Oltre alle assenze per i noti problemi geopolitici ci sono state diverse defezioni importanti per vari motivi, i più noti si chiamano Ariarne Titmus, Adam Peaty. A queste si aggiungono le defezioni parziali di Caeleb Dressel e Kyle Chalmers. Ci perdoneranno i diretti interessati, ma le loro assenze sono state ben rimpiazzate da altri personaggi che hanno dimostrato di potersi candidare ad entrare nella storia del nuoto, anzi sono forse state in parte “utili” per favorire il loro mettersi in mostra.
Non si può non iniziare con l’astro nascente francese Leon Marchand (classe 2002), capace di riportare in un attimo il livello dei 400 misti ai tempi di Michael Phelps.
Questa disciplina, come tutti i 400 è stata una delle più penalizzate dal format olimpico di Tokyo (qualificazione la sera e finale subito la mattina dopo), ma mancava di un leader anche dopo il ritiro di László Cseh. Il giovane transalpino ha caratteristiche fisiche diverse dall’americano, più che altro essendo ancora in pieno sviluppo fisico, non dimentichiamoci com’era Michael Phelps nel 2004 (Olimpiadi di Atene, 19 anni) e nel 2008 (Olimpiadi di Pechino con 8 ori). Ma l’anello di congiunzione tra i due si chiama Bob Bowman, uno dei pochi allenatori in grado di inquadrare un atleta a 360 gradi, lavorando su ogni aspetto; fisico, tecnico e mentale; così come capace di convincere un atleta a eccellere in più dispipline.
Gara che ha visto uno svantaggio di due secondi a metà gara, ma un altrettanto recupero nella sola frazione a rana, la più forte mai nuotata. Stile in cui ha fatto la differenza anche nella vittoria nei 200 misti, anche se in modo non così netto come nella doppia distanza. Infatti, nella prova più breve si è dovuto “accontentare” di un tempo a oltre un secondo dal record dell’altro americano, Ryan Lochte. Non solo rana per questo ragazzo, ma un delfino da 55 secondi all’avvio dei 400 misti e soprattutto un argento nei 200 farfalla in 1’53”37, nella disciplina ormai ipotecata dal padrone di casa Kristof Milak.
Che dire ancora del magiaro; un delfino molto ritmato con i piedi sempre ben appoggiati, dall’inizio alla fine. Si può notare come non escano mai dall’acqua, e questo si traduce in un assetto sempre ottimale senza fare attriti ulteriori evitando di affaticarsi inutilmente. Un delfino tendente allo stile libero, lo faceva notare ormai alcuni anni fa Alberto Castagnetti analizzando le nuotate dello stesso Phelps e dell’altro atleta a stelle e strisce, l’allora primatista dei cento Ian Crocker.
Anche lo stile libero ha eletto di diritto il nuovo riferimento mondiale per quanto riguarda i 100 e 200, sempre est Europa, ma ci spostiamo in Romania: si tratta di David Popovici.
Non solo una semplice assonanza con uno dei capitoli della storia del nuoto mondiale, il russo Alexander Popov, ma caratteristiche simili, sia dal punto di vista fisico, che tecnico. C’è da dire che lo zar per scelta accantonò i 200 preferendo i 50, ma avrebbe avuto tutte le carte per giocarseli alla pari.
Vista la resa sulla doppia distanza si potrebbe notare anche una similitudine con l’olandese Peter van den Hoogenband, più che altro per la grande capacità di trasportare una grande velocità di base in una prova più lunga come i 200, tattica radicalmente opposta al classico 1-4-3-2 che ancora viene da molti indicato come la gara ottimale.
Come dicono diversi allenatori di livello mondiale, la gara la vince chi tocca per primo.
Questo concetto richiama fortemente la motivazione intrinseca, ovvero la voglia di vincere, che un atleta deve avere per eccellere.
La si vede anche nei più giovani, come ha dimostrato la canadese classe 2006 Summer McIntosh, se vogliamo una sorta di Leon Marchand al femminile, almeno per la tipologia di gare vinte e disputate. Altra atleta che ci fa capire come il nuoto mondiale pone sempre più l’accento sul fatto che gli aspetti tecnici sono imprescindibili, e non vanno mai trascurati, altrimenti programmi gara come quelli proposti da questi atleti sarebbero improponibili.
In altre parole, dal punto di vista della programmazione, che sia un periodo generale o no, gli stili vanno nuotati sempre, bene e non poco. Di sicuro gli schemi che propongono grossi periodi di volume aerobico e quasi tutto svolto a stile libero non pagano più e rischiano di diventare superflui e inefficaci. La chiave è proporre continuamente stimoli diversi all’atleta, sia come una stessa serie allenante ripetuta in diversi stili anche in giorni diversi, che come nello stesso stile non aver paura a proporre diverse distanze, sempre supportando la qualità del lavoro con recuperi adeguati.
Il cambio di stimoli continuo è stato un po’ uno dei segreti dell’ascesa del nostro Thomas Ceccon, una delle pagine più importanti fresche di stampa del nuoto italiano.
E non solo, diversi studiosi biomeccanici di fama mondiale correranno a sviscerare quella finale da 51”60. Una bracciata in meno nella seconda vasca, va bene che è dorso e si parte dall’acqua, ma un record anche questo. Come dichiarato già dal ricercatore spagnolo Raul Arellano al quotidiano della sua nazione El Pais: “ha fatto qualcosa contro ogni logica di biomeccanica e fisiologia; di solito i nuotatori sono costretti ad aumentare la frequenza di bracciata nella seconda parte di gara, perché la fatica determina una maggiore immersione del corpo in acqua, l’italiano ha fatto 34 bracciate nei primo 50 metri e solo 33 nel secondo, quando la logica avrebbe voluto che fossero 35 o 36”.
Tutto da studiare e da scoprire, ma una cosa è certa: esistono nuotatori veloci e nuotatori più lenti prima che velocisti e mezzofondisti e uno sport come il nuoto paga prima di tutto un forte tributo alla tecnica (in evoluzione continua), prima che alla fisiologia e ai colori delle fibre muscolari.
Foto: Fabio Cetti | Corsia4