L’allenamento del nuoto presenta sempre una grande sfida per gli atleti, ma in primo luogo per gli allenatori. Oggigiorno il nuoto mondiale sembra essere uscito veramente dagli schemi comuni del secolo scorso, proprio per la grande varietà di metodologie allenanti che si presentano in ogni realtà acquatica.

Questa diversificazione può sembrare ovvia, dal momento che pur restando in un ambito agonistico, si verifica ciò perché a essere varie e piuttosto eterogenee sono proprio le categorie stesse, si passa dai nuotatori master, alle categorie giovanili, fino agli assoluti, e la diversità è data prima di tutto dalla differenza di obiettivi.

Ma stringendo il cerchio agli atleti adulti ecco che di ovvio non c’è nulla: le differenze sono dettate solo dalla differenza di livello tecnico dei singoli individui, ma l’obiettivo comune è nuotare il più veloce possibile. Come fare ciò?

Gli scenari che si aprono a questa domanda sono molteplici, ma pur percorrendo strade differenti sono ormai ben visibili a tutti gli allenatori. Stiamo parlando degli elementi costitutivi indispensabili per un nuoto di qualità, improntato al miglioramento continuo e il più trasversale possibile: resistenza, velocità (intesa in senso stretto), tecnica di nuotata, forza, flessibilità muscolare, fasi subacquee, tattica di gara, alimentazione e, ultimamente, anche la preparazione mentale.

L’ordine in cui sono stati elencati i vari aspetti non è casuale, ma rappresenta un excursus storico ben preciso. Anche se le origini del nuoto sono molto antiche, possiamo pensare di iniziare il percorso un po’ più avanti nel tempo, precisamente all’inizio degli anni ’70, dal momento che parliamo di nuoto competitivo ed è proprio qui che si iniziò ad avere una sorta di consolidamento agonistico.

Nel senso che si tratta di un momento cruciale in cui si è assistito ad un assalto continuo dei vari record mondiali. Tale fenomeno sembrava andare di pari passo con l’aumento significativo del metraggio percorso nelle sedute di lavoro in acqua, come della frequenza stessa di allenamento, e in parte anche dell’intensità; tutto ciò prendendo come riferimento quanto fatto negli anni ’50 e ’60.

L’effetto di quel cambiamento che si ebbe all’epoca era proprio l’aumento della resistenza. Si tratta infatti di un indicatore della prontezza di una atleta a gareggiare, perché è la sua abilità a resistere all’eccesso di fatica con il progredire della gara. Molti allenatori per anni hanno speso un lasso di tempo significativo per far lavorare i propri nuotatori allo sviluppo di questa caratteristica, che spesso è stata considerata come l’unico fattore in grado di contribuire al successo finale degli atleti. Ma molte domande sorgono quando si pondera l’importanza di sviluppare la resistenza come punto chiave del nuoto di successo.

1. Quanto sono capaci a resistere alla fatica i migliori al mondo quando nuotano i loro personal best?
2. C’è una differenza fondamentale nella capacità dei nuotatori appartenenti all’élite mondiale di resistere alla fatica rispetto ai nuotatori di un livello più modesto?
3. C’è una differenza tra maschi e femmine?
4. Quanta differenza c’è tra gli atleti migliori dell’ultimo decennio rispetto a quello di trenta anni fa?

Una volta messo ben in evidenza il problema della fatica, come un fattore limitante, alcuni studiosi hanno cercato di quantificarlo meglio.

Il punto di partenza è il seguente: la gara più corta è lunga 50 metri, proiettandoci verso i 100 il miglior tempo possibile da realizzare in questa gara, almeno in linea del tutto teorica, non è altro che il tempo dei 50 moltiplicato per due. In natura un fatto del genere non accade mai dal momento che è sempre presente qualche elemento di fatica che sopraggiunge, quindi la velocità media della doppia distanza è sempre più bassa della velocità media della gara più corta. Lo stesso concetto vale se vengono confrontati 100 e 200, al momento lo stile non conta. Ancora una volta la performance più alta ottenibile nei 200 è proprio il doppio del tempo impiegato a coprire la mezza distanza. E allo stesso modo, l’elemento fatica porta l’atleta a ridurre la sua velocità media, il che si spiega con il maggior stress fisiologico richiesto man mano che la gara aumenta in lunghezza.

