All’interno di una competizione natatoria così come di un allenamento intenso fatto di prove di sforzo massimali, l’andamento delle stesse può essere fortemente influenzato da diversi fattori. Primo fra tutti di sicuro è lo stato di forma o di affaticamento pregresso dell’atleta il giorno stesso, ma preso atto di questo punto di partenza, la collocazione delle prove nel tempo e l’attività svolta tra le stesse può essere fortemente condizionante.

Un’oggetto di studio interessante verte quindi sulle differenti tipologie di recupero e la loro durata negli intervalli di tempo che intercorrono tra le prove di sforzo intenso. A tale scopo ho deciso di condividere uno studio pubblicato alcuni anni fa sulla rivista International Journal of Sports Physiology and Performance: Swimming Performance After Passive and Active Recovery of Various Durations

Durante l’allenamento o la competizione, ai nuotatori viene chiesto di partecipare a più eventi o ripetizioni di massimo sforzo. L’omeostasi dell’organismo può cambiare notevolmente in queste condizioni.

Quando il tempo di recupero è breve, lo sforzo successivo non può essere efficacemente applicato a meno che si verifichi un adeguato ripristino dell’omeostati iniziale. Apparentemente, qualsiasi allenamento che migliora il recupero aiuterà nuotatori a essere performanti nell’evento successivo, dal momento che il ripristino inadeguato dell’omeostasi deteriora le prestazioni. Il recupero attivo (nuoto lento tra gli eventi agonistici o gli allenamenti intensi) che mira a migliorare tale rispristino, è comunemente suggerito dagli allenatori. Questa pratica riduce la concentrazione di lattato nel sangue più velocemente di quella relativa a un recupero passivo e influisce sulle prestazioni successive sia positivamente che negativamente, dipende da come viene modulato!

Il tempo totale di recupero, la durata del recupero attivo rispetto al tempo di sforzo in gara (intensità e durata) sembrano essere importanti parametri per una vera valutazione relativamente all’efficacia del recupero attivo stesso. Ad esempio, 2,5 minuti di recupero passivo e 3,5 minuti di recupero attivo (6 minuti di tempo di recupero totale) non ha avuto alcun effetto sulle prestazioni di sprint rispetto a 6 minuti di recupero passivo, come indicato in un altro studio dello stesso autore Influence of different rest intervals during active or passive recovery on repeated sprint swimming performance

Al contrario, altri studi hanno osservato che applicando un periodo di recupero totale più lungo di 14 minuti, inclusi 10 minuti di recupero attivo, si è verificato un miglioramento delle prestazioni in un test sulla distanza dei 200 yard. Di conseguenza, la durata del recupero attivo in combinazione con l’intervallo di tempo totale può essere importante per l’esito di una successiva prestazione.

Durante una gara di nuoto sui 100 metri (pari circa 1 minuto di durata), sono evidenti un aumento dell’attività enzimatica glicolitica, una diminuzione dei livelli di fosfocreatina (PCr) e un accumulo dei sottoprodotti metabolici (lattato e non solo). Durante un intervallo di tempo pari a 15 minuti tra due prestazioni sui 100 metri, è previsto un completo recupero della PCr, mentre restano ancora presenti gli agenti metabolici che interferiscono con le funzioni neuromuscolari quali acidosi (ioni H+) e alterazione del pH cellulare.

Per questi motivi è stato selezionato un tempo di recupero di 15 minuti nello studio attuale in modo da simulare condizioni agonistiche o di allenamento ed evitare il completo recupero metabolico. Il tempo di recupero esteso consente un ripristino completo dell’equilibrio cellulare acido-base e della fosfocreatina, mascherando così qualsiasi effetto di recupero attivo. Lo scopo del presente studio era confrontare gli effetti di 15 minuti di recupero passivo con 5 o 10 minuti di recupero attivo seguito da 10 e 5 minuti di recupero passivo tra sforzi massimali sui 100 metri. Sono stati oggetto di tale studio undici nuotatori agonisti di vario livello.

Ogni nuotatore ha eseguito due test massimali sui 100 metri a distanza di 15 minuti, applicando tre protocolli sperimentali di recupero: recupero passivo di 15 minuti (PAS); recupero attivo di 5 minuti combinato a un recupero passivo di 10 minuti (5ACT) e 10 minuti di recupero attivo combinato e 5 minuti di recupero passivo (10ACT). Le prove sono state eseguite da 4 a 6 giorni di distanza. Le condizioni sperimentali dello studio sono mostrate nella figura seguente.

