Visto che le acque sono momentaneamente calme e gli atleti sono impegnati negli ultimi ritiri prima di partire per il Giappone (a proposito, seguite USA Swimming sui social, le immagini dal training camp alle Hawaii sono fantastiche), possiamo permetterci di allargare un attimo il campo e di parlare di quello che potrebbe succedere a Tokyo, intorno alle vasche ed ai campi gara in generale.

Si è discusso molto di quello che si dovrebbe dire o non dire, dei temi che gli atleti dovrebbero toccare sfruttando le occasioni che hanno e di ciò che invece dovrebbe rimanere taciuto, per una sorta di rispetto della situazione, della sacralità olimpica.

Eravamo partiti da qui, cercando di fare chiarezza su quanto sta accadendo nel dibattito intorno a temi spinosi come le campagne per la parità di diritti e la libertà di espressione.

A poco più di due settimane dall’inizio dei giochi, il