Dopo numerose discussioni sui modi di ragionare del nostro organismo in una situazione di esercizio fisico, e sulla grande capacità di eseguire in parallelo questi processi metabolici in svariate situazioni, nulla è scontato sulla possibilità che si verifichino esattamente come li abbiamo descritti.

Questo perché ogni organismo ha una sua individualità e può essere stimolato in tanti modi oppure alla stessa maniera, ma in momenti diversi da un punto di vista cronologico.

Da una parte il bello di allenare e allenarsi è proprio nella mancanza di una verità assoluta, ma di sicuro una cosa è certa: tutto ha un prezzo!

Tutti i movimenti, in questo caso per spostarsi nell’acqua a diverse velocità hanno un certo costo energetico, definito in letteratura come la quantità di energia complessiva richiesta per poter spostare un corpo per un’unità di spazio (metro in questo caso).

Ho deciso di parlare di questo argomento perché lo ritengo un fattore intrinseco a ogni disciplina sportiva, soprattutto parlando di sport ciclici, di prestazione in cui l’obiettivo è esprimere una forma di locomozione ottimale, ovvero a velocità più alta possibile su una certa distanza.

Infatti la fisiologia, a livello generale illustra una collezione di possibili comportamenti dell’organismo se sottoposto a certi stimoli il cui input è rappresentato dall’intensità, la quale non tiene memoria dei fattori intrinseci relativi allo sport in oggetto.

La resistenza all’avanzamento nel nuoto: il drag

Il nuoto è lo sport dove più di tutti bisogna fare i conti con la resistenza all’avanzamento, rappresentata come grandezza fisica da una forza, che il nuotatore deve contrastare ad ogni costo per ottenere la miglior propulsione possibile: si tratta del drag. Questo agisce direttamente sulla meccanica di nuotata, diversamente dalle discipline prettamente “terrestri”.

È stato più volte ripetuto come la resistenza che s’incontra in acqua è significativamente maggiore che in altri ambienti, ma da un lato va vista in senso positivo dal momento che la resistenza mi permette anche di trovare un appoggio per provare ad applicare la forza. Non vorrei soffermarmi su quanto è stato detto su questo argomento e alla sua correlazione con la tecnica di nuotata, con la capacità di galleggiamento, con i parametri morfologici e antropometrici dell’atleta; dal momento che è stato scritto e riscritto abbastanza e si arrivati alla conclusione che l’obiettivo primario è sempre quello di massimizzare la forza propulsiva e ridurre il drag stesso, e la velocità di nuotata non può che aumentare.

La vera chiave di miglioramento, soprattutto di un nuotatore evoluto, che di sicuro ha già perseguito gli obiettivi appena illustrati, è proprio legata al fatto che il drag è funzione della velocità, e purtroppo la relazione non è lineare, ma quadratica! Quindi il voler raggiungere velocità di nuotata sempre più elevate porta sempre a scontrarsi con questo problema, proprio perché la forza che viene applicata non viene solo utilizzata per riuscire a spostare il corpo del nuotatore in avanti, ma anche per accelerare le masse d’acqua all’indietro, cosa che non avviene nella propulsione terrestre, ne persegue quindi questa forte dipendenza ulteriore dalla velocità stessa.

La relazione fra potenza e velocità nel nuoto

Perciò l’argomento principale su cui voglio soffermarmi riguarda il dover incrementare la velocità di nuotata, tenendo conto di avere delle capacità metaboliche non illimitate e un costo energetico che per quanto sono presenti le ottimizzazioni precedentemente illustrate, continuerà a crescere in funzione della velocità, con una relazione cubica. Per riassumere meglio questi ultimi passaggi le formule seguenti rendono l’idea:

Wd = D × SL ⇒ Wd = k×v2 × SL

L’energia richiesta per ciclo di nuotata è funzione del quadrato della velocità, dell’ampiezza di bracciata (SL) – miglioramento della tecnica e incremento della forza – e di una costante (k) che caratterizza il drag passivo.

Se calcoliamo l’energia nell’unità di tempo, ovvero la potenza richiesta allora la formula precedente diventa:

Pd = k×v2 × SL × SF

Frequenza (SF) e ampiezza di bracciata (SL) forniscono come prodotto esattamente la velocità di nuotata, per ottenere la formula finale:

Pd = k×v3

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La chiave dell’allenamento di prestazione

Questa riflessione vuole semplicemente mettere in relazione gli aspetti tecnici intrinseci del nuoto, relativi alla meccanica di nuotata e i modelli della fisiologia proposti. Per un semplice motivo: è stato più volte evidenziato come la meccanica di nuotata influenza sia il costo energetico che la velocità, e la chiave dell’allenamento di prestazione non è altro che trovare un compromesso ottimale tra i parametri stessi in funzione della disciplina da preparare.

Con la fisiologica tradizionale, o derivata da studi su altre discipline ciò non è possibile, perché quasi sempre si tende a dare per scontato un aumento lineare del costo energetico con  l’aumento della velocità, e da li vengono derivati i parametri metabolici citati in tutte le forme, tutti basati su condizioni di equilibrio e bilanciamento. Ma nel nuoto questo ragionamento, almeno per le velocità di gara (sempre più alte), non porta risultati costruttivi proprio per i motivi appena descritti, e non potrà contribuire così al miglioramento delle prestazioni, per quelli che sono diventati gli standard  mondiali nel 2017.

