Dopo due settimane di stop, torna Fatti di nuoto weekly, la rubrica sul mondo del nuoto che si è presa una pausa di riflessione per riapparire – in piena settimana di Trials USA – con una domanda tanto semplice quanto insidiosa.

In questo 2022, il nuoto si è impoverito?

Senza avere la pretesa di dare una risposta assoluta, proviamoci.

Più osservo l’andamento di questo 2022 natatorio e più ho una sensazione strana, ambigua, quasi indecifrabile. In pratica, non riesco a capire se, dopo tutto quello che è successo e che succederà, al termine di quest’anno il nuoto ne uscirà come movimento in crescita oppure come bolla sgonfiata da una stagione confusionaria. Valutiamo i fatti.

Il caos calendari era iniziato con l’annullamento dei Mondiali di Fukuoka, rimandati al 2023, era continuato con l’inserimento di una stagione prolungata di ISL, che avrebbe dovuto svolgersi in un periodo di tre mesi, prima negli States e poi in Europa, ed aveva raggiunto l’apice della confusione con l’ufficializzazione dei Mondiali straordinari a Budapest.

Poi la ISL ha annullato la season 4 per i conclamati problemi finanziari legati, anche, alla guerra in Ucraina, liberando in parte il calendario, che resta comunque frammentato dalla presenza di Mondiale, Europei e Giochi del Commonwealth nella stessa estate.

Un garbuglio complicato da gestire, che ha colto impreparati un pò tutti e dal quale scaturisce spontanea la domanda di oggi.

Mondiali dimezzati (?)

Come primo elemento a favore di un’idea di nuoto impoverito ci sono i Mondiali di Budapest che, per quanto la FINA voglia spingerli come una normale edizione, normale non lo è per niente. Al già classico ammutinamento che caratterizza i Mondiali post Olimpici, qui si aggiunge anche la tardiva comunicazione dell’evento e, come se non bastasse, la guerra in Ucraina. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un Mondiale monco, che non avrà al via molti dei protagonisti di Gwangju 2019, delle Olimpiadi di Tokyo ma anche delle successive rassegne continentali.

Mancheranno tutti i russi ed i bielorussi, per le note restrizioni applicate dalla FINA in seguito alla guerra in Ucraina. Tra gli altri, saranno assenti tre campioni del mondo in carica, Yulia Efimova, Evgeny Rylov e Anton Chupkov, ma anche Kliment Kolesnikov, Anastasia Skurdai, Ilya Shymanovich e molti altri.

Mancherà Simone Manuel, nemmeno iscritta ai trials dopo aver mancato la qualificazione Olimpica per problemi di overtraining; mancherà Pernille Blume, che ha parlato di stress e che si è presa un trimestre sabbatico per perfezionarsi come insegnante di yoga; mancherà Maggie McNeil, infortunatasi poche settimane fa ad un gomito; mancheranno molti australiani Emma McKeon, che ha deciso di proiettare la sua preparazione al 2024, Ariarne Titmus e Kyle Chalmers, tutti protagonisti delle Olimpiadi di Tokyo, che hanno da tempo preferito puntare ai Giochi del Commomwealth ed al Duel In The Pool, riesumata sfida tra USA e Australia che mancava dal 2007.

Agli Assoluti di Riccione, la quasi totalità degli atleti che abbiamo ascoltato ha lasciato intendere che il vero obiettivo, per motivi di cuore ma anche di preparazione, saranno gli Europei di Roma, mentre ai Mondiali ci si accontenterà del meglio che si può fare in quella precisa occasione. Anche i Britannici, che hanno appena disputato i Trials, si sono sbilanciati facendo intendere di puntare ai Giochi del Commonwealth: insomma, il sentore comune è abbastanza chiaro.

