La gara più bella in un decennio. La sfida del secolo.

I due minuti in cui si è fatta la storia del nuoto. Così è stata definita la finale olimpica dei duecento metri stile libero svoltasi ad Atene il 16 agosto 2004. Prima, per l’attesa fremente che la circondava. Dopo, perché le promesse sono state rispettate.

Si sfidarono tre nuotatori tra i più forti di tutti i tempi: Michael Phelps, Peter van den Hoogenband, Ian Thorpe.

Come se si fossero sfidati in una stessa competizione Bolt, Lewis e Owens. O Federer, McEnroe e Laver. O Tyson, Ali, Marciano. Tutti al top della forma.

Foto Olimpic channel

L’antipasto era stato gustato all’Olimpiade di Sydney, il 18 settembre 2000.

Ian Thorpe aveva già impresse in sé le stimmate del campione. Aveva vinto il primo titolo mondiale a 15 anni, due anni prima di Sydney 2000. Già a quell’età si diceva di lui che sarebbe potuto diventare il più grande nuotatore di tutti i tempi e la gente lo riconosceva per strada. A diciassette anni era già un testimonial pubblicitario, per gli hamburger, per gli abiti, per i prodotti medici e aveva già fatto il pieno di definizioni roboanti.

Era infatti il fidanzato d’Australia, il bambino bionico, il dio della bracciata, l’uomo coi remi al posto delle braccia e il profilo a sagoma di motoscafo, il nuotatore con due zattere numero 52 al posto dei piedi, colui che era pronto a sfondare la storia a bracciate.

Quella di Sydney era la vasca in cui Ian era cresciuto. In cui si era allenato dall’età di sei anni. In cui aveva stabilito nei tredici mesi precedenti ben nove record del mondo. Thorpe non perdeva una gara da due anni. Una sua sconfitta olimpica avrebbe potuto essere una tragedia nazionale. “Il conto alla rovescia di Thorpe verso la gloria” era stato un titolo del Sydney Morning Herald prima dell’inizio dei Giochi. Il debutto era stato strepitoso: prima Olimpiade per lui, prima gara –  400 metri stile libero – oro e record del mondo. Seconda gara e oro nella staffetta 4×200 stile libero grazie a una sua portentosa ultima frazione.

“Un tuffo nel destino”, “La gara che paralizzerà un continente” erano due titoli di giornale prima della finale del 200 stile libero. La strada per portare il nuotatore australiano a diventare il re dell’Olimpiade di casa sua sembrava spianata.

Al dio degli sport, però, non piacciono troppo i risultati scontati e le strade diritte. Il sale dello sport sono le sorprese. Le uova rotte nel paniere. L’underdog che batte il campionissimo. La medaglia attesa sfumata per un soffio. Il sorriso insperato che si mescola alla lacrima inattesa.

Mark Spitz che nel 1968 al Messico si presenta da primatista mondiale dei 100 e 200 farfalla e esce con un secondo e un ottavo posto. L’australiana Shane Gould che nel 1972 a Monaco, dopo tre medaglie d’ oro individuali viene battuta dall’ americana Rohhtammer negli 800, di cui era stata primatista mondiale. Michael Gross che nel 1984 a Los Angeles, dopo avere vinto i 200 stile libero e i 100 farfalla è sconfitto nei 200 farfalla dallo sconosciuto australiano Sieben.

Foto Eurosport

L’olandese Pieter van den Hoogenband, per gli amici VDH, non era certamente l’ultimo degli arrivati: aveva vinto la medaglia di bronzo al Mondiale del 1998, era stato una specie di atleta dell’anno nel 1999, con quattro vittorie individuali e tre di staffetta (una delle quali revocata per squalifica) agli Europei di Istanbul, dove aveva perfino battuto Popov nei 50 e nei 100 stile libero. Era entrato nell’élite degli stileliberisti veloci, ma comunque era considerato al massimo il favorito per le medaglie d’argento sia nei 100 che nei 200 metri. Anche perché all’Europeo pre olimpico di Helsinki non aveva vinto nulla.

E invece…

Già le semifinali dei 200 stile libero erano state scoppiettanti: van den Hoogenband aveva realizzato il record del mondo in 1:45.35, mentre l’altra semifinale era stata vinta da Thorpe in 1:45.37. Due centesimi che facevano prefigurare una finale stellare, davanti a diciassettemila spettatori in visibilio.

