Tutti gli appartenenti al mondo del nuoto, o anche dello sport in generale, avranno sentito parlare almeno una volta dell’allenamento in quota, anche solo leggendo delle notizie sui vari siti internet specializzati che narrano dei camp di allenamento di alcune settimane.

Tale forma di allenamento, detta anche nel gergo comune altura, ancora oggi è oggetto di numerose discussioni e discordanze da parte degli addetti ai lavori. Per questo motivo ho trovato utile condividere con voi in questa rubrica uno studio che ho trovato interessante proprio perché tenta i fare chiarezza sull’argomento senza andare per partito preso.

QUI è disponibile l’articolo originale ad opera del ricercatore spagnolo Ferran A. Rodriguez, che dà il titolo a questo articolo.

Dopo più di quattro decenni di ricerca sull’argomento e più di 500 pubblicazioni su PubMed e oltre 4000 articoli su Google Academics, gli effetti dell’allenamento effettuato in altura sulle performance successive degli atleti al livello del mare sono ancora oggetto di controversie.

Nel nuoto, nonostante questa tipologia di allenamento sia utilizzata da moltissimi atleti e allenatori di élite, c’è ancora una notevole mancanza di studi ben controllati e non ci sono prove che l’allenamento in quota migliori le prestazioni in misura maggiore dell’allenamento effettuato al livello del mare (Rodríguez, 2010; Truijens & Rodríguez, 2011).

Nell’ultimo decennio in particolare ha preso sempre più piede l’approccio cosiddetto Hi-Lo (dormire in altura – allenarsi a bassa quota). Anche se su tale protocollo, che ha ampiamente soppiantato l’allenamento in altura classico tramandato dalla letteratura scientifica, non sono stati compiuti studi scientifici significativi sui nuotatori.

Vista l’enorme disconnessione tra le evidenze portate dalla scienza e l’utilizzo pratico dell’allenamento in altura, in particolar modo nei nuotatori di alto livello, un gruppo internazionale di studiosi ha condotto un progetto di ricerca collaborativa a livello internazionale – denominato “The Altitude Project” – proprio con l’obiettivo di esaminare le diverse strategie di allenamento in altura attualmente utilizzate e valutarne l’impatto sulla prestazione, sulla tecnica e infine sullo stato di salute dei nuotatori di élite.

Lo studio ha coinvolto 65 nuotatori d’élite provenienti da otto nazioni di ben quattro continenti diversi e un gruppo internazionale di scienziati leader in questo campo (Rodríguez et al., 2015).

Questo studio ben controllato e non randomizzato svolto su quattro gruppi di atleti paralleli ha analizzato l’effetto sulle prestazioni, sui valori relativi al consumo di ossigeno (VO2) e alla massa totale di emoglobina (tHbmass). Ciascuno dei quattro gruppi ha svolto un protocollo di allenamento differente:

  • Risiedere in altura – allenarsi in altura (approccio Hi-Hi) per quattro settimane
  • Risiedere in altura – allenarsi in altura (approccio Hi-Hi3) per tre settimane
  • Risiedere in altura – allenarsi a livello del mare (approccio Hi-HiLo) per quattro settimane
  • Risiedere a livello del mare – allenarsi a livello del mare (approccio Lo-Lo) per quattro settimane.
Su 65 nuotatori d’élite, ben 54 hanno soddisfatto i criteri d’inclusione nello studio e hanno effettuato al livello del mare delle prove tempo di verifica su distanze dai 50 fino ai 400 stile libero. Dopodiché è stato misurato il VO2max mediante un test incrementale di 4×200 stile libero.

Sono poi stati calcolati i parametri cinematici della nuotata in termini di frequenza, ampiezza, velocità e indice di nuotata. Infine, è stato stimato il carico di lavoro utilizzando una variante del metodo TRIMP, basato sulle RPE, ossia i livelli di sforzo percepiti dall’atleta.

Tali misure sono state effettuate prima del collegiale di allenamento, immediatamente dopo, e una settimana successiva al ritorno al livello del mare. 

La massa totale dell’emoglobina (tHb) è stata misurata nel periodo precedente il collegiale e poi una volta alla settimana durante lo stesso.

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Di seguito viene riportato un riepilogo delle prestazioni cronometriche riscontrate, indicate nella dicitura TT50, TT100, TT200, TT400 come tempi sulle rispettive distanze.

  • TT100 o TT200 sono migliorati del ∼3,5% sia al livello del mare che in quota.
  • Hi-HiLo ha dato maggiori miglioramenti con 3 settimane (5,3±1,6%) e 4 settimane (6,3±1,9%) dopo il collegiale rispetto al altri gruppi.
  • Hi-HiLo e Hi-Hi hanno dato maggiori miglioramenti nel TT400 (4,6±1,4% e 3,3±1,4%, rispettivamente).
  • Hi-HiLo è risultato più efficace (5,5±1,7%) rispetto a Lo-Lo (3,2±0,9%) nel TT50 dopo 4 settimane.

La massa dell’emoglobina tHb è aumentata in Hi-Hi (6,2±2,6%) e Hi-Hi3 (3,8±5,6%), mentre nessun cambiamento significativo è stato notato in Hi-HiLo (1,3±4,3%).

Non ci sono stati cambiamenti del VO2max in nessuno dei gruppi esaminati. Questo risultato sembra supportare le conclusioni sostenute già negli anni precedenti dall’australiano Brent Rushall:

  • Le variazioni dell’eritropoietina (EPO) dovute all’altitudine e all’ipossia intermittente non sono associate alla massa totale di emoglobina e quindi non hanno il potenziale per influenzare la performance natatoria (Friedmann, Frese, Menold, Kauper, Jost e Bartsch, 2005). Tale aumento è probabilmente di scarso beneficio per gli atleti condizionati (Spivak, 2001).
  • Le prestazioni dei nuotatori al livello del mare non sono associate alla massa totale dell’emoglobina (Friedmann et al.).

Sempre nello studio corrente è stato osservato che con 2 sessioni settimanali ad alta intensità allenandosi a quote più basse (Hi-HiLo), si è registrato un miglioramento notevolmente maggiore che è stato raggiunto 2 (5,3%) e 4 settimane (6,3%) dopo il raduno.

Il medesimo approccio ha osservato ulteriori miglioramenti dai 50 ai 400 stile libero dopo 2 (+4,2% e 5,2%) e 4 settimane (+4,7% e 5,5% rispettivamente) dal ritorno al livello del mare.

È pertanto possibile concludere che:

  1. Un format ben implementato di allenamento collegiale in altura può aiutare a migliorare le prestazioni anche nei nuotatori d’élite.
  2. L’approccio Hi-Lo migliora le prestazioni complessive dei nuotatori tramite meccanismi molto complessi che concorrono nel risiedere in altitudine.

Ancora una volta è stato dimostrato come l’allenamento seguendo un approccio scientifico può essere fortemente condizionante e fornire dei margini di miglioramento superiori.In questo caso l’evidenza che è venuta a galla ha riguardato i benefici dell’altura non tanto sul miglioramento dei parametri fisiologici, ma sull’accelerazione dei processi di recupero.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4