Con colpevole ritardo, quando praticamente chiunque nel mondo del nuoto l’aveva già visto tra cinema e Amazon Prime, ieri sera mi sono accomodato sul divano ed ho schiacciato finalmente play, facendo partire Underwater, il docu-film sulla carriera di Federica Pellegrini.

Cosa Mi Aspettavo

L’attesa nei confronti del docu-film sulla vita sportiva della campionessa di Spinea era elevatissima, ma se devo essere sincero non ero molto sicuro su cosa aspettarmi. In un mondo che è ormai saturo di documentari e serie TV, nel quale i produttori sono in eterna ricerca di contenuti da proporre, non sempre troviamo una grande qualità in ciò che arriva sui nostri schermi. Anche se il livello delle produzioni moderne è elevatissimo, non tutti i documentari sportivi sono “The last dance” di Michael Jordan, per intenderci, e non tutti hanno un vero contenuto oltre la patina argentata della confezione che gli viene allestita intorno.

Quindi, nonostante la storia di Federica Pellegrini sia indubbiamente interessante, direi la più interessante del panorama natatorio nostrano, non c’erano certezze che fosse raccontata in maniera altrettanto buona. Oltretutto in questo caso la difficoltà è anche doppia: trattandosi di una storia che ci tocca personalmente, che ci ha accompagnato per così tanto tempo, ci sono in ballo un po’ di sentimenti anche da parte nostra, oltre che ovviamente da parte dei protagonisti, e il rischio delusione era dietro l’angolo.

Per dirla tutta, non avrei saputo resistere se mi fossi trovato di fronte ad un prodotto scadente, cosa che fortunatamente non è successa. Il documentario è davvero ben fatto: la fotografia, la regia, la narrazione sono di primissimo livello, e anche il montaggio di immagini e reperti d’annata è ben scandito, insieme alle interviste ed ai contributi dei protagonisti che si raccontano di volta in volta. Ma la forza di Underwater è soprattutto nella particolare e anche inaspettata chiave di lettura che ci dà sulla alla carriera di Federica Pellegrini.

Underwater è soprattutto un racconto sull’importanza che hanno avuto, nella vita di Federica Pellegrini, le persone che le sono ruotate intorno nei vari periodi della sua vita. Nonostante siamo abituati a vederla molto sicura di sé, specialmente nella dimensione agonistica, dal documentario emerge il ritratto di una ragazza fragile, insicura e bisognosa di costanti punti di riferimento.

È normale quindi che i suoi risultati sportivi siano andati a braccetto con ciò che le succedeva intorno, e si tratta di una divisione talmente netta da risultare addirittura determinante. La sua vita sportiva è riassumibile in tre grandi fasi, ed in tutte aveva accanto la sua famiglia, intesa come genitori, fratello e allenatore.

Famiglia

Fino al 2004, Federica Pellegrini è nella sua confort zone, con la famiglia e la piscina dietro casa, e in questa situazione arriva ad un soffio dall’oro Olimpico insieme al suo primo tecnico, Max Di Mito, grazie soprattutto alla grande spinta data dal suo enorme talento. Subito dopo l’estate di Atene arriva il primo grande scossone: si trasferisce a Milano e vive tutti i problemi di ambientamento che può avere un’adolescente in un mondo troppo grande. La crisi psicologica che ne deriva la riporta verso la famiglia e un allenatore che le fa anche da padre, Alberto Castagnetti.

I risultati arrivano quasi subito, e durano anche oltre la morte dello storico CT, tanto che nella narrazione di Underwater non si citano i tecnici che ci sono stati tra lui e Matteo Giunta (Lucas e Morini, ad esempio) con i quali comunque ha portato a casa medaglie internazionali. Si tratta di una scelta forse dettata dal tempo a disposizione ma anche in qualche modo strana, come se lei stessa volesse non tenerne conto nella sua personale resa dei conti alla fine della sua carriera.