Non si può dire che non lo sia stata.

van den Hoogenband balzò subito in testa costringendo Thorpe, più stanco per le gare già disputate in precedenza, a seguirlo per tutte le vasche. L’australiano ce le mise tutta per raggiungerlo, ma non ce la fece. L’olandese confermò al centesimo il tempo della semifinale. La folla australiana era stupita e delusa, ma non poté fare altro che applaudire il vincitore (VIDEO 200 stile Sydney 2000)

“È stato fantastico, un grande e incredibile sogno” disse nan den Hoogenabd, “vincere contro di lui nella sua nazione, nella sua città natale, nella sua piscina. A venticinque metri dall’arrivo l’ho visto distante. Ho pensato: “Hey! Sto per diventare campione olimpico!”

Thorpe non poté che ammettere: “Ha vinto il migliore”.

Così scrisse Claudio Gregori per la Gazzetta:

Tutto il Paese era lì, con gli occhi protesi, per assistere al nuovo exploit del suo prodigio Ian Thorpe, cui quel pirata gentile, alla vigilia, aveva strappato il record del mondo di misura: due centesimi di secondo appena. Sembrava un furto con destrezza. E il tifo aspettava riparazione. Invece Pieter ha trafitto il fortissimo, ma tenero Thorpe con un progetto tagliente come una spada. Gli ha piazzato una stoccata astuta, netta, vibrata con la precisione del laser. Una vittoria dell’intelligenza. Il piano era semplice. Pieter è più veloce e Thorpe aveva già disputato cinque gare in due giorni, con due record del mondo, due premiazioni, una pressione notevole per un ragazzo di 17 anni. Bisognava partire veloci per metterlo in difficoltà. La gara è stata bellissima, incerta, di un’ intensità straordinaria. Thorpe vestiva il costume integrale, Pieter solo calzoncini che arrivavano alla caviglia. Pieter nuotava leggero, Thorpe potente. Entrambi usavano la battuta di piedi a sei colpi. Mentre i piedi di Pieter increspavano appena l’ acqua, quelli di Thorpe lasciavano una scia di schiuma bianca. L’ urlo del pubblico era forte, sonoro. Sembrava il preludio di una marcia trionfale. Alla terza virata Pieter e Ian arrivano allo stesso tempo: 1′ 18″21. L’ incertezza era spasmodica. Davanti Pieter allungava leggero, con superba irriverenza. Thorpe affondava un poco. Cercava di forzare. Una torsione michelangiolesca. L’ urlo del pubblico s’ incrinava. Diventava gemito. Volava avanti imprendibile van den Hoogenband.

A Sydney Pieter si guadagnò il nome di ammazza leggende: fece suoi i 100 stile libero dove sconfisse di nuovo Sua Maestà Popov, impedendogli di conquistare tre ori in tre Olimpiadi consecutive. A coronamento della sua Olimpiade, VDH aveva realizzato, in semifinale, l’impresa di essere il primo uomo nella storia dei 100 stile libero a superare il muro dei 48 secondi (VIDEO 100 stile Sydney 2000), “impresa che equivale storicamente a quella del primo atleta terrestre sotto i 10″ sulla stessa distanza”.

A fine Olimpiade van den Hoogenband avrebbe vinto anche due medaglie di bronzo, nei 50 stile libero e con la staffetta 4×200 stile libero. Thorpe tornò a casa con cinque medaglie, tre d’oro e due d’argento.

Mentre Thorpe e van den Hoogenband erano sotto le luci della ribalta, il quindicenne Michael Phelps li studiava nell’ombra.

Un mese prima ai trials statunitensi, un furioso arrivo nei 200 farfalla gli permise di diventare il più giovane atleta statunitense qualificatosi alle Olimpiadi in 68 anni. Phelps non era ancora sotto i riflettori dei media, se si esclude il giornalista del Baltimore Sun Paul Mc Mullen, che lo seguiva attentamente e riportava le notizie al giornale “di casa Phelps”. Per i media americani le stelle erano Gary Hall Jr, Lenny Krayzelburg, Jenny Thompson, Dara Torres.

A Sydney Phelps aveva disputato una sola gara e non aveva particolari pressioni. Si qualificò alle semifinali dei 200 farfalla col terzo tempo e poi alla finale col quarto tempo. In finale Phelps arrivò quinto nella gara vinta dall’australiano Norris, ma fin dalle batterie dei trials aveva migliorato ogni volta il suo personal best.

Fu questo a sorprendere il famoso allenatore Mark Schubert, che disse a Bowman a Sydney: ”Non ho mai visto nessuno della sua età come lui. Ha fatto il suo personale al debutto nelle occasioni che mettono più pressione: i trials e le Olimpiadi. È un vero fenomeno”.