Resta da capire, al netto degli assenti, quanto le dichiarazioni date in questo periodo siano di circostanza e quanto, invece, ci sia la voglia di arrivare a Budapest con i fari spenti, per poi tirare fuori la prestazione giusta al momento giusto. Un titolo Mondiale, alla fine, resta sempre un titolo Mondiale, e gli assenti hanno sempre torto, soprattutto una volta che la medaglia pesante è stata messa al collo. Potrebbe anche essere l’occasione giusta per vedere nelle finali che contano atleti giovani ed in grande crescita, che potrebbero sfruttare l’assenza di qualche big per togliersi la soddisfazione di calcare palcoscenici importanti, o al contrario l’ultima occasione per qualche veterano di cavalcare la situazione a proprio vantaggio.

Di sicuro, l’assenza di alcuni nomi pesanti potrebbe togliere appeal ad un Mondiale che non è certo nato sotto i migliori auspici e che rischia, per questo, di passare in secondo piano.

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Preferire “altro” ai Mondiali

Proprio questo sentore comune, che ha spinto molti atleti a parlare dei Mondiali in termini minori, è un segno non confortante per la FINA, per l’establishment del nuoto mondiale e per le mire di sviluppo del nuoto come movimento.

Cosa potrebbe succedere, ad esempio, se Europei e Giochi del Commonwealth dovessero avere prestazioni nel complesso migliori dei Mondiali? Più world record a Roma che a Budapest? Più australiani a Birmingham che alla Duna Arena? Non si tratta di un futuro distopico ma di una seria probabilità.

Fa specie che un nuotatore possa decidere che la medaglia Mondiale valga meno di una vittoria al Duel in the Pool, o di un’esperienza extra nuoto, o semplicemente che la medaglia Mondiale non valga il viaggio e l’impegno. Eppure sta succedendo.

Quella di Budapest 2022 potrebbe diventare una macchia indelebile piuttosto vistosa, un precedente non piacevole per la FINA che, fino a qualche mese fa, aveva paura che la ISL potesse toglierle consensi e che, ora, rischia di toglierseli da sola, come risultato delle proprie mosse.

Ma quindi, cosa vale la pena guardare?

Parere personale: tutto. Il fan di nuoto non si perderà un evento e io avrei seguito con piacere anche la ISL, pur con tutte le difficoltà del caso.

Se dovessi mettere in fila le manifestazioni in ordine di hype, al primo posto ci sono gli Europei di Roma, poi i Mondiali di Budapest e infine Duel in the Pool e Giochi del Commonwealth. Ma è chiaro che qui non si tratta di me o di noi zoccolo duro dei fan di nuoto; il discorso e ben più ampio.

Si tratta innanzitutto di dare valore a ciò che si fa. Che senso ha, in quest’ottica, proporre tre campionati Mondiali per tre anni di fila? Che senso ha sparpagliare le proprie pedine fondamentali qua e là, con il risultato unico di declassare il valore di una manifestazione? Che senso ha un fare un Mondiale che avrà molto probabilmente meno star power di un Europeo?

Gli eventi degli ultimi due anni ci hanno dato indicazioni abbastanza chiare su quello che vogliono gli atleti e, in un certo senso, anche i fan: gare sempre più frequenti tra “pari categoria”, spettacolari anche se non necessariamente sempre da record, che creino abitudine fisica e mentale alla competizione. E poi, due volte l’anno, il picco di forma per le medaglie che contano.

L’estate dell’anno pari non Olimpico è da tempo la vetrina per le manifestazioni continentali e così deve restare, per tutta la storia che queste gare si portano dietro, spesso anche più longeva di quella dei Mondiali stessi.

Il Mondiale di Budapest sarà un’eccezione da studiare meticolosamente, ma probabilmente da non ripetere.

Era evitabile? Sì.

Si poteva fare altro? Sì, una World Cup rivista e meglio organizzata, ad esempio.

Oppure non fare nulla: avrebbe avuto comunque più senso.

See you later!

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Foto: Fabio Cetti | Corsia4