Il punto di partenza è il lockdown, un periodo che rimarrà tristemente nella memoria di tutti noi, per motivi diversi ma che spesso ci accomunano.

Il punto di arrivo è l’amore per lo sport, “l’unico vero antistress tra i marosi della vita“, uno scoglio sicuro dal quale ripartire sempre.

In mezzo c’è un viaggio tra le pieghe dello sport, anzi del “Mal di sport” (Bolis Editore), un libro che si legge tutto d’un fiato e che fa riflettere su quale sia ai giorni nostri il vero scopo delle attività che accomunano un terzo degli italiani e che ne appassionano anche di più.

Perché lo sport non è solo medaglie e risultati, è anche sconfitte e cadute, salute e prevenzione, passione e amore.

Mal di sport è un libro che spazia dal racconto all’intervista fino all’esperienza personale, che tocca temi di grande attualità – il doping, lo sport femminile – e sfiora emozioni che ogni sportivo, nel suo piccolo, ha provato. Un libro che intrattiene ma fa anche riflettere, che va letto per aprire gli occhi su un tema che ci sta a cuore, la cultura sportiva.

Il lockdown, dicevamo, da il via alla riflessione di Betta Carbone, giornalista e sportiva autrice dell’opera, che ci ha raccontato il suo ultimo lavoro letterario in una bella intervista.

Tra le varie cose che abbiamo scoperto, nostro malgrado, in quei mesi, c’è anche il fatto che lo sport può essere tranquillamente chiuso prima di tutto il resto, più a lungo di tutto il resto.

Purtroppo è vero, e noi nuotatori ne sappiamo qualcosa.

​C’è qualcosa che non funziona nella visione politica dello sport in Italia.

Sì, e purtroppo non credo possa bastare semplicemente un Ministro a cambiare questa situazione. Io vorrei una politica che affianchi alla giusta celebrazione dei successi agonistici un’altrettanto sacrosanta valorizzazione degli aspetti sociali e che trovi soluzioni ai veri problemi strutturali dello sport italiano, a partire dall’insegnamento scolastico. Troppo spesso siamo stati capaci di complicare le cose anziché migliorarle, a partire dalla riforma delle società sportive. Lo sport in Italia, tranne rari casi, è a malapena un secondo lavoro.

C’è una certa tossicità nel racconto dello sport in generale, a partire dai media generalisti fino a quelli di settore.

Si, perché per una Martina Trevisan (tennista della quale si parla nel libro, che ha ritrovato la strada dopo problemi di anoressia NdR) che ce la fa, ce ne sono molte altre che non ci sono riuscite, e sarebbe giusto mettere l’accento anche su di loro. Ad esempio, quante sportive abbiamo sacrificato sulla strada per trovare una ginnasta di alto livello? L’obiettivo non dovrebbe essere solo vincere le medaglie, ma creare una cultura che porti sempre più persone a fare sport di qualsiasi livello, per vivere meglio e non solo per vincere di più.”

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​Lo sport come unica droga di vita.

Esatto, e di esempi ce ne sono quanti ne vogliamo. Nella mia squadra master ci sono quelli come me, in corsia 1, e gli ex agonisti che vanno alla 4, ma il nostro allenatore ci valorizza allo stesso modo. Ognuno di noi ha il suo obiettivo, da chi si allena ogni giorno a chi fa a malapena due volte la settimana, e le gare sono un momento di aggregazione oltre che di soddisfazione personale. Io, ad esempio, se programmo una traversata ci attacco una vacanza con la famiglia, e il risultato è solo un mezzo e non il fine ultimo.

Un capitolo tra i più interessanti del libro inizia con la frase “La salute di una nazione dipende da quanto quella nazione si muove”.

In Italia abbiamo grandi numeri ed una grande attenzione alla parte medica, con regole tra le più rigide in Europa per rilasciare il certificato agonistico. Questo è un bene, la prevenzione salva le vite. Dall’altro lato, però, c’è un preoccupante aumento degli infortuni da stress: significa che ci sono sempre più persone che non riconoscono i propri limiti e sempre più società ed addetti ai lavori che non sono in grado di indicarli. Anche qui, va creata una cultura di sport che non sia estrema ma bilanciata: a volte superare il proprio limite significa anche solo alzarsi dal divano e andare in piscina, non serve fare un Ironman.

Parte tutto da noi, in definitiva.

Credo nelle rivoluzioni dal basso, e questo libro vuole essere anche un piccolo punto di partenza. Testimonianze come quella di Alex Schwazer, che in un certo momento è stato IL male dello sport, ti fanno capire quanto sia importante sapersi rialzare dopo una caduta.

Non è solo retorica, lo sport insegna di più nelle sconfitte che nelle vittorie. Se lo capiamo, sarà un’ancora per la nostra vita. Se lo trasmettiamo, potremo anche cambiare la cultura intorno allo sport.

Betta Carbone presenterà Mal di Sport il 30 novembre alle 19.00 presso Sport Photography Museum a Milano.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4