La velocità nello stile libero: una relazione articolata tra parametri differenti
La velocità di nuotata, in qualsiasi stile, è il risultato di un’interazione complessa di forze propulsive e forze resistive (intese come resistenza all’avanzamento). Le contrazioni dei muscoli di gambe, braccia e tronco portano a variazioni di velocità intra-cicliche, così che il nuotatore non si muoverà mai a velocità costante durante il suo avanzamento in vasca.
Generalmente una nuotata efficace, intesa come il miglior rapporto tra l’economia del gesto e la velocità di avanzamento, è correlata a una variazione di velocità intra-ciclica più bassa possibile. Pertanto, nuotare veloce corrisponde a minimizzare queste variazioni intra-cicliche in modo da tendere, per quanto possibile, a una velocità costante: propulsione media uguale al drag attivo medio.
Inoltre, la potenza viene ceduta per accelerare e decelerare gli arti rispetto al baricentro. Pertanto, secondo Toussaint et al. (2006), nuotare velocemente non dipende solo dalla capacità di produrre un’elevata forza propulsiva riducendo al minimo la resistenza, ma richiede anche un’elevata efficienza propulsiva, ossia la capacità di riuscire a mantenere al valore più basso possibile quella parte di potenza che va a finire “sprecata” in energia cinetica impartita all’acqua. La propulsione può essere incrementata andando a modificare diversi parametri della nuotata, e si traduce in una modifica dell’efficienza propulsiva.
Per esempio, il nuotatore può andare ad aumentare l’impulso propulsivo aumentando il tempo durante il quale la forza propulsiva stessa viene applicata massimizzando la propulsione media dell’intera bracciata. Un’altra soluzione potrebbe essere invece aumentare la frequenza con la quale questi impulsi di forza sono applicati (la frequenza di bracciata) oppure spostando l’alternarsi degli impulsi delle due braccia (destra e sinistra) in modo tale che questi tendano a sovrapporsi ovvero la coordinazione intra-braccia.
Alcuni studiosi francesi all’inizio degli anni 2000 hanno proposto un parametro noto con il nome di indice di coordinazione (IdC) proprio con l’obiettivo di quantificare questo tempo di ritardo, continuità e sovrapposizione delle due braccia con riferimento in questo caso alla nuotata a stile libero.
Nella figura seguente – presa da uno studio all’inizio degli anni 2000 e disponibile a questo link – sono mostrati graficamente diversi valori di tale parametro per lo stile libero a seconda delle differenti tecniche di nuotata adottate:
Gli stessi studiosi hanno osservato che l’indice di coordinazione cambia assumendo valori negativi (IdC < 0%) nel caso in cui le braccia vanno in modo opposto a valori positivi (IdC > 0%) nel caso in cui i nuotatori adottino una tecnica che prevede la sovrapposizione delle braccia.
Infatti, nel momento in cui si verifica una sovrapposizione delle fasi tra il braccio destro e il braccio sinistro, il nuotatore, durante questo periodo, sta raddoppiando superficie propulsiva. Di conseguenza, aumenta anche il valor medio di tale superficie nel tempo. È stato dimostrato che tale aumento si concretizza in un miglioramento dell’efficienza propulsiva; pertanto, un valore dell’indice di coordinazione maggiore dello 0% può avere un impatto positivo in tal senso.
Tale parametro è stato negli anni oggetto di studio per capire meglio le variazioni in funzione delle diverse distanze di gara e in funzione dei differenti livelli competitivi degli atleti. Tuttavia, i meccanismi intercorrenti tra le forze propulsive, l’efficienza e la coordinazione tra le due braccia, risultano ancora poco chiari. Potrebbe essere che l’indice di coordinazione svolga effettivamente un ruolo nel ridimensionamento delle forze propulsive? Così come che la tecnica di nuotata sovrapposta contribuisce ad una efficienza propulsiva superiore? Esaminando varie velocità di nuotata, Seifert, Chollet e Rouard (2007) hanno notato che al di sopra di una velocità critica (1,8 m/s), l’unica tecnica adottata era quella con la bracciata sovrapposta. Si presume che per nuotare a velocità sempre maggiori è richiesto un aumento dell’indice di coordinazione, pertanto questo parametro influenza l’efficienza propulsiva. È stato inoltre osservato, sia in prove da 100 metri che da 400 metri, che nel corso della gara l’indice di coordinazione tende ad aumentare e allo stesso tempo la velocità di nuotata l’ampiezza di bracciata tendono a diminuire a causa della fatica.