Un esempio pratico: la gara dei 200

Come caso pratico relativo al mondo natatorio ho deciso di illustrare la gara dei 200 (in tutti gli stili). Basandosi sempre sulle evidenza scientifiche, i contributi energetici dei diversi sistemi sono i seguenti: il meccanismo aerobico è coinvolto tra il 61% e il 70%, invece i meccanismi anaerobici (intesi come sommatoria della componente alattacida e lattacida) danno il loro contributo alla fornitura di energia tra il 30% e 39%.

Come già detto più volte i meccanismi lavorano in maniera sinergica, ovvero al di là delle percentuali danno il loro contributo durante tutta la prestazione, ma in maniera diversa. Se proprio vogliamo fare un tentativo di collocarli un po’ meglio, è possibile affermare che il sistema aerobico è preponderante nella parte centrale della gara mentre i sistemi anaerobici nelle fasi estreme della prestazione. Ma è bene prestare attenzione a non cadere nella trappola legata alle zone isolate, e soprattutto i numeri che abbiamo appena riportato sono riferiti a soggetti altamente allenati.

Cosa voglio dire: niente di più sbagliato associare la percentuale elevata del sistema aerobico a definire i 200 come gara di mezzofondo. Questo perché fermandosi ai soli numeri il rischio è di incorrere in interpretazioni errate: ad esempio il pensare al sistema aerobico come resistenza pura (A2 per gli amanti della battaglia navale!) e che i dati ricavati siano relativi ai 200 “vecchia maniera” come si nuotavano 20 anni fa, ovvero con la classica gara di attesa per finire in progressione.

La realtà è diametralmente opposta: il sistema aerobico interviene seriamente proprio per rimuovere l’acido lattico – a livello muscolare – che viene prodotto proprio in virtù delle intensità già elevate nella prima parte di gara (per natura i sistemi anaerobici hanno un’inerzia minore e si attiveranno sempre per primi). Per facilitare l’uscita dell’acido lattico dall’ambiente cellulare e l’incremento del lattato a livello ematico (qualcuno è ancora convinto che il lattato elevato è un indice di non allenamento…) il sistema aerobico viene spinto al massimo delle sue potenzialità – nell’allenamento moderno si parla di overload del sistema aerobico, ma vedo che tanti parlano di B3… – per facilitare il più possibile il buffering muscolare tramite i meccanismi di shuttle di trasporto attivo di cui abbiamo parlato in una puntata precedente (leggi QUI).

Un individuo non allenato non riesce sfruttare il meccanismo aerobico in questo modo costruttivo proprio perché non avendo i sistemi di trasporto attivo sviluppati (una parte dell’allenamento produce adattamenti in questa direzione), il suo organismo deve aspettare l’intervento dei meccanismi di diffusione, che fanno defluire il lattato ugualmente, ma in modo molto più lento, rendendo impossibile l’intervento degli altri sistemi in tempo utile, perché in questo caso la gara è finita!

Rende l’idea della velocità che si sono raggiunte oggi nei 200 se si prendono in considerazione i dati relativi al contributo del solo sistema anaerobico alattacido (22%), dal momento che interviene praticamente solo nella prima parte di gara, sicuramente per poterlo utilizzare per un periodo di tempo non troppo limitato rispetto alla sua scarsa capacità è un indice di grande ottimizzazione di frequenza e ampiezza di bracciata ottimali, specie per quanto riguarda la frequenza, sicuramente la velocità verrà incrementata, ma con un rischio di esaurimento rapido di energia.

L’innovazione dell’allenamento natatorio non deve essere altro che l’applicazione degli schemi ottimali tenendo presente i parametri della prestazione intrinseci basati su evidenze scientifiche come quelle mostrate. Gli schemi vecchi non sono sbagliati, però la prestazione rimane confinata su certi standard ora inadeguati.

Sono allenamenti che andavano bene per nuotare 1’47”-1’48” nei 200 stile libero uomini (primi anni 2000), e quanto si continua a nuotare oggi in Italia? 1’47”-1’48” mentre l’élite mondiale nuota in media 1’45”.

(Foto copertina: Fabio Cetti | Corsia4)

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Riferimenti

Barbosa TM, Fernandes RJ, Keskinen KL, Vilas-Boas JP (2008) “The influence of stroke mechanics into energy cost of elite swimmers”. Eur J Appl Physiol 103(2):139–149.

Zamparo P, Pendergast D, Mollendorf J, Termin A, Minetti A (2005a) “An energy balance of front crawl”. Eur J Appl Physiol 94:134–144

Vilas-Boas JP, Fernandes R, Zamparo P, Figuereido P, “An energy balance of the 200 m front crawl race”. Eur J Appl Physiol October 2010

Caputo F, Fernandes M, Benedito S, Coelho C, “Intrinsic factors of the locomotion energy cost during swimming”. Rev Bras Med Exporte-Vol 12 N°6