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Negli anni che seguirono l’Olimpiade di Sydney Thorpe e van den Hoogenband continuarono a eccellere.

Thorpe vinse il titolo mondiale dei 200 stile libero nel 2001 e nel 2003. Al Mondiale del 2001 Thorpe vinse sei medaglie d’oro e realizzò tre record del mondo: nei 200, nei 400 e negli 800 stile libero; van den Hoogenband restò una presenza costante nel podio.

La novità fu l’avanzata di Phelps. In breve diventò una delle stelle del nuoto mondiale. Uomo immagine come Thorpe. Nel 2001 era già un detentore di record del mondo e campione del mondo e attorno al 2003 era ormai il miglior esponente al mondo dei 200 farfalla, dei 200 misti e dei 400 misti. Cercò anche di togliere la supremazia mondiale al connazionale Ian Crocker nei 100 farfalla. Al Mondiale del 2003 Thorpe fu battuto di più di tre secondi nei 200 misti. Ormai in vetta all’Olimpo del nuoto Phelps era alla pari con Thorpe, se non davanti.

Lo stile libero era ancora territorio di proprietà dell’australiano, ma tutti nel mondo del nuoto erano certi che presto lo scenario sarebbe cambiato. L’attesa del duello tra Phelps e Thorpe con la presenza di VDH come terzo incomodo nelle sue gare era il leit motiv delle sfide mondiali di nuoto. Forti in acqua, sia Thorpe che Phelps dichiaravano di preferire i fatti alle parole. In ogni caso la vera grande sfida avrebbe dovuto svolgersi nello scenario olimpico.

Atene 2004 avrebbe dovuto essere il campo della battaglia più epica.

Phelps avrebbe gareggiato in cinque gare individuali e tre di staffetta, iniziando la cavalcata che lo avrebbe portato qualche anno dopo a superare il record delle sette medaglie d’oro vinte in un’edizione olimpica da Mark Spitz a Monaco nel 1972. Phelps era il favorito nei 100 e 200 farfalla e nei 200 e 400 misti, ma nei 200 stile libero aveva il ruolo dell’underdog.

L’opportunità che gli si presentava davanti era però allettante: “Mi piace la sfida. Posso nuotare in uno dei duecento stile libero più veloci della storia. Perché non provarci?”

Con Thorpe, van den Hoogenband e Phelps i 200 stile libero avevano tutto: il detentore del record del mondo e del titolo mondiale, il campione olimpico uscente e detentore del vecchio record del mondo, la stella nascente. I tre erano di tre continenti diversi: era come se si stesse per disputare una coppa intercontinentale di nuoto.

Thorpe commentò: “Non mi vedo come un animale in difesa del territorio. Non abbiamo territori da difendere. Abbiamo delle sfide da affrontare. Preferisco sfidare me stesso piuttosto che l’uno o l’altro avversario. Credo che anche Michael sia eccitato dalla nuova sfida più che dalla mia presenza. Io sono contento di avere l’opportunità di gareggiare con alcuni dei migliori atleti del mondo nelle mie specialità”.

I media aggiunsero aspettative dichiarando l’evento come la gara del secolo.

Scrisse Emanuela Audisio [giornalista sportiva NdR] dopo la conferenza stampa di Thorpe: “Thorpe aveva un sorriso per tutti, lo sguardo di chi è finalmente in pace con il mondo”

«I Giochi fanno sempre impressione, soprattutto quando vai in mensa e mangi accanto ai campioni che fanno la storia dello sport. Tu sei qualcuno, ma lo sono anche loro. Per questo le Olimpiadi sono diverse. Ti buttano addosso il fiato della storia, tu devi essere bravo a respirarlo e a risputarlo fuori prima della gara. Stringere tante mani al villaggio non è un problema, basta dimenticarsi tutto quando ci si butta in acqua».

Ian ha rischiato di morire l’ 11 settembre sulle Twin Towers, ma si è salvato perché aveva dimenticato la macchina fotografica in albergo ed è tornato indietro a prenderla. Se la morte ti sfiora, cambi. Cerchi leggerezza, non solo primati. Thorpe da ragazzo aveva un clan, guardie del corpo, uno staff a disposizione, e un allenatore, Doug Frost, che non smetteva mai di spingerlo. Adesso da giovane uomo è più libero. E viaggia più leggero. Staff ridotto al minimo, record anche. Da due anni Thorpe è all’asciutto. Vive, vince, ma non migliora. Ha cambiato coach, è passato ad una donna, Tracy Menzies, sua ex insegnante di storia dell’ arte, che gli ha cambiato preparazione e prospettiva. Boxe, pesi, corsa, yoga. E soprattutto vita. Gli ha detto: «Rilassati, guarda, respira. Fuori dell’ acqua c’ è un mondo».