Perciò la resistenza alla fatica non è altro che l’abilità a mantenere la velocità media nella disciplina più lunga il più vicino possibile a quella della distanza inferiore. Ecco che si è cercato di quantificare la componente fatica nel modo seguente:

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Questa formula fornisce una grandezza adimensionale che fornisce semplicemente un indice che identifica la perdita di velocità nella seconda parte di una gara, intesa come tempo maggiore impiegato. Non ha alcun significato fisiologico o metabolico, ma solamente statistico. Molto interessante è stato uno studio basato su questa considerazione effettuato da alcuni scienziati dell’Università del Colorado, che hanno confrontato secondo il metodo appena descritto i risultati delle varie epoche in tutti e quattro gli stili considerando sia il differenziale 100-50 che quello 200-100.

Il dato importante che è emerso nettamente da questo studio è che nel nuoto moderno la percentuale di fatica è solo diminuita dell’1%. Questi dati mettono ben in evidenza come i più veloci al mondo il giorno d’oggi vanno più forte delle loro controparti proprio perché sono in grado di generare una velocità di base molto più alta e non perché riescono a mantenere una percentuale maggiore della loro velocità massimale per l’intera durata di un evento qualsiasi.

In termini molto più relativi è però altrettanto vero che se si trovano all’interno di una sfida due nuotatori con la stessa velocità di base prevarrà quello con una resistenza maggiore, che può essere vista in tanti modi, da una predisposizione personale a un maggior stato di allenamento. Dualmente se a sfidarsi sono invece due nuotatori con la stessa resistenza, vincerà quello dotato di abilità maggiore nel creare velocità. Ma in questo caso il ragionamento fatto in precedenza per la resistenza non è più valido, l’allenamento alla fatica non è più sufficiente. Infatti, è proprio la qualità della velocità, intesa in senso lato, che distingue i nuotatori di vertice mondiale da tutti gli altri. Questo proprio perché la fatica percentuale è estrinseca rispetto ai tempi nuotati, tiene conto solo del differenziale.

Compiendo uno studio analogo, ma per tipologia di atleti anziché per epoche, risulta altrettanto interessante notare che anche a livelli più bassi i nuotatori hanno come parametri di fatica delle percentuali simili all’élite mondiale.

Dopo questa riflessione è doveroso per ogni allenatore moderno chiedersi specificatamente:
⇒ Quali sono le qualità di velocità
⇒ Come strutturo l’allenamento in modo da ottenere il maggior impatto su questa qualità

Si è più volte ripetuto, analizzando i parametri biomeccanici più classici delle gare effettuate, che la vera qualità che separa l’élite dal resto del mondo è la capacità di un atleta di alto livello di percorrere una distanza maggiore per ciclo di bracciata, infatti molti nuotatori normali hanno comunque nelle varie discipline le stesse frequenze di bracciata degli atleti migliori al mondo. Altro metodo di studio per la velocità molto di moda è stato il considerare il rapporto propulsione-attrito e sono stati presentati negli anni molti metodi per aumentare la forza: si fa sempre più un largo uso di pinnette, palette di tutti i tipi, paracadute ed elastici per il nuoto trainato.

Allo stesso tempo, soprattutto ultimamente, costituisce un forte oggetto di studio e di sfida quotidiana l’ottimizzazione delle tecniche di nuotata che minimizzano le varie componenti di drag. L’evidenza non è altro che un nuotatore deve sicuramente applicare una forza adeguata e opportuna per raggiungere alte velocità, ma ad un certo punto si può pensare di incrementarla ulteriormente solo facendo meno attrito possibile: questa sorta di compromesso rappresenta un po’ la chiusura di un cerchio molto ampio.

Anche se non sembra che i moderni metodi di allenamento abbiano migliorato in modo significativo la capacità di resistere alla fatica, è altrettanto vero che stiamo facendo qualcosa che sta permettendo ai nostri atleti di nuotare molto più velocemente rispetto al passato, si va sempre più verso un’idea allenante che permette di migliorare dai 50 fino ai 1500 metri.

Perché la velocità è sempre relativa alla distanza di gara da affrontare, ma è assoluta se si parla di velocità di base, questo è il vero punto chiave del nuoto moderno che ha permesso di attuare una rivoluzione quasi copernicana, uscendo si dagli schemi, non più definiti univocamente, ma molto più vari anche se ben delineati scientificamente. Altrimenti senza questi presupposti il nuoto sarebbe solo un’arte, ma l’arte è fine a sé stessa.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4

Riferimenti
“Resistance to Fatigue and Success in Competitive Swimming” – Steven C. Myers, Los Alamos High School Jake A. Bailey, University of Northern Colorado.