di Alessandro Foglio
Leisel Jones a soli 15 anni conquistava due medaglie d’argento alle Olimpiadi di casa di Sidney 2000. Dodici anni dopo, a carriera conclusa, sarebbe l’atleta australiana più vincente della storia alle spalle solo di Ian Thorpe. Nel suo palmares brillano anche tre medaglie d’oro ai Giochi, con la più preziosa e desiderata, quella nei 100 rana di Pechino. La Jones ha appeso cuffia e occhialini al chiodo nel 2012, dopo le Olimpiadi di Londra, chiuse con l’ennesima medaglia nella 4×100 mista (argento). Ma se la vita di questa ragazza può sembrare tutta rosa e fiori, a distanza di qualche anno è lei stessa a raccontarci tutta la verità, nel suo libro intitolato Body Lenghts.
Come anticipato dal magazine WAtoday,tutto parte dal momento più alto della sua carriera, il primo e unico oro conquistato in gara individuale dalla Jones, i 100 rana di Pechino. Ci era già andata vicina sia a Sidney, con l’argento alle spalle di Megan Quann, che ad Atene, seconda ma nei 200 dietro ad Amanda Beard. Ma questa volta l’oro non le scappa, ed è finalmente sul tetto del mondo. Nei giorni seguenti conquista anche l’argento nei 200 dietro Rebecca Soni e l’oro, il suo terzo complessivo, con la 4×100 mista. Sportivamente ha raggiunto il punto massimo, quello più alto per un atleta. Ma da qui inizia la caduta.
“Resto nel letto la notte chiedendomi cosa c’è di sbagliato in me. L’hai fatto – mi dico – Hai vinto l’oro, raggiunto il tuo sogno. Questa è la parte in cui si è in estasi. Ci si dovrebbe sentire sulla luna, ma non mi sento affatto come mi aspettavo” racconta Leisel. “Perchè anche se vinci una medaglia d’oro, devi alzarti al mattino, devi fare colazione e lavarti i denti. E’ stato stupido pensare che sarebbe cambiato tutto. Eppure in qualche modo, ora mi rendo conto, ho pensato che le cose sarebbero state diverse. Che la vita potesse essere migliore, più perfetta. Pensavo i miei amici mi volessero di più, il mio fidanzato mi amasse di più. E la cosa più stupida di tutti? Pensavo che mi sarei io stessa piaciuta di più” prosegue la Jones, aggiungendo che mentre i suoi compagni di Nazionale andavano in vacanza insieme, lei tornava a Melbourne per rompere con il fidanzato.
Passano gli anni e nel 2011 la Nazionale australiana è in collegiale in Sierra Nevada, in Spagna. Tra la neve e il freddo di quelle montagne, Leisel Jones fatica ad ambientarsi e il suo umore peggiora di giorno in giorno. E’cupa, chiusa, triste, non la ragazza solare di sempre e vorrebbe solamente tornare a casa. Sta male, ma non riesce a dirlo ne a sua madre ne alla sua psicologa dello sport. Strapparle un sorriso è quasi impossibile, e si sente meglio solo quando è in camera sua da sola. E’ il momento più difficile della sua vita. “E’ un martedì vuoto e grigio in Sierra Nevada, quando la neve inizia a scendere e io mi siedo sul pavimento del bagno con dei sonniferi a pianificare come farò a rubare un coltello dalla cucina dell’hotel per cercare di uccidermi. Vorrei iniziare con le gambe, con le grandi vene delle mie cosce. Poi mi taglierei le braccia e i polsi pallidi“
Non farà nulla di tutto questo e adesso, a quattro anni di distanza, racconta la sua storia per poter aiutare gli altri, nel tentativo di dare una speranza agli atleti e alle persone in generale, affermando che il rilascio del libro è la cosa più gratificante che abbia mai fatto. Il suo messaggio, come quello lanciato qualche mese prima anche da Allison Schimtt, protagonista di una situazione molto simile, è quello che nella vita non tutto fila liscio ma se ne può sempre uscire al meglio. Il lieto fine arriva a Londra, dove vince l’ennesima medaglia prendendo parte alla 4×100 mista, ma soprattutto alla sua quarta Olimpiade. A pochi mesi di distanza dice stop con il nuoto, ma andrà avanti con la sua vita!!