“Non mi è mai piaciuto stare al centro dell’attenzione ma devo dire che è bello”, queste le parole con cui Fabio Scozzoli, dopo aver nuotato la finale del Settecolli 2023, ha ufficializzato l’addio al nuoto agonistico dopo 14 anni di competizioni internazionali e di grandi successi – 29 medaglie tra Mondiali ed Europei, più di 30 titoli assoluti e 21 record – 18 italiani e 3 europei.

Molto spesso si è parlato di quanto la sua carriera sia stata un misto tra grandi risultati e momenti difficili, con picchi altissimi e grandi cadute, ma quasi sempre sottolinenando maggiormente i lati meno positivi, quelli più nostalgici. 

In un certo senso, è proprio lui che a volte ci ha suggerito questa via, a partire dal tatuaggio che ha sul pettorale, il logo delle Olimpiadi di Londra 2012 con l’aggiunta “dell’ora della sconfitta”. “Me lo sono tatuato per non dimenticare mai la sconfitta” ha detto dopo la delusione del settimo posto Olimpico, “quella medaglia me la sono mangiata da solo.”

Ciononostante, guardandola ora che è terminata, la carriera di Scozzoli è tutt’altro che deludente. Sembra, al contrario, che nel tempo i rimpianti siano stati sostituiti da nuove emozioni, che le cadute siano state sempre seguite da grandi ritorni, che i dolori si siano trasformati in emozionanti gioie. Sembra che quei tanto discussi lati negativi siano stati propedeutici per il cammino, diventando alla fine cose positive.

In tutto ciò, Fabio Scozzoli è stato sempre se stesso, anche in mezzo ai dolori, anche nelle delusioni, regalandoci così la storia di uno dei nuotatori più rappresentativi e segnanti del nuoto italiano.

I primi indizi

Poco prima che a Roma si svolgessero i Mondiali del 2009, quelli di Federica Pellegrini e Alessia Filippi per intenderci, Fabio Scozzoli era impegnato ai Giochi del Mediterraneo di Pescara e alle Universiadi di Belgrado. I due eventi, pur importanti, erano una sorta di ripiego di lusso per chi, come lui, non era stato convocato per la manifestazione principale dell’anno, che oltretutto si svolgeva in Italia.

Nel caso specifico della rana, a Roma c’erano Alessandro Terrin e Filippo Magnini nei 50, Luca Pizzini e Mattia Pesce nei 100, scelte che (col senno di poi) non si sono rivelate vincenti, se pensiamo che tra tutti solo Terrin si è spinto fino alla semifinale (nono nei 50), mentre per gli altri il percorso si è concluso subito, dopo le batterie. Scozzoli, da parte sua, alle Universiadi di Belgrado ha prima migliorato il record italiano dei 100 rana, abbassando in batteria un limite che resisteva dall’oro di Fioravanti a Sydney 2000, e poi in finale è addirittura sceso sotto il minuto, 59.85, tempo che se ripetuto a Roma lo avrebbe portato a ridosso della finale, con discrete chance di giocarsi anche l’accesso ai primi otto. Tutto ciò senza contare l’apporto che avrebbe dato alla staffetta mista, abbassando di almeno un secondo la propria frazione e dando ai nostri uno slancio nettamente migliore per chiudere la gara.

È vero che non ne avremo mai la riprova, ma i dati ci dicono che Scozzoli, ai tempi ventunenne ed in rampa di lancio, era chiaramente il ranista da convocare ed avrebbe avuto tutti i buoni motivi per recriminare sulle scelte federali. Non lo ha fatto e questo, anche a distanza di quattordici anni, ci dice molto di lui e del suo modo di approcciare lo sport e la vita.

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La delusione Olimpica

Un secondo indizio lo abbiamo avuto proprio a Londra 2012, gara alla quale Scozzoli arrivava da predestinato: nel biennio precedente aveva prima sfatato il tabù italiano dell’oro Mondiale in vasca corta, vincendo a Istanbul i 100 rana, e poi sfiorato il bis in lunga a Shanghai, da dove è tornato con due argenti di grande prestigio, sia nei 50 che nei 100. Il suo nome stava emergendo in maniera prepotente, insieme a quello di Alexander Dale Oen, come rappresentante dei nuovi ranisti, quelli post era costumoni. La differenza tra lui e molti della generazione precedente era netta: nonostante la muscolatura importante e la grande potenza, Scozzoli non subiva l’assenza del poliuretano come invece molti dei suoi colleghi, ma riusciva a sopperire con un’innata dote di galleggiamento ed una tecnica moderna, fatta di un perfetto connubio tra forza nella bracciata e scivolamento dopo la gambata. Nel suo prime, Scozzoli era una forza della natura, e Londra 2012 sembrava il palcoscenico perfetto per la consacrazione.

Alle Olimpiadi, in effetti, tutto è andato liscio fino alla semifinale: dopo il passaggio del primo turno c’è stata la gran prestazione nella prima sefinale, dove con 59.44 Scozzoli si è garantito la corsia 5 per la sua prima e storica finale Olimpica. In finale, però, le cose non sono andate come si sperava, e la medaglia della spedizione italiana che sembrava più scontata è sfumata. “Ho sbagliato completamente gara” ha detto Scozzoli senza cercare scuse dopo il settimo posto, “in primis la partenza, che di solito è il mio forte, e questo è il grande rammarico. Ma c’è un lato positivo: ora ho ancora più voglia di ricominciare.”

