​Avete mai provato a guardare le foto dei Criteria? Fidatevi, fatelo – sezione femminile e sezione maschile.

Io vi consiglio quelle del miglior fotografo sul bordo vasca (e non lo dico mica solo io), Fabio Cetti, che ha la capacità speciale di saper trasformare ogni scatto in un’emozione.Emozione che ai Criteria è perfino maggiore, e adesso provo a spiegarvi perché.

Non vi preoccupate, non sarà l’ennesimo articolo melenso, zeppo di luoghi comuni sul perché il nuoto è il più bello di tutti gli sport (falso, ce ne sono molti altri altrettanto belli e sani) o perché i nuotatori sono così speciali (ri-falso, gli str***i valicano qualsiasi sport, purtroppo).

Voglio parlarvi di quella magica atmosfera che si respira ai Criteria, che chiunque abbia provato a frequentarli sa riconoscere all’istante, anche solamente riguardando delle foto sui social, anche a distanza di venti o più anni. Perché non importa dove tu sia o cosa tu faccia nella vita, quelle emozioni lì te le porti dentro per sempre.

La prima cosa che mi ricordo dei Criteria è il silenzio.

Avevo 13 anni e facevo il mio esordio nella piscina Felice Cascione di Imperia, ai tempi sede fissa della manifestazione. La porta di ingresso che dagli spogliatoi dava sulla vasca era dalla parte opposta rispetto alla testata della piscina da 33 metri, interrotta ai 25 dal pontone più morbido che i miei piedi ricordino. Era talmente soffice ed elastico, o almeno così lo percepivo, che ho sempre pensato che i miei tempi in quella vasca fossero migliori perché il pontone mi forniva una spinta aggiuntiva, una specie di slancio. Magari non era vero, ma mi piace pensarla così.

Ma torniamo alla prima volta. Di quel momento ho un’immagine fissata nella memoria: una moltitudine di atleti che nuotano il riscaldamento della prima mattina di gare in un silenzio surreale, quasi religioso. Il sottofondo era composto solo dal movimento dell’acqua, uno scorrere incessante e fluido, uno di quei rumori bianchi che adesso consiglieri ad una mamma che non riesce ad addormentare il suo piccolino.

Mi capita spesso di portare i miei bambini a giocare sulla riva del Ticino, a due passi da casa mia, e quando siamo soli non posso fare a meno di ricollegare il brusio del fiume che passa sui sassi al ricordo dei Criteria. Non so dirvi se l’ambiente fosse davvero così silenzioso. Forse io ero abituato alle piccole piscine provinciali, strapiene e rumorose, con le urla degli allenatori che si sovrapponevano al rimbombo dello speaker che annunciava il termine del riscaldamento. La più grande aveva una tribunetta di tre scalini che mi sembrava gigante quindi, quando ho visto gli spalti della Cascione, mi sono sentito a San Siro e ho pensato: “Ecco cosa provano i calciatori all’ingresso della partita, davanti a 80 mila persone.”

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Sono stato talmente tanto impressionato da quella sensazione che ho percorso il bordo vasca in una specie di trance, come se stessi camminando sulle nuvole. Quella mattina non mi sono riscaldato, non avevo gare. Seduto accanto al mio allenatore, ho guardato gli altri cimentarsi in quella che mi sembrava la sfida più grande di sempre. Come ci si può concentrare sulla propria gara in un ambiente così spaventosamente enorme? La camera di chiamata, dall’altra parte rispetto alle tribune, mi sembrava lontanissima.

Il giorno successivo, quando mancava poco alla mia prima gara di sempre ai Criteria, ero pronto per incamminarmi dalla tribuna verso l’addetto ai concorrenti. Non pensate ai ragazzi di oggi, beati loro con il loro costumone e gli occhialini super tech: avevo un mutandone semi ascellare, la cuffia di lattice e niente occhialini, ma nei miei occhi avreste visto la stessa emozione che vedete oggi nelle foto dei categoria Ragazzi che esordiscono a Riccione. Sono arrivato alla camera di chiamata che avevo il fiatone, ma sul serio. Mi sentivo il cuore pompare nel collo, come se avessi appena finito di fare il test di Cooper, l’incubo della mia adolescenza.

