di Elisa Bellardi

I nuotatori come nuove icone di moda. Fuori dall’acqua, certo, ma anche tra le corsie. Se le donne, ormai, possono sfoggiare costumi da allenamento degni di una passerella clorata, anche i maschietti, forzatamente più sobri, dicono la loro in fatto di stile. Così se Luca Dotto troneggia sui cartelloni dell’Armani Underwear e Filippo Magnini si fa vedere alle sfilate milanesi sfoggiando sempre un look impeccabile, in piscina la classica “mutandina” da allenamento diventa spesso sgargiante e fantasiosa. Ma non è sempre stato così. Da imbragature degne di un astronauta in missione sulla luna allo sguazzare nudi come mamma ci ha fatti, di abbigliamenti natatori nei secoli se ne sono succeduti parecchi. Ecco perché un breve riassunto ricorderà a tutti che no, il costumino fashion con addominale in vista non è sempre stata la regola, anzi. Tralasciando le gare, un mondo a sé, e con attenzione agli uomini.

-Fino al 1830: nudi (non è uno scherzo!). Ebbene sì, sembra incredibile vista l’esorbitante quantità di strati che prevedeva l’abbigliamento all’epoca, ma dentro l’acqua si toglieva tutto. Del resto si nuotava al mare o al fiume e, dal momento che i bagni non erano ancora di moda, esisteva la possibilità di non incontrar anima viva nelle proprie scorrazzate.

-1850: mutandoni fino alle caviglie. Andare in spiaggia comincia a diventare un’usanza (almeno, per chi se lo può permettere) ed ecco che, complice la pruderie dell’epoca Vittoriana, la nudità comincia a diventare un problema. Già nel 1850 gli uomini potevano fare il bagno senza niente addosso solo a certe ore e in determinate parti della spiaggia. Per il resto diventa d’obbligo l’uso di scomodissimi indumenti lunghi fin sopra i piedi in cotone, che bagnato diventava trasparente, vanificando tutti gli sforzi di coprire il copribile.

– 1860: mutandoni larghi. I bagni di Pimlico, quartiere di Londra che dà sul Tamigi, stabiliscono che chi vogli entrare in acqua deve munirsi di mutandoni dal «modello molto ampio». Nuotare è un’utopia e non mancano le polemiche. Un certo Kilvert, curato dello Wiltshire, scrive: «Se le signorine non vogliono vedere gli uomini nudi perché non se ne tengono lontane?».

-1896: tuta maglietta e pantaloncino. le prime Olimpiadi di Atene, nuotate al porto di Zea, vedono un cambiamento nei costumi da uomo: il vincitore di due gare su quattro Alfréd Hajós e i gli altri atleti in gara indossano una “tutina” completa di maglietta a mezze maniche e pantaloncino. L’usanza si diffonde anche tra la gente comune e durerà alcuni decenni.

-1918: costumi di lana. Il materiale sostituisce il cotone nei costumi da bagno, rendendoli più aderenti al corpo ed evitando trasparenze non volute.

-1950: boxer e slippini. Finalmente liberi da tessuto in eccesso, gli uomini sfoggiano i primi al mare e i secondi nelle piscine, che nel frattempo si sono notevolmente diffuse in Europa e in Italia. I corsi di nuoto iniziano a essere ben frequentati e, oltre al cambio di costumi post bellico, influisce la necessità di non essere impediti nei movimenti in acqua.

-Anni ’50, ’60, ’70, ’80, ’90: slip monocolore. Lo slippino imperversa negli allenamenti degli agonisti e anche tra i dilettanti che seguono un corso di nuoto. Qualcuno, però, si ostina ad andare in piscina con i boxer, incurante dell’estrema scomodità. I colori sono sempre gli stessi: rosso, bianco, nero e e blu.

-2000: parigamba (oltre a slip e boxer). Ovvero lo slip aderente, diffuso soprattutto al mare, che fa capolino non troppo timidamente anche tra le corsie. Una mancanza di stile, decretano i fashion addicted; pessimo per nuotare, fanno ecco gli agonisti.

-2006 – 2014: slippini fantasia. Dimenticatevi i soliti colori, ora la personalizzazione è moda e prende piede persino tra i più restii. Bandiere dell’Italia o internazionali, colori sgargianti, fantasie impreviste sono il nuovo must. Del resto, la vita del nuotatore è dura, fatta di sacrifici, fatica e rigorosa disciplina; quindi perché non rallegrarla un po’?

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