di Elisa Bellardi

Ha solo vent’anni, eppure Federico Morlacchi ha già vinto quasi tutto. Nuotatore paralimpico classe 1993, vincitore, appena diciottenne, di tre medaglie di bronzo a Londra 2012 (100 farfalla, 400 stile libero e 200 misti), campione mondiale nei 100 farfalla a Montreal l’anno dopo (oltre argento nei 400 stile libero e bronzo nei 200 misti), è anche un ragazzo dotato di una simpatia contagiosa e di una voglia di vivere che mette allegria. Nato con ipoplasia congenita al femore sinistro, Federico è senza dubbio uno dei trascinatori, nonché dei più talentuosi, atleti della nazionale guidata dal ct Riccardo Vernole. Non solo. Suoi sono anche il record mondiale nei 200 delfino e quello europeo nei 400 stile libero.

Quando e perché hai iniziato a nuotare?

Ho cominciato piccolissimo, a tre anni, per rinforzare i muscoli e per contrastare gli squilibri alla schiena dati dalla protesi.

Un inizio precoce, quindi. C’è un momento in cui hai pensato “Io posso fare qualcosa di grande”?

Non posso dirmi di ricordare un momento preciso: fin da piccolo sono sempre stato molto competitivo, mi “sceglievo” l’avversario più forte e mi incaponivo che volevo batterlo. Pian piano sono riuscito ad arrivare davanti sempre a più gente e ho iniziato a partecipare alle gare internazionali. È stato un salto, ma è lì che è cominciato il vero divertimento.

Il momento migliore e quello peggiore della tua carriera?

Migliore le Olimpiadi di Londra 2012, non c’è dubbio. Gareggiare davanti a quasi 20mila persone, vincere il primo bronzo e poi altri due sono emozioni che non si dimenticano. La ricordo con un pizzico di malinconia. Il peggiore senza dubbio i Mondiali di Eindhoven del 2010, non c’ero con la testa e ho buttato via un anno.

Londra, poi i Mondiali. Risultati d’eccellenza, sicuramente soddisfazioni enormi. Quanto conta il nuoto nella tua vita quotidiana?

Tantissimo. Il nuoto è uno sport totalizzante, stravolge la vita di tutti noi.

Impossibile immaginare Federico senza acqua quindi. Ma se non avessi fatto il nuotatore a cosa ti saresti dedicato?

A tutt’altro: mi sarei dato al ping pong! (ride)

Continuiamo a ipotizzare: come ti vedi tra dieci anni? E tra venti?

Questa è una domanda a cui non posso rispondere. Non riesco a immaginarmi cosa farò domani, figuriamoci tra dieci o vent’anni!

Torniamo tra le corsie. Ricordi in particolare qualche momento imbarazzante o divertente legato alla tua carriera agonistica?

Ce ne sono talmente tanti che ho l’imbarazzo della scelta. Per esempio ricordo di un mio amico che dopo un allenamento pesante diceva di sentirsi “l’acido lattico nelle dita”.

Parliamo del movimento paralimpico. Negli ultimissimi anni sta crescendo molto e acquisendo sempre più visibilità, in larga parte anche grazie ai risultati tuoi, di Cecilia Camellini e dei vostri compagni di Nazionale. Pensi che in futuro possa sparire la distinzione tra normodotati e disabili, tra Olimpiadi e Paralimpiadi?

Sì, certo. Siamo ancora un movimento molto giovane, stiamo crescendo bene ma ci serve ancora tempo. Sono sicuro che, con la guida del nostro presidente Luca Pancalli, raggiungeremo altissimi livelli.

I tuoi prossimi obiettivi agonistici? Pensi già alle Olimpiadi di Rio 2016?

Per ora mi concentro sul futuro più prossimo, i particolare sugli Europei di Eindhoven dal 4 al 10 agosto.

Che cosa consiglieresti a un ragazzino che non sa se intraprendere il tuo percorso?

Gli direi di buttarsi, di provare e non fermarsi mai, di correre e giocare, nuotare e divertirsi. Per sé stessi, non per gli altri.

Per concludere: se tornassi indietro rifaresti le tue scelte?

Sì, in tutto e per tutto.