Domenica 1 agosto, Caeleb Dressel ha attraversato per l’ultima volta la zona mista del Tokyo Aquatics Centre insieme ai compagni di squadra con i quali ha vinto la gara conclusiva delle Olimpiadi in piscina, la staffetta 4×100 mista.

Intorno a lui, che ha nuotato la frazione a delfino, il dorsista Ryan Murphy, il ranista Michael Andrew e lo stileliberista, Zach Apple, che ha avuto il compito di chiudere la gara e portare agli USA la vittoria. Una vittoria, per gli Stati Uniti, tutt’altro che scontata, perché contesa a lungo con la Gran Bretagna, ma ritenuta in patria una specie di cartellino da timbrare: dal 1960 (anno dell’introduzione nel programma) gli americani l’hanno sempre vinta, eccezion fatta per il 1980, quando non parteciparono ai Giochi per il boicottaggio all’Unione Sovietica.

Mentre si avviano verso gli spogliatoi, Dressel si avvicina a Apple e gli appoggia la testa sulla spalla, in un gesto allo stesso tempo scherzoso ma dolce, come per ringraziarlo dell’impresa sportiva appena compiuta, e per dirgli che fortunatamente “Job’s done.”. Tutto nonostante gran parte del merito della vittoria vada a Dressel stesso, che, con la sua frazione a delfino da 49.03, ha dato più di un secondo al rivale diretto inglese, James Guy (50.27), consegnando ad Apple un buon vantaggio da amministrare. Non è stata la prima volta che il nuotatore americano ha mostrato un lato di sé intimo e personale, un lato che non ha mai nascosto e che apparentemente si scontra con la narrazione classica, dell’atleta supereroe, che viene affibbiata a chi come lui sembra essere sportivamente invincibile.

PREDESTINATO

Alla vigilia di Tokyo 2020, sia negli Stati Uniti che in giro per il mondo erano tutti sicuri che sarebbe stata l’Olimpiade di Caeleb Dressel. In una sorta di fil rouge sportivo, negli Stati Uniti sembra esserci un’infinita ricerca del prossimo fenomeno: prima Duke Kahanamoku, poi Johnny Weissmuller, Don Schollander, Mark Spitz, Matt Biondi e infine Michael Phelps. Ognuno ha preso il testimone dal precedente, ha ampliato il dominio aggiungendo gare al programma, ha superato il predecessore con più trionfi, più record del mondo, più gloria. Questo discorso, con Michael Phelps, ha trovato la sua sublimazione: sembra onestamente impossibile chiedere ad un essere umano di nuotare un’Olimpiade più dominante di quella da lui fatta a Pechino 2008.

Nonostante ciò, gli straordinari risultati di Dressel hanno acceso la lampadina e scatenato la fantasia di aver trovato il next one: ai Mondiali di Gwangju 2019 ha vinto sei ori e due argenti e a quelli precedenti, Budapest 2017, ha eguagliato il record di ori in un singolo mondiale (7), che appartiene a Phelps. Proprio il paragone con il campione di Baltimora ha portato i media a forzare la narrazione su Dressel, ipotizzando addirittura un improbabile attacco agli storici otto ori di Pechino 2008. Uno scenario per Dressel quasi impossibile: anche solo per partecipare a otto distanze, Dressel avrebbe dovuto snaturare il suo programma, fortemente incentrato sulle prove veloci, ed aggiungere i 200 stile e la staffetta 4×200, gare nelle quali non è al top mondiale.

Si trattava solo di un’idea giornalistica, perché Dressel non ha mai menzionato questa possibilità e alla domanda specifica ha sempre risposto con classe e serenità: “Michael (Phelps) è Michael, ha scritto la storia del nuoto. Io voglio semplicemente scrivere la mia.” Che comunque significa presentarsi a Tokyo in sei gare: 50 e 100 stile, 100 farfalla, staffette 4×100 stile, 4×100 mista e 4×100 mista uomini/donne. Significa entrare in acqua dodici volte in sei giorni, tra batterie, semifinali e finali, e visto che si tratta di gare brevi o brevissime, sono tutti turni da nuotare al massimo (o quasi) della propria potenzialità, per evitare spiacevoli rischi eliminazione.

