Dopo la consueta pausa post Assoluti, torna a fare capolino nelle vostre bacheche Fatti di nuoto weekly, la rubrica a cui piacciono allo stesso modo sia le gare che le domande esistenziali.
Prima di tutto un pò di Cina
Da prendere sempre con le pinze, ma i tempi ai Campionati Cinesi fanno strabuzzare gli occhi: sarà come spesso succede un fuoco di paglia o si confermeranno fenomeni anche in estate?
Intanto consociamo Pan Zhanle, diciottenne che nei 100 stile scende a 47.22, record nazionale e asiatico nonché primo tempo del mondo finora, iscrivendosi di prepotenza nella lista dei contendenti al trono di Popovici. Sono già in 15 quest’anno ad essere scesi sotto i 48 secondi e, purtroppo, non c’è nemmeno un italiano.
Poi ritroviamo Wang Shun, 1.55.55 nei 200 misti che lo videro oro a Tokyo, e Xu Jiayu, che nei 100 dorso è già a 52.48: entrambi sono best crono del 2023, until now. E poi c’è la sorpresa di Qin Haiyang, ranista che avevamo già conosciuto in corta e che ora scende a 57.93 nei 100 in lunga, record asiatico e terzo tempo della storia. È vero che certi tempi poi vanno rifatti quando conta, però ragazzi…
Dressel, Barlaam, Antetokounmpo
Tornerà? Non tornerà? Se lo chiedono tutti, da tempo, ma la risposta non è ancora certa. Dopo i Mondiali 2022, Caeleb Dressel si è preso una lunga pausa dai riflettori, che ha coinciso anche con una pausa dal nuoto in generale, dovuta allo stress che il nuoto stesso gli aveva provocato. In realtà non si sa moltissimo sulle vere cause di tale assenza, anche se le ipotesi non sono certo mancate. Centra di sicuro la salute mentale, centra anche una certa voglia di vita normale e una certa tendenza dei media sportivi a opprimere i super campioni come lui.
Ora, dopo circa 11 mesi di assenza, sembra più vicino il suo ritorno in competizione. Nonostante non ci sia nessuno più felice del sottoscritto all’idea di rivedere Dressel in piscina, non vorrei che si trattasse di un passo quasi costretto dalle circostanze e dagli sponsor. Domandiamoci questo, per una volta: è più importante l’uomo o l’atleta? Se la risposta è chiara, dovrebbe anche esserlo il modo di approcciare al tema, perché la salute mentale è un tema, e gli esempi nello sport sono ovunque, anche nel nuoto.
Qui c’è la storia di Kai Edward, promessa australiana di 24 anni e già ritirato dalle competizioni, e qui c’è una bella intervista a Simone Barlaam, che racconta (tra le altre cose) di quanto il lockdown abbia influito sul suo equilibrio psichico.
Qual è quindi il modo giusto per parlare di certe cose?
Ha ragione Giannis Antetokounmpo (che in soldoni dice: non esiste fallimento, o si vince o si impara) oppure è un modo troppo soft di approcciare allo sport professionistico?
La risposta sta nel mezzo
Forse si tratta come sempre di mediare. È chiaro che per una squadra favorita per il titolo NBA non può considerarsi un successo perdere al primo turno playoff contro l’ultima qualificata, ma credo proprio che Giannis sia il primo a saperlo bene. È altrettanto chiaro che spesso la narrazione sportiva è tossica e contaminata dal pensiero vincente che i campioni stessi, e Giannis è uno di quelli, hanno contribuito a rendere dominate. Pensate a Nadal che pur di giocare a tennis si sta condannando ad un futuro nel quale potrà camminare senza dolore sono grazie a farmaci e operazioni chirurgiche. Pensate a Cristiano Ronaldo, talmente ossessionato dalla vittoria da risultare fastidioso, o a Michael Jordan, che ha trasformato la fame di successo in una patologia. Pensate a Phelps, che per il nuoto ha rischiato di distruggere la propria vita.
Quindi mi viene da pensare che la moderazione dovrebbe essere da entrambe le parti: così come per il giornalista esistono molti modi meno tossici di raccontare lo sport, anche per il campione ne esistono altrettanti per viverlo e praticarlo.
See you later!
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Foto: Fabio Cetti | Corsia4