 200), questo perché proprio nel nuoto in virtù della particolare biomeccanica può essere sfruttato più a lungo dei canonici 6 secondi, come tutti gli altri va solo allenato.

Sempre nel caso del nuovo talento americano, non importa se delfino o stile libero, ma lui ha dimostrato una similitudine tra i due stili e che la tecnica di nuotata moderna va si ottimizzata, ma va ripulita non complicata. Se il suo stile libero è standard, il suo delfino non è di certo spettacolare come quello di Phelps, ma ha la peculiarità di essere uno stile libero a braccia pari, in questo modo il tempo di esecuzione di un ciclo è ridotto ai minimi termini, in modo da garantire una resa ottimale almeno fino ai 100. Del resto già un altro americano di nome Ian Crocker aveva già insegnato molto in questa direzione tecnica, tanto da essere il primo a scendere sotto i 51″ nel 2003 (primi mondiali di Barcellona, 50″98 battendo proprio Michael Phelps).

In merito al delfino diverso il discorso per la doppia distanza, dove l’utilizzo degli arti inferiori e la sua coordinazione è molto più importante, dove il Kid di Baltimora è stato un vero innovatore, con l’introduzione del “terzo colpo di gambe”, in questa disciplina sono più che mai convinto che il suo record non è figlio della tecnologia, ma di una classe immensa e al momento non ci sono interpreti all’altezza, in ogni caso anche qui Chad Le Clos ha fatto vedere una prima parte di gara veloce come non mai.

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Non è più tempo di parlare di costumoni invece per la rana, a detta di molti lo stile che avrebbe pagato il debito più alto dopo il 2009. L’aliquota è stata cancellata quasi subito a suon di record e il livello medio sempre in rialzo conferma questo trend.

La rana è lo stile che ha vissuto epoche radicalmente differenti dal punto di vista tecnico. È una nuotata tradizionalmente incentrata sul colpo di gambe, aggiungerei ancora oggi nelle scuole nuoto italiane, ma questa è un’altra storia. Una prima vera evoluzione della rana è stata nello scoprire il netto contributo alla fase propulsiva sia da parte dei muscoli delle braccia, che dai muscoli del tronco e infine l’ondulazione del bacino per contrastare la resistenza d’onda contribuendo a un’ulteriore aumento di velocità. Tutti aspetti trascurati, ma che hanno aperto nuovi orizzonti con miglioramento dei record, e hanno aperto gli occhi su nuove problematiche tecniche da affrontare, sia in termini di coordinazione, che di propulsione di gambe, un aspetto comunque sempre importante.

Entrando più nel dettaglio, questo sbilanciamento in avanti dovuto a una maggiore trazione obbliga ad anticipare ad ogni costo la gambata, altrimenti le gambe stesse finiscono per essere trascinate in avanti per inerzia e vengono impossibilitate a fornire lo loro vera propulsione, in ogni caso sempre utile e fondamentale. Si verifica soprattutto nella prima parte della gambata, fase in cui c’è il maggior rischio di creare attriti perché il nuotatore è già proiettato in avanti con il colpo di gambe non ancora chiuso, proprio in virtù di questa fase propulsiva che inizia già dalla trazione degli arti superiori.

Adam Peaty, sin dalla sua irruzione agli Europei di Berlino 2014, ha dimostrato un colpo di gambe fuori dal comune, inserito in questo nuovo schema di nuotata, discorso diverso per l’esercizio di sole gambe con la tavoletta. La sua vera qualità è che riesce a mantenere la gambata molto stretta lavorando solo sull’apertura dei piedi e l’intrarotazione delle cosce, in modo da garantire quell’escursione minima necessaria per cercare prima possibile l’appoggio dei piedi e chiudere il prima possibile la gambata creando però propulsione. In questo modo il tempo di gambata è nettamente più basso, e il pattern è più breve a fronte di una grande efficienza propulsiva rispetto agli altri.

Ormai nella nuotata moderna la gambata a rana possiamo dire che si è verificata la stessa metamorfosi che c’è stata già da un po’ di anni ormai per le bracciate, in primis quella a stile libero: si è andati verso una maggior linearizzazione possibile dei pattern della bracciata stessa, eliminando così quasi tutti i movimenti laterali, risultati inefficaci alla vera propulsione.

Nel caso soprattutto dei 50 e 100 rana per tutti gli altri questo tipo di gambata è molto difficile in virtù delle velocità e frequenze più alte, e il britannico è l’unico in questo momento a essere in grado di farlo in maniera così efficiente. Ma il suo vero progresso negli ultimi due anni, soprattutto oggi più che mai è stato il saper sfruttare al meglio i muscoli del tronco. Se lo si osserva nel periodo dei mondiali di Kazan 2015, Peaty possedeva già questa gambata unica, ma la parte superiore del corpo in termini di distretti impiegati, era tutta focalizzata su avambraccio e bicipite, una rana un po’ povera della zona dorsale (rispetto a van der Burgh per esempio), che ne faceva una nuotata più sconnessa per questo motivo, e con una bracciata molto più stretta in quanto già nella prima parte, anche solo con l’avambraccio andava in presa subito per poi avere già pronte le gambe a dare il loro apporto: ora non più!