Quando, dopo due giorni di gare, un cronista USA gli ha chiesto che consiglio volesse dare alla giovane Lydia Jacoby, vincitrice dei 100 rana e primo oro olimpico proveniente dall’Alaska, lui ha risposto: “Magari è lei a doverli dare a me, visto che io non ho ancora vinto un oro individuale alle Olimpiadi.” Dressel aveva momentaneamente vinto solo la 4×100 stile, gara nella quale aveva tra l’altro dato un’impressione non brillantissima, cedendo negli ultimi metri della sua frazione e subendo in parte il recupero dei rivali. Il problema è che Dressel, negli ultimi anni, ci ha abituato ad un tale dominio fisico nelle sue gare che anche solo la minima percezione di difficoltà ci sembra una notizia enorme. Dopo quella staffetta, per alcuni, l’Olimpiade di Dressel sarebbe stata in salita.

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Il primo Oro Individuale

Caeleb Dressel è nato il 16 agosto del 1996, pesa 88 kg ed è alto 191 centimetri. Il suo fisico sembra disegnato per fare l’atleta, non solo il nuotatore. Spalle larghe, torace ampio e possente, braccia lunghe e muscolose, in molti prospettavano per lui, al tempo delle high school, un futuro nel football. Anche se la forza fisica è la sua dote più evidente, Dressel è un nuotatore molto tecnico, e in diversi aspetti delle sue gare è in grado di unire queste due caratteristiche con un’efficenza incredibile. L’esempio principale è la partenza: oltre ad essere il più reattivo al via ed il più potente nella spinta, riesce a coordinare il tutto in un gesto perfetto, sia nella fase aerea che nella subacquea, guadagnando sempre almeno un metro su tutti i rivali. In gare che durano dai 20 ai 50 secondi, si tratta di un particolare spesso determinante.

Lo è stato anche per la sua prima medaglia d’oro individuale, quella nei 100 stile, arrivata in una finale tiratissima e fino all’ultimo contesa con l’australiano Kyle Chalmers, campione uscente, che è arrivato secondo per 6 centesimi. Era l’oro più atteso non solo per Dressel ma anche in generale, visto che i 100 stile libero sono considerati la “gara regina” del nuoto, ed in particolare per gli USA, dove c’è una lunga tradizione e dove l’argento viene considerato una sconfitta. La finale si è svolta il 29 luglio, quinto giorno di gare, e guardando i risultati dei turni preliminari sembra che Dressel ci sia arrivato in scioltezza. In realtà, le sue sensazioni non erano per nulla ottimali.

Mi sono svegliato tutte le mattine pensando di stare da schifo, quando invece il mondo voleva che fossi felice

ha detto in una conferenza stampa, mettendo in evidenza lo stress e la pressione che avvertiva intorno ai suoi risultati. Vincere è stata una vera e propria liberazione per lui: il suo volto, dopo l’arrivo della gara, è incredulo, stupefatto, sconvolto. Dopo pochi secondi, si gira verso le tribune semi vuote, rivolgendosi alla squadra americana, e scoppia in lacrime. Anche sul podio, durante l’inno, si lascia andare in un pianto quasi disperato, un sollievo evidente che ha di fatto sbloccato la sua Olimpiade.

Due giorni dopo, ha vinto i 100 farfalla, la gara dove aveva, sulla carta, più chance e più margine sui rivali, migliorando anche il record del mondo, che già gli apparteneva, e l’ultimo giorno ha trionfato prima nella finale dei 50 stile, e poi nella staffetta 4×100 mista, portando così a cinque il bottino di ori della sua Olimpiade. Se escludiamo il passaggio a vuoto della staffetta mista uomini /donne, dove gli USA sono arrivati quinti per un evidente errore di formazione (e non per demerito suo, che ha comunque nuotato la frazione a stile in 46.99), i Giochi di Dressel sono stati perfetti.