Lui, diligente, ha dato un’ occhiata e gli è piaciuto. Si è anche messo a produrre una linea di mutande, pardon di intimo. Non è uno che si rassegna al tempo e agli avversari. Da sette anni è imbattuto sui 400 stile libero. È solo che ha scelto la sua strada: alzare la testa, non solo sul traguardo. “Non cerco medaglie, ma performance. Mi interessa migliorarmi. Phelps è un nuotatore strepitoso, ma trovo ingiusto ridurre la lotta olimpica a me e a lui. Sì, sono contento che ci siano più controlli antidoping, ma per favore ho già parlato tante volte di questo problema che adesso mi dà nausea”.

Foto N. Laham | WHIO

Phelps invece era un soldato destinato a dover compiere una missione impossibile: vincere otto medaglie d’oro olimpiche e farlo possibilmente subito.

Scrisse la Audisio: “Il marine è sbarcato. Per invadere i Giochi. Per piantare le sue bandiere. Il marine è programmato per stare in acqua, non per uscire in superficie. Quando sta all’asciutto Michael Phelps dice solo una parola «excited». Che significa: non vedo l’ora di entrare in azione.

Lo hanno anche iscritto a un corso di comunicazioni. Rapido, eh. Perché lui tendeva al monosillabo. Excited, appunto. Con il risultato che è sempre più eccitato. «He feels the water», è il complimento che gli fanno. Già: lui sente l’acqua. Come uno squalo, si nutre degli altri. Ha il corpo perfetto per il nuoto: braccia lunghe, mani e piedi grandi, gambe corte, torso lungo. E ha solo 19 anni. Il marine ha una missione: sbarcare su sette gare, chissà forse anche otto, e portarsi a casa l’oro. Come Spitz, meglio di Spitz.

Davanti non ha un programma, ma una lista della spesa: 200 e 400 misti, 100 e 200 farfalla, 200 stile libero, 4×200 stile libero, 4×100 misti e forse anche 4×100 stile libero. Gara più, gara meno, non è il caso di fare economia. 17 prove in otto giorni. Roba da far venire la nausea anche al dio Nettuno. Ma il soldato Phelps non vede l’ ora. Toglietegli le parole, dategli l’acqua. Per lui la sofferenza è sulla terra.

In piscina fatica, 12 miglia al giorno da tre anni. «It’ s my job». Si capisce, è il suo lavoro. A 19 anni ci sono teen-ager che si sfondano con la musica, sempre quella. Phelps sfonda l’acqua. Un altro direbbe che non ne può più, di una vita solo anfibia. Lui ribadisce: «Per me non è uno stress. La piscina è a posto e non ho paura per la nostra sicurezza. Fare risultato ad Atene, dove tutto è iniziato, è molto eccitante. Thorpe? È ok per me. Sono qui per nuotare, non per stampare la mia faccia sui muri. Mission impossibile? E perché? Si può provare a fare tutto.

Nell’ 80 dicevano che la Russia a hockey su ghiaccio fosse imbattibile, eppure gli Usa vinsero. Io però mi accontento anche di un oro. Non c’è tanta gente al mondo che può vantare di aver vinto un oro all’Olimpiade, quindi se mi capiterà non sarò deluso. A Sydney nel duemila, avevo 15 anni, ero il nuotatore americano più giovane. è rimasto il mio solo record, non vinsi nulla. Ci sono rimasto male».

Non lo ha detto, ma sembra che sia rimasto deluso anche dal fatto che Thorpe alla fine ha rifiutato il suo invito ad allenarsi insieme in Australia, dopo avere acconsentito in un primo momento.

Già il primo giorno di gare Phelps offrì un record del mondo nei 400 mistiThorpe replicò la vittoria olimpica sui 400 stile libero, un exploit riuscito fino ad allora solo a Murray Rose.

Dopo i loro successi Thorpe pianse come un bimbo, mentre Phelps sconfisse anche le lacrime.

Tutti e due erano comunque raggianti sul podio: il volto traboccante di gioia pura…

appuntamento alla prossima settimana

(Foto copertina: A. Pretty | nordic.businessinsider.com)