Nel caso di nuotatori di livello medio-alto, l’aumento dell’indice di coordinazione è stato interpretato come un modo efficace per affrontare la fatica, per cui il sovrapporre l’azione del braccio destro e sinistro va a compensare la riduzione della capacità di generare forza di ciascun braccio singolarmente. Da studi svolti negli anni passati è ormai noto che la resistenza attiva all’avanzamento (drag) ha un andamento proporzionale al valore quadratico della velocità (Toussaint & Truijens, 2005); si può considerare la stessa relazione relativamente a IdC specialmente per i nuotatori specialisti delle distanze veloci (Seifert & Chollet, 2009). Di conseguenza, il miglior modello matematico per descrivere la relazione tra IdC e la resistenza attiva risulta quello lineare. Tuttavia, finora nessuna ricerca ha esaminato i cambiamenti nella coordinazione tra le braccia in funzione della resistenza attiva tenendo conto dei possibili collegamenti con IdC ed efficienza propulsiva.
Uno studio interessante svolto da alcuni ricercatori francesi nel 2015 (articolo originale disponibile a questo link esamina le relazioni tra l’indice di coordinazione (IdC) e la resistenza attiva (D) assumendo come condizioni di partenza: velocità media costante, resistenza all’avanzamento media uguale alla propulsione media. Inoltre, è stato anche studiato il rapporto tra IdC ed efficienza propulsiva (ep) alla massima velocità.
A venti nuotatori è stato chiesto di svolgere due test di velocità incrementali costituiti da un set di 8×25 metri da nuotare ad un’intensità progressivamente crescente dal 60% al 100% della massima possibile. Ciascuna ripetizione è stata nuotata a una velocità più costante possibile. Per perseguire tale scopo è stato fatto seguire ai nuotatori un approccio autoregolante per evitare le variazioni di velocità che possono verificarsi quando il nuotatore insegue un tempo obiettivo. Pertanto, è stato chiesto loro di nuotare a velocità costante concentrandosi su una frequenza di bracciata costante.
Come abbiamo introdotto in precedenza, lo studio ha ricercato e quindi modellato i cambiamenti nella coordinazione tra le due braccia del nuotatore per la nuotata a stile libero in funzione del drag attivo tenendo conto i suoi possibili collegamenti con l’indice di coordinazione (IdC) e con l’efficienza propulsiva.
I risultati hanno confermato l’ipotesi iniziale sul fatto che la relazione tra IdC e drag attivo fosse di tipo lineare. Questo modello che è stato ricavato suggerisce che il parametro noto come indice di coordinazione svolge un ruolo importante con l’obiettivo di risolvere la problematica del rendere un nuotatore sempre più propulsivo in modo da riuscire a portarlo a nuotare sempre più veloce.
Con riferimento alla figura precedente i nuotatori nel perseguire la tecnica relativa alla nuotata sovrapposta, possono contrastare le resistenze all’avanzamento che incontrano nel momento in cui si trovano a nuotare a velocità più elevate. A questo punto è bene ricordare che il drag attivo totale è dato dal contributo di diversi fattori: una prima parte è data da vincoli ambientali (densità del fluido in cui il corpo nuota) e strutturali (dovuti al coefficiente di attrito che varia in base alla morfologia del nuotatore, noto come coefficiente K).