Sotto l’Atleta

“Sono davvero bravo solo in una cosa: a nascondere le mie emozioni. Finché ci riesco… perché poi quando mollo non torno più indietro.” A Caeleb Dressel è stato permesso di essere anche fragile, con un’indulgenza che non è stata concessa ad altri atleti, sia del passato che contemporanei. È stato lui stesso a citare Simone Biles, in un’intervista al Today Show: “Anche io ho avuto i miei momenti, e capisco perfettamente cosa si prova. Ho accumulato un sacco di pressione, non lo nascondo. Ora posso dire che ne è valsa la pena, ma è stata dura.”

Se le sue gare possono sembrare esibizioni quasi automatiche, la realtà è opposta. Anche durante le Olimpiadi, Dressel ha voluto dare di nuovo dimostrazione a chi lo racconta come una specie di automa progettato per nuotare che c’è molto altro. Oltre alle lacrime sul podio, agli abbracci con i compagni ed alla bandana che da sempre stringe prima di ogni gara, ricordo di una sua insegnante mancata qualche anno fa, ci sono le sue parole. Nella mattina del 31 luglio ha nuotato le semifinali dei 50 stile, la finale dei 100 farfalla e la staffetta; mancava un’ultima sessione di gare il giorno successivo: “Sono stanco morto e anche un pò nervoso, non vedo l’ora che sia finita”.

Nella conferenza stampa finale ha ammesso che “nuotare era decisamente più semplice quando nessuno mi conosceva”. Poi ha descritto le Olimpiadi in questo modo: “In questi anni, ho cercato di convincermi che nuotare ai Mondiali e alle Olimpiadi fosse la stessa cosa, la gara è sempre la stessa. Ma non è così. C’è un motivo se questo evento si svolge ogni quattro anni, la pressione è totalmente diversa, ed io avevo solo 20 secondi per dimostrare tutto il lavoro fatto, da me e da chi mi ha aiutato. È stata durissima.” Ed infine: “Sembra quasi che la tua vita si riduca ad un momento che dura 20 secondi: è folle.”

Non significa che non sia stato felice di aver dominato le Olimpiadi, di aver potuto metter il suo nome accanto a quello di leggende come Michael Phelps e Mark Spitz, ma che sarebbe inutile fingere che il percorso sia stato facile, anche durante i Giochi stessi. “Prima di ogni gara, ero molto nervoso. E dopo ogni gara, ho pensato che ci fosse qualcosa che non andava”, ha detto, confermando che “l’Olimpiade è stata piena di momenti difficili, ma da quei momenti cerco di raccogliere ciò che mi serve per andare avanti.”

Se può ritenersi sollevato dal fatto che è riuscito a vivere “la sua Olimpiade”, dopo Tokyo sarà difficile che la pressione su di lui e sui suoi risultati si attenui. Così come capitato a Phelps prima di lui, ogni volta che stabilisci un record alzi l’asticella, e la gente si aspetta da te di più, vuole la prossima impresa, il prossimo record del mondo, la prossima sfilza di ori. L’anno prossimo, e quello dopo, ci sono i Campionati Mondiali, e dietro l’angolo c’è Parigi 2024, un’altra occasione per provare a stabilire nuovi record. Per questo motivo, i gesti e le parole di un atleta come Dressel hanno una valenza simbolica ancor più elevata.

Appoggiandosi sulla spalla di Zach Apple, Dressel ha voluto dire al mondo che nuotare sei finali Olimpiche in una settimana, e vincerne cinque, non è per niente facile, che non è sbagliato chiedere aiuto ad altri e ringraziare per il favore, che non c’è niente di male nel mostrarsi anche vulnerabili o fragili, nonostante il mondo ti veda come una specie di robot. Che si può essere cinque volte campioni olimpici e allo stesso tempo anche esseri umani.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4