Ancora una volta, il lato positivo prevale su quello negativo, sia nelle sue dichiarazioni che negli atteggiamenti, sempre consapevoli e pacati. In una spedizione senza medaglie e piena di rammarichi, Scozzoli rimane uno dei pochi finalisti italiani, uno dei pochi che sembrano poter dire ancora qualcosa nell’immediato futuro.

Rinascita

Le medaglie delle competizioni internazionali sono solitamente consegnate agli atleti insieme ad una custodia, che varia da evento ad evento, ed è spesso un oggetto classico, un piccolo scrigno con il logo della manifestazione fatto appositamente per contenere la medaglia. A Windsor 2016, Mondiali di vasca corta in Canada, gli atleti ricevono la medaglia insieme ad un gadget molto particolare, inusuale: si tratta di una piccola sedia di legno, rossa, fatta appositamente per sorreggere la medaglia, come se l’oggetto si dovesse in qualche modo sdraiare, riposare. Per qualche periodo, anche Fabio Scozzoli ha letteralmente avuto bisogno di sorreggersi, e la medaglia di bronzo che riceve a Windsor è la perfetta rappresentazione del suo presente, di quello che ha passato e di quello che è tornato ad essere.

A ripensarci sembra incredibile, ma il digiuno dalle medaglie internazionali di Fabio Scozzoli è durato per tutto il quadriennio Olimpico, dal 2012 al 2016. In mezzo ci sono stati i deludenti Mondiali del 2013 – un quinto posto simile a quanto ottenuto a Londra – ma soprattutto un terrificante infortunio, la rottura del crociato anteriore del ginocchio sinistro, un vero dramma per un ranista. Più che la delusione di Londra, è questo il vero spartiacque, un momento che si porta via tutta la parte centrale della sua carriera, e che lo esclude dalle Olimpiadi di Rio 2016, l’occasione di riscatto che avrebbe voluto e meritato.

E forse di riscatto si sarebbe trattato, se analizziamo quanto successo dopo Rio: nell’inverno di quello stesso anno, Scozzoli si presenta ai Mondiali in vasca corta tirato a lucido, tanto da far sembrare quel digiuno la semplice parentesi di una carriera che ha ancora molto da dire. A Windsor è bronzo nei 100 rana, a nemmeno tre decimi dall’oro, ma quel che conta di più è che in acqua si è rivisto il vero Scozzoli. Veloce in partenza, rapido nelle virate, potente e fluido in nuotata: l’infortunio è alle spalle, fisico e morale sembrano quelli di un tempo.

“Dedicata a chi lavora ogni giorno con me”: questa la didascalia della foto della medaglia sulla sdraio rossa, il primo pensiero di Scozzoli che va a chi ha creduto nel suo ritorno, ha chi gli ha fatto da sedia in quegli anni difficili, sorreggendolo nella strada verso il rientro. Un rientro che significa moltissimo sia in termini di risultati che di segnale verso l’intero movimento. Nelle stagioni successive, Scozzoli salirà ancora ripetutamente sui podi internazionali, portandosi a casa anche la soddisfazione di battere il re della rana veloce, Adam Peaty, e di mettere a segno un record europeo (nei 50 in vasca corta, oro a Copenaghen 2017 con 25.62).

Legacy

In Italia la tradizione dei ranisti è ormai consolidata da più di un ventennio. Tutto è iniziato con Domenico Fioravanti, talento unico e generazionale, che ha dato il via ad una scuola poi proseguita con grandi duecentisti come Rummolo, Bossini e Facci, e specialisti della velocità come Terrin, Nicolò Martinenghi e appunto Fabio Scozzoli. Quello che è riuscito a fare Scozzoli al di là dei puri risultati, che sono comunque di grande prestigio, ha un’importanza enorme. Il suo essere in grado di risalire da situazioni negative è un esempio per chiunque ci si ritrovi, suo malgrado, ma anche per chi invece lo vede solo da fuori, come ispirazione quotidiana.

Negli anni, si è trasformato in leader della Nazionale, diventandone capitano molto prima di esserlo ufficialmente, guidando il movimento anche ideologicamente, come quando ha deciso di sostenere con forza l’iniziativa della ISL e di rivendicare una certa autonomia decisionale della categoria atleti. È stato precursore e studioso della preparazione a secco, sperimentata prima su se stesso e poi sui suoi compagni di squadra, diventati ormai suoi allievi. A Imola, insieme a Cesare Casellla, ha creato un gruppo di lavoro professionale ed unito, che nel tempo è diventato la Mecca dei ranisti e culla di talenti come Poggio e Cerasuolo, suoi ideali successori.

Non vederlo più in vasca sarà strano, ma questo è un discorso che vale per molti campioni, e fa parte di una decisione che va rispettata nell’esatto momento in cui viene presa. Ciò che mancherà di più sarà la sua presenza umana, di personalità. Scozzoli ha portato la sua esperienza e la sua serenità davanti ai microfoni di TV e giornali anche nei momenti più duri, con una professionalità ed una disponibilità impagabili, difficili da trovare a qualsiasi livello.

È stato se stesso, sempre e comunque, e ha lasciato un nuoto decisamente migliore di quello che ha trovato.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4