Durante il recupero attivo, l’intensità proposta ai nuotatori era relativa a una velocità di nuotata pari al 63 ± 5% della velocità del primo test sui 100 metri. La rimozione del lattato durante il periodo di intervallo tra le due prove è stata più rapida dopo le modalità di recupero indicate in precedenza con 5ACT e 10ACT rispetto alla condizione PAS.

Cinque minuti dopo il secondo test di 100 m, non sono state osservate differenze sulla concentrazione di lattato pur partendo da condizioni di recupero diverse tra loro. La frequenza cardiaca dopo il primo test di 100 m non era diversa tra le tre condizioni sperimentali. Durante il quinto minuto di recupero dopo il primo test e era più alta per 5ACT e 10ACT rispetto alla condizione PAS e è rimasto più alto nel 10ACT rispetto a PAS e 5ACT condizioni dopo 10 minuti di recupero.

Il risultato principale dello studio è relativo al fatto che un recupero attivo di 5 minuti seguito da 10 minuti di recupero passivo (condizione 5ACT) è ritenuto più efficace e le prestazioni migliorano, rispetto a 15 minuti di recupero passivo (PAS) e/o a 10 minuti di recupero attivo seguiti da 5 minuti di recupero passivo (condizione 10ACT). La breve durata del recupero attivo (5 minuti, pari a circa 300 metri nuotati) è stata ugualmente utile con il recupero attivo di 10 minuti per la rimozione del lattato nel sangue. La combinazione di 10 minuti di riposo passivo, dopo 5 minuti di recupero attivo, probabilmente induce una risposta metabolica più favorevole.

Il tempo realizzato del secondo test sui 100 metri è stato più veloce nella condizione 5ACT, rispetto alle altre due modalità. È importante notare che tutti i nuotatori sono stati più veloci nel secondo test rispetto al primo. La parte nuotata prima del secondo test può creare una condizione ottimale per il riscaldamento.

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Ad esempio, un’intensità media riscaldamento, come quello utilizzato nel presente studio, seguito da un massimo sforzo, 5 minuti di recupero attivo (~300 m) e 10 minuti di riposo, possono aiutare a mantenere la temperatura corporea elevata e consentono il ripristino dei fosfageni, ossia i substrati energetici di pronto impiego.

Il significato della durata del recupero attivo o passivo nelle prestazioni di nuoto potrebbe non essere la uguale per tutte le distanze (50/100/200 m) a causa delle differenze di fabbisogno energetico e del contributo dei differenti sistemi energetici su ogni distanza. Il contributo del sistema energetico di ciascuna distanza competitiva può dettare l’importanza della corretta scelta di durata del recupero attivo o passivo. Per un effetto positivo sulle prestazioni di brevi distanze (50–100 m), la durata del recupero passivo può essere sufficientemente lunga per consentire la risintesi della fosfocreatina, importante per l’approvvigionamento energetico relativo alle prestazioni di breve durata. Il periodo del recupero attivo può essere breve ma sufficiente per ripristinare il pH e rimuovere il lattato a livello muscolare per facilitare la glicolisi, che è importante per l’approvvigionamento energetico soprattutto durante le prove dei 100 e 200 metri. Il tasso di ripristino del pH muscolare viene potenziato proprio durante i primi 5 minuti di un recupero di 10 minuti dopo un esercizio intenso e presenta possibilmente effetti minimi dopo questo periodo.

Di conseguenza, con il periodo di recupero attivo più breve (protocollo 5ACT) potrebbe essere stata rimossa una porzione significativa di ioni H+ (causa dell’acidità) abbastanza tempo per la resintesi della PCr durante i 10 minuti di recupero passivo rimanenti. Secondo tale ipotesi, il secondo test di 100 m è stato eseguito in una situazione più favorevole, creata nel muscolo entro i primi 5 minuti di recupero attivo. In questo caso, la durata del recupero (attivo o passivo) è di importanza primaria, mentre un altro fattore significativo, come l’intensità dell’attività recupero, diventa una variabile secondaria.

L’intensità applicata durante il recupero attivo nello studio attuale (60% della velocità dei 100 m), è simile all’intensità applicata nel nuoto al di sotto del valore convenzionale dei 4 mmol/L che definiscono un range di lavoro prettamente aerobico. Oltre a una migliore funzione delle vie metaboliche, migliori prestazioni durante la condizione 5ACT potrebbero anche essere attribuite alla biomeccanica. Infatti, nel presente studio si è osservato un aumento dell’ampiezza di bracciata sempre nel caso dei cinque minuti di recupero attivo, e non nelle altre due modalità. Tale aspetto è sicuramente correlato con la produzione di forza che è il riflette lo stato della funzione muscolare e della disponibilità di energia a livello cellulare.