Non sono state trovate correlazioni significative con questi due fattori relativamente al cambiamento della coordinazione, quindi, è stato possibile escludere che queste componenti del drag attivo non hanno alcuna influenza sulla coordinazione motoria. Ad avere maggiore influenza sono invece le altre componenti del drag attivo che sono invece funzione della velocità di nuotata, come dimostrato in tanti studi svolti negli ultimi anni. Una di queste prende il nome di resistenza d’onda (wave-drag), e diventa significativa per velocità al di sopra di 1,5÷1,6 m/s (Toussaint & Truijens, 2005) e rappresenta il 50% della resistenza totale a 2,2 m/s (Vennell, Pease e Wilson, 2006).
Analogamente alle imbarcazioni, anche per i nuotatori può essere interessante il calcolo della “velocità dello scafo” (vh) come descritto dalla seguente formula:
Lo scafo raggiunge questa velocità vh quando la lunghezza d’onda è uguale alla lunghezza della linea di galleggiamento lw (Prange & Schmidt-Nielsen). A questa velocità la resistenza che genera l’onda aumenterà bruscamente (Toussaint & Truijens, 2005). Per il presente studio, l’altezza media è di 1,84 m; la velocità è quindi 1,69 m/s. Si suggerisce che intorno a questa velocità, i nuotatori possano cambiare la loro modalità di coordinazione delle braccia.
In secondo luogo, ci si aspettava che valori elevati di efficienza propulsiva fossero associati a IdC elevati nel nuotare alla massima velocità. Tuttavia, i dati di tutti i nuotatori non hanno mostrato una correlazione significativa tra IdC, ed, ep.
Apparentemente, l’aumento di IdC ha un effetto positivo effetto sulla capacità del nuotatore di generare una ulteriore forza propulsiva per nuotare più velocemente, ma tali valori di IdC non sono legati alla capacità di nuotare con una maggiore efficienza propulsiva.
Pertanto, un elevato indice di coordinazione non garantisce automaticamente una conversione ottimale della potenza generata in velocità di nuotata, come già verificato in condizioni sperimentali che vedevano i nuotatori in condizioni di affaticamento (Alberty et al., 2009; Seifert, Chollet e Chatard, 2007; Toussaint et al., 2006). Infatti, in un altro studio (Alberty et al. 2009) è stato suggerito che un aumento dell’IdC a fine gara potrebbe essere proprio conseguenza della fatica. I nuotatori, quindi, cercano di sovrapporre le fasi propulsive delle bracciate, perché la fatica impediva di generare forza sufficiente per vincere la resistenza all’avanzamento complessiva (Alberty et al., 2009).
L’aumento di IdC è quindi interessante per risolvere il problema di produrre abbastanza propulsione da contrastare il drag attivo, ma allo stesso tempo il nuotatore deve anche ridurre al minimo la potenza associata alle perdite di energia nell’acqua. Recentemente, Seifert et al. (2010) hanno suggerito che un aumento di IdC fosse efficace solo se l’efficienza propulsiva viene mantenuta allo stesso livello. In tale esperimento, l’efficienza della nuotata era stimata da diversi indicatori come l’indice di nuotata, le variazioni di velocità intra-cicliche e il rapporto tra velocità di nuotata e velocità della mano (Seifert et al., 2010).
I risultati hanno indicato che per nuotare più velocemente, i nuotatori hanno aumentato la continuità propulsiva (cioè nuotano a livelli di IdC più elevati) in modo efficiente, ovvero in modo tale da non far deteriorare l’efficienza propulsiva (Seifert et al., 2010).
Questi ultimi risultati mandano agli allenatori e ai nuotatori un messaggio ben preciso: per riuscire a nuotare sempre più veloce, è necessario riuscire a ottimizzare al livello ottimale tutti questi parametri con un lavoro tecnico ben mirato e individuale. Gli allenamenti condizionali restano imprescindibili, ma è proprio grazie a questi step che possono essere a loro volta essere programmati dall’allenatore in modo ottimale ed essere svolti dall’atleta sempre meglio, in modo da garantire sempre adattamenti positivi nel tempo e di conseguenza il raggiungimento di prestazioni sempre migliori in gara.