Se si vede oggi il video di Youtube che sta girando sul web tantissimo in questi giorni, direi che la traiettoria che compie in fase di bracciata è ben più larga, ed è fondamentale per favorire l’apertura dei dorsali e prepararli alla trazione vera e propria. Da oggi più che mai la sua rana ha colmato anche questo gap, e riprese subacquee a parte, basta vedere anche solo le riprese televisive dei 100 rana, soprattutto nella prima parte (tanto per cambiare…) si nota la linea del bacino molto più alta del passato, sintomo di un impiego incisivo anche di questa parte del corpo. Il passaggio in 26″50 (per la precisione inferiore di 2 centesimi del tempo del secondo classificato nei 50 rana) è stato tutto meno che azzardato, anzi se proprio si vuole trovare un difetto è arrivato anche lungo sulla piastra.

Probabilmente nell’anno post-olimpico ha lavorato di meno sulla chiusura, più che altro dal punto di vista condizionale, ma si è ben portato ben avanti raggiungendo una completezza tecnica che gli ha consentito di avere una supremazia ancora maggiore nei 50 per il motivo che ho detto in precedenza. Proprio dal video della finale della gara più breve si vede come nessun altro riesca a sfruttare la gambata i quel modo, tutti hanno una gran trazione, fanno un gran lavoro con il tronco e il bacino, ma tutti si perdono per strada un pezzo di gambata.

Diverso il discorso per i 200 rana, che i virtù di frequenze più controllate permettono un miglior margine manovra e una maggiore facilità nel controllo del corpo, pur rimanendo una disciplina impegnativa. Sono convinto che lo sarà ancora di più se qualcuno, e chi se non Mr. Peaty, accetterà la sfida di provare a portare quei ritmi delle gare più brevi, anche sulla doppia distanza. Proprio gli stessi ritmi sarebbe impossibile, ma quantomeno provare ad avvicinarsi, lì si che nei 200 la rana troverebbe veramente la sua massima espressione e porrebbe i tecnici di fronte a un problema difficile da risolvere: per ogni atleta in base alle sue caratteristiche individuali trovare la frequenza e l’ampiezza ottimale per fare questa gara nel modo più performante possibile.

Questa sfida appena illustrata pone nuovamente l’accento oltre che sugli aspetti biomeccanici appena descritti, anche su quelli metabolici e neuromuscolari inquadrati in precedenza per il delfino e lo stile libero. È sicuro che dove la velocità aumenta non si può più lasciare nulla al caso e serve un team ben amalgamato di professionisti specializzati. Quello che ci hanno insegnato soprattutto questi Mondiali è che la densità aumenta e gli standard sono sempre più elevati, il messaggio è chiaro: ci troviamo davanti a nuotatori che magari non avranno mai diritto a un capitolo personale nella storia del nuoto, ma che intanto nuotano tempi spaventosi.

Questo è ciò che si è osservato specialmente nelle gare più brevi, ma anche nei 200. Inoltre si è visto come, a parte i protagonisti storici, le nazioni più in mostra sono tutte quelle più focalizzate sull’innovazione metodologica e su un team strutturato come sopra: Gran Bretagna, Canada, Giappone e l’Ungheria stessa su tutte.

Alcuni paradigmi di gara che si sono visti sono imprescindibili, e bisogna adeguarsi altrimenti si finisce per esser tagliati fuori. Per adeguarsi a tutto ciò i fatti obbligano ad intraprendere la strada dell’evidence-based coaching, quindi su team di figure professionali che conoscono tutte le evidenze scientifiche del caso.

Il belief-based coaching presente ancora tutt’oggi ha i suoi limiti, forse paga ancora (bisogna vedere per quanto tempo) nelle specialità dove abbiamo vinto le medaglie noi italiani. Sono discipline impegnative dove i nostri atleti hanno dimostrato di avere gli attributi, (che dire di Federica se non immensa per essere ripetitivi…), ma sono tutte gare dove non è ancora avvenuto quell’incremento significativo di velocità come per le discipline analizzate in precedenza.

Non vuole essere una polemica contro nessuno, perché le persone non bastano e servono soprattutto strutture adeguate. Ma forse rispetto al trend attuale basta anche meno; sarò ripetitivo, ma mi rifaccio all’appello del coach Claudio Rossetto che avevo ripreso nell’analisi post-assoluti nel mese di aprile: servono progetti di confronto e condivisione in modo da incanalare il prima possibile quei 10-20 giovani promettenti verso il nuoto che conta.

In un mondo sempre più competitivo, con il materiale umano che abbiamo sarebbe un peccato rimanere spettatori e non provare, almeno, a essere protagonisti.

(Foto: Fabio Cetti | Corsia4)