Ci sono domeniche che non scorrono lente come dovrebbero. Sono i giorni di fatica e sacrificio per quei genitori che devono abbandonare la tranquillità del proprio pigro weekend per accompagnare i figli alle gare in piscina.
Nonostante l’impegno i protagonisti sono loro, i nostri figli e nipoti che hanno il bordo vasca come luogo principale per trascorrere i propri pomeriggi lontani dai libri e dalla scuola.
Non conoscevo questo mondo finché non l’ho “visitato” in prima persona vivendo una giornata di gare come zia e spettatrice.
Con grande tenerezza ho guardato il mio piccolo atleta preparare le sue cose, l’ho visto piegare come un adulto quell’accappatoio più grande di lui e l’ho osservato nel suo silenzio che nascondeva emozione, paura e forse qualcosa di più.
L’ho seguito sugli spalti con il mio sguardo presente e ho vissuto con rammarico la tensione dei genitori che, cronometro alla mano, giudicavano severamente i propri nuotatori sottostimandone la fatica e l’impegno.
Ho accompagnato il mio piccolo atleta con il cuore nei suoi errori, mentre arrivava ultimo nella sua batteria, mentre si arrabbiava e provava delusione per il proprio impegno andato in fumo.
L’ho motivato spiegandogli che non si saprebbe come fare bene una gara senza sbagliarla centinaia di volte e che non c’è gioia più grande che riprovare e riuscire in quello che riterrà troppo complicato e difficile.
Non sempre chi andiamo a seguire a una gara vince: molti di noi sono mamme, papà, zii e parenti di quei bimbi che perdono, che arrivano ultimi e che non hanno traguardi da festeggiare ma sconfitte da cui imparare.
Siamo spesso amici e parenti di chi dobbiamo consolare, di chi nuota lento, di chi non riesce a superare i propri limiti.
Rimarrà molto dentro di me di questa esperienza: resterà la mia profonda ammirazione per quei piccoli grandi nuotatori che non abbandoneranno la speranza, e resterà in me il pensiero che proprio loro continueranno a sbagliare per poi vincere, perdere e sbagliare ancora nella consapevolezza che, in ogni caso, farebbero tutto per continuare a gareggiare in quel fantastico sport che è il nuoto.
“Essere capaci di sorridere dopo una sconfitta è la vittoria finale” [Bertus Aasfjes]
(Foto copertina: Fabio Cetti | Corsia4.it )
Mi aspetto anche un articolo sulla “sconfitta di chi arriva primo”.
Sulla solitudine del vincitore, il suo confrontarsi con l’ansia di doversi riconfermare, gara dopo gara, di migliorare i propri record, di avere, in mancanza di altri, se stesso come avversario da sconfiggere.
E quelli che arrivano a “metà classifica”? Un tempo si sarebbe detto; esempi di “aurea mediocritas”, lontani da ogni attenzione e interesse altrui; ampiamente dimenticabili, insomma..
Tutti hanno problemi se si preoccupano dei giudizi (quasi sempre ingenerosi) degli altri.
Solo in un giusto rapporto con se stessi, che porti ad una matura, razionale relazione con gli altri, si può trovare la serenità di vita.
Per chiudere il cerchio non trascurerei neanche il problema della solitudine di chi riesce a raggiungere buoni risultati: spesso, infatti, chi riesce è il bersaglio dell’invidia dei propri antagonisti se non persino dei propri compagni di squadra che lo isolano, lo attaccano in modo spesso molto aggressivo. Recentemente sono venuto a conoscenza persino dell’intervento di alcuni genitori che hanno tentato, vigliaccamente, di aggredire verbalmente gli avversari dei propri figli al fine di togliere loro la necessaria serenità in gara. Si, purtroppo succede anche questo nell’attività agonistica …