Ho pensato che avrei fatto una gara pessima, non potevo che peggiorare in quella condizione. Ero alla corsia 6, centrale ma non centralissimo, quindi potevo sperare di non dare troppo nell’occhio quando le forze mi avrebbero abbandonato, ed ero certo che sarebbe andata così.

Poi è successa una magia, una di quelle cose che non ti spieghi ma che giuri siano accadute davvero. Il mio nome venne chiamato dal giudice che era seduto ad un piccolo tavolino munito di megafono, e da quel momento non ricordo assolutamente nulla. Se non ci fossero delle foto che testimoniano che ero davvero lì, oltre alla stampata dei risultati gara fatta dai miei genitori il giorno dopo, potrei dirvi che forse è stato solo un sogno. Una cosa però mi sembra di ricordarla: l’impatto con l’acqua dopo il tuffo, l’ingresso in un magico mondo azzurro che per un pò di più di 2 minuti (erano i 200 misti) ha caratterizzato la mia vita. Al tocco finale è stato come un risveglio: girarsi verso il tabellone, lanciare uno sguardo all’allenatore in tribuna, vedere quanti fossero dietro e quanti davanti, e realizzare che non era andata poi così male (anzi, avevo addirittura migliorato) mi ha fatto provare una delle più grandi soddisfazioni della mia via. Non sono stato un fenomeno in piscina, ma lì mi sono sentito un campione.

Una delle cose belle dei Criteria è che quella sensazione lì non svanisce negli anni: certo, la consapevolezza di un categoria Cadetti è diversa rispetto a quella di un Ragazzi, complice ovviamente l’età. Ma ai Criteria ci torni sempre con quei due sentimenti, gioia ed emozione, che avevi fin dalla prima volta. L’ultima volta che ci sono andato, facevo ormai la quinta superiore e la piscina non mi sembrava più così immensa e silenziosa. Però sapevo che non l’avrei più rivista, perlomeno da atleta, e ricordo di aver provato un pizzico di nostalgia. Girandomi verso la vasca, l’ultimo giorno, ho salutato col cuore un luogo che mi ha visto crescere da bambino ad uomo, in quelli che per tutti noi sono anni indimenticabili.

Provate a guardare le foto delle ragazze e dei ragazzi a Riccione e dire che in quegli occhi non vedete anche un pò i vostri, o quelli dei vostri figli, che guardano il mondo per scoprirlo la prima volta, come mai più avranno la fortuna di guardarlo. Ditemi che cosa non dareste per avere l’opportunità di riassaporare quelle emozioni, così diverse da qualsiasi altra trasferta – sportiva e non – che avete fatto nella vostra vita.

Non vorreste risalire su quel pulmino che vi porta a Riccione, insieme ai vostri compagni di allenamento, sapendo che troverete rivali che nemmeno conoscevate fino al giorno prima? Scoprire che quello che vi sembrava forte non è nemmeno nei primi cinque, e che magari non è così imbattibile come credevate prima. Scoprire che l’Italia è piena di piccoli team che vi sembreranno immensi, di ragazzi della vostra età che dimostrano tre anni in più, di conoscenze lontane che magari diventeranno amicizie inossidabili.

La prima sera, in albergo, fare fatica a prendere sonno, perché l’adrenalina non vi dà pace e perché parlare col compagno di stanza è troppo bello, e la mattina dopo capire che forse era meglio dormire. Rompere l’elastico degli occhialini prima della partenza, tuffarsi e non vedere niente, venire squalificati per qualcosa che non vi siete resi conto di fare oppure sentire che avete imbeccato la gara giusta. Arrabbiarsi fino alle lacrime, ridere allo stesso modo, fare il tifo per un amico come se la gara fosse la vostra, partire con la voglia di rimanere altri tre giorni. Portarvi a casa la maglietta e tenerla nel cassetto, per poi ritirarla fuori dopo i 30 ed usarla come pigiama. Amare il nuoto per l’emozione che ti sta dando ed odiarlo per tutto quello che credi ti stia negando. Vivere come forse fino a quei momenti non avevi mai vissuto.

I Criteria sono questo, una festa del nuoto giovanile nella quale i grandi vedono numeri e tempi, i piccoli emozioni e vita.

Foto: Fabio Cetti | Corsia4