Una correlazione (maggiore nella condizione 5ACT rispetto alla condizione PAS e 10ACT) tra la concentrazione di lattato nel sangue alla fine del recupero di 15 minuti con il tempo di nuoto dei primi 50 m sul secondo test dei 100 m indica che l’aumento del lattato nel sangue non influisce sulla velocità di nuoto, ma può essere correlato alla ridotta velocità della mano (aspetto approfondito da un altro studio Effects of a high-intensity swim test on kinematic parameters in high-level athletes).

Differenze nelle prestazioni del secondo test possono essere attribuite anche ad un alterato contributo metabolico. Durante un test sui 100 metri, glicolisi anaerobica (dal 20 al 25%), metabolismo aerobico (~ 60%) e PCr (dal 15 al 20%) contribuiscono alla risintesi dell’ATP. Le procedure seguite prima della seconda prova possono rivelarsi importanti per la disponibilità di energia e le prestazioni realizzate durante questo test. Pertanto, qualsiasi cambiamento nella velocità di attivazione delle vie metaboliche può causare cambiamenti nelle prestazioni.

In un altro studio – Effects of Prior Exercise on Metabolic and Gas Exchange Responses to Exercise – è stato osservato un aumento della cinetica dell’ossigeno e del contributo aerobico, che può risparmiare la PCr per un utilizzo successivo dopo un esercizio ad alta intensità. L’attivazione più rapida del metabolismo aerobico può aumentare le prestazioni durante un esercizio intermittente. Quest’ultimo spunto è peraltro interessante per capire come modulare al meglio un qualsiasi allenamento per il miglioramento del VO2max, ma questo argomento merita ulteriori riflessioni.

La doppia durata del recupero attivo e il breve periodo di recupero passivo durante la condizione 10ACT potrebbe aver aumentato il costo energetico totale per il nuoto e il metabolismo del lattato e hanno probabilmente ridotto l’ossigeno disponibile per la cellula muscolare. La disponibilità di ossigeno è infatti un fattore cruciale per la risintesi della PCr. Infatti, durante la modalità di recupero 10ACT, la frequenza cardiaca è aumentata di due terzi del periodo di intervallo di 15 minuti, indicando un aumento del tasso metabolico. Inoltre, i 10 minuti di recupero attivo possono avere anche ridurre la risintesi del glicogeno, principalmente sulle fibre muscolari di tipo I.

Nonostante la diversa durata del recupero attivo, la concentrazione di lattato nel sangue 10 minuti dopo il test dei 100 metri era simile nelle due condizioni 5ACT e 10ACT. Una rimozione più rapida del lattato nel sangue probabilmente si verifica durante i primi minuti di recupero, a causa di un aumento del gradiente tra il muscolo e il sangue. Tuttavia, lo scambio ionico tra muscolo e sangue è una procedura complicata che dipende da diversi fattori (vale a dire, gradiente sangue-muscolo, flusso sanguigno, capacità tampone). Una concentrazione di lattato simile dopo 5 o 10 minuti del recupero attivo non è facile da spiegare basandosi solo sui valori di lattato nel sangue.

In conclusione, l’applicazione del recupero attivo per 5 minuti (il primo terzo dell’intervallo di tempo totale) risulta adeguato a ridurre la concentrazione di lattato nel sangue e influenzare positivamente le successive prestazioni di un test sui 100 metri in nuotatori agonisti. Il miglioramento delle prestazioni è forse attribuito all’effettivo ripristino del pH muscolare e della PCr, entrambi legati ad un ottimale combinazione di durata del recupero attivo e passivo; e sono i principali fattori metabolici più limitanti a livello biomeccanico. Un ulteriore aumento della durata di recupero attivo (ai due terzi del tempo totale dell’intervallo) non offre ulteriori benefici sulla rimozione del lattato e sulle prestazioni.

Ritengo giusto concludere dicendo che quanto presentato in questo articolo non vuole essere una ricetta, ma una riflessione che possa portare a capire meglio cosa accade ogni volta si effettuano delle manipolazioni su delle variabili come quelle appena presentate. Uno spunto del genere come accennato in precedenza può servire anche per la modulazione di una serie di allenamento, dove in base allo stimolo che si vuole ottenere occorre accorciare piuttosto che allungare il recupero, sia attivo che passivo.

L’importante è agire sempre con consapevolezza e (si spera) mai per consuetudine.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4