Disclaimer: non troverete qui nessuna opinione personale. Sono un maschio, bianco ed etero, nella vita non ho conosciuto discriminazioni e mi ritengo fortunato. Il mio pensiero non aggiungerebbe nulla al dibattito, e non sono nemmeno sicuro di averne uno così formato e deciso sull’argomento. Voglio solo provare a mettere sul tavolo i fatti, che mi sembra già un buon punto di partenza.
In realtà non è proprio di Lia Thomas che voglio parlare, ma vi invito comunque ad ascoltare il suo punto di vista perfettamente raccontato nella sua intervista al podcast di SwimSwam USA.
Nel maggio del 2019, Lia Thomas ha deciso di iniziare il trattamento medico a base di bloccanti di testosterone ed estrogeni che da il via a a quella che si chiama transizione: il corpo cambia, peso e muscoli si ridistribuiscono, i lineamenti subiscono dei mutamenti e tutto porta verso l’obiettivo finale, nel suo caso diventare una donna. Si tratta di un percorso faticoso e complicato, durante il quale a volte è possibile perdersi ed è difficile anche avere delle tempistiche chiare e sicure.
In tutto ciò, Lia racconta di quanto il nuoto abbia svolto un ruolo fondamentale per lei, come posto sicuro nel quale rifugiarsi anche nei momenti più difficili, lontano dalle dinamiche attraverso le quali, inevitabilmente, sta passando. Segnatevi un primo punto di contatto tra Lia Thomas e tutti noi: frequenta le piscine da quando aveva cinque anni e non riesce ad immaginarsi una vita senza la possibilità di allenarsi ed avere un obiettivo per il quale lottare.
Per quanto l’iscrizione di Lia Thomas sia perfettamente in linea con i regolamenti NCAA e per quanto fino all’inizio vero e proprio delle competizioni la polemica fosse spostata su un piano più ideologico, ora il discorso ha una base effettiva sulla quale ragionare.
Lia Thomas è nata e cresciuta uomo e, nonostante i più di due anni di cure mediche per la transizione, sembra aver mantenuto alcuni dei vantaggi fisici che, biologicamente, un uomo ha su una donna. I suoi tempi sono peggiori di quelli che aveva ottenuto in precedenza, ma sono abbastanza buoni da renderla comunque una delle più forti nella categoria femminile, e questo è, in buona sostanza, il fulcro della polemica.
Erika Brown, staffettista USA e podio a Tokyo 2020, ha fatto sapere tramite il suo Instagram che “le donne biologiche sono penalizzate da questa decisione” e ne ha fatto anche un motivo di lotta sociale, dicendo che “è ora per le donne di unirsi per lottare per i diritti acquisiti”.
Dave Salo, decano dei coach USA, ha parlato al Washington Times definendo la situazione “un vero affronto allo sport femminile” ed insistendo sul fatto che “per quanto duramente lavorino le donne, non potranno mai fisicamente essere al pari degli uomini.”
Cynthia Milen, ufficiale di gara da 30 anni, si è dimessa per polemica proprio in seguito alle prestazioni di Thomas: “Tutto ciò che c’è di giusto nello sport sta per essere distrutto”.
Sono punti di vista condivisi dalla maggioranza di coloro che scrivono e commentano il caso sul web, ma non mancano (anche se sono la netta minoranza) le posizioni a favore di Lia Thomas e della possibilità di far gareggiare gli atleti trans nella categoria di sesso verso la quale hanno effettuato la transizione.
Swimming World ha pubblicato l’opinione di Lucas Draper, nuotatore che ha effettuato la transizione opposta a Lia diventando uomo e gareggiando quindi in quella che sembrerebbe la categoria più penalizzante per lui. Dalle sue parole traspare un concetto che forse andrebbe preso in considerazione: nessuna persona intraprende il percorso di transizione con l’obiettivo di vincere delle gare sportive.
In una normativa che dovrebbe entrare in vigore dopo le Olimpiadi Invernali di Pechino 2022, il CIO ha deciso di attuare delle linee guida meno severe di quelle in vigore in precedenza, datate 2015. Tra le novità più interessanti, c’è l’eliminazione dei test del livello di testosterone negli atleti per avere il nulla osta a gareggiare tra maschi o femmine. Nelle linee guida precedenti, questo esame non era necessario, ovviamente, per gli atleti transizionali donna-uomo, ma era restringente (e quindi da alcuni considerato poco inclusivo) per gli atleti uomo-donna.
L’esame, molto invasivo, sarà quindi richiesto a discrezione delle varie federazioni, che dovranno decidere se questo tipo di dato sarà o meno determinante per garantire l’equità della competizione. È chiaro che, a seconda del tipo di competizione, ci sono caratteristiche fisiche come la forza, la potenza o anche solamente l’altezza, che favoriscono gli atleti nati uomo e che porterebbero quindi ad una disparità interna insanabile.
Il CIO, per parola del suo portavoce Christian Klaue, ha fatto sapere di avere in programma una serie di meeting congiunti tra i rappresentanti di atleti e federazioni per continuare a cercare la soluzione alla questione. Soluzione che sembra ancora molto lontana.