Ma è una scelta tutto sommato condivisibile, che al fine del racconto non toglie molto, perché la cosa importante è che, nel dopo Castagnetti, Pellegrini ha saputo ritrovare la serenità sportiva solo con Giunta, abile a creare quel clima famigliare del quale probabilmente aveva bisogno.

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Matteo Giunta

La vera perla di Underwater è, a mio parere, nel racconto del rapporto tra Matteo Giunta e Federica Pellegrini, un sodalizio sportivo che ha regalato risultati eccezionali, quasi magici.

Il rischio di scadere del gossip – le produzioni sportive (anche di nuoto e anche italiane) che si tuffano a bomba in questo argomento cercando di pescare il più possibile sono molte – era elevatissimo e forse anche stuzzicante. Si tratta di un semplice trucco che serve per coprire i buchi narrativi, in assenza di una vera storia, e appellarsi a quella morbosa voglia di farsi gli affari altrui che è insita in ognuno di noi.

Lo sguardo che Underwater dà sulla vita di coppia dei due è sottile, delicato, e non è di certo il fulcro del racconto. Qualche piacevole riferimento alla vita quotidiana c’è, alcune simpatiche scene dalla quarantena, ma niente di più. Ciò che emerge bene è, invece, il legame tecnico che i due hanno saputo stabilire nella quotidianità del loro lavoro. Un rapporto di una potenza eccezionale, che mette in luce, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le qualità di Giunta come allenatore di primissimo livello.

Ora fate questo giochino: chiudete gli occhi e immaginate di essere nel 2012 e di ricevere la telefonata di Federica Pellegrini che vi comunica che vuole cambiare tecnico. Ha 24 anni e, dopo la debacle delle Olimpiadi di Londra (dove comunque è arrivata quinta), si vuole rilanciare e tornare in vetta al mondo, e per farlo ha scelto proprio voi. Eliminando tutta la schiera di coloro i quali sarebbero svenuti all’istante (me compreso), l’universo degli allenatori che avrebbero accettato si sarebbe diviso in diverse categorie, ognuna delle quali determinata principalmente dall’abilità umana del tecnico.

Dando per assodata la capacità tecnica (che nel caso di Giunta era tutt’altro che scontata, almeno secondo un certo tipo di opinione anche di settore), è chiaro che la vera differenza sarebbe stata sul rapporto personale con l’atleta. Da quello che abbiamo potuto vedere, Matteo Giunta ha avuto l’enorme merito di saper modulare l’intensità del suo intervento, di essersi posto con atteggiamento duro in fase di allenamento – pretendendo sempre molto – e morbido nel momento dell’accettazione dei risultati, anche quelli meno brillanti.Da questo rapporto tecnico, Pellegrini ha tratto la sicurezza della quale ha sempre avuto bisogno per sostenersi anche nei momenti di crisi, ma ha ricevuto quella leggerezza fondamentale soprattutto in una fase avanzata di carriera, che è stata in fin dei conti determinante.

Sott’Acqua

Nello sport non si può mai sapere, ma a giochi fermi è difficile immaginare uno scenario nel quale Federica Pellegrini avrebbe potuto rendere di più nella sua carriera. Il merito di Underwater è quindi quello di rivelarci come sia potuto succedere questo miracolo sportivo e quanto sia lontano dalla verità il mito del campione indistruttibile che va avanti solo grazie a sé stesso. Federica Pellegrini ha modulato la sua carriera intorno alle difficoltà, aggrappandosi alla famiglia e spingendosi ogni volta oltre a quella che poteva sembrare la fine, ma mai da sola.

Underwater, quindi, come dire che sotto al livello dell’acqua c’è tutto ciò che non vediamo. Ci sono le sveglie all’alba e i viaggi infiniti, la bulimia e la solitudine, la stanchezza e la paura dell’ignoto. C’è la voglia di riuscire che non sempre è maggiore della voglia di mollare tutto e vivere una vita normale.C’è la necessità di non essere mai soli nel viaggio, che va a pari passo con la necessità di saper scegliere bene con chi si vuole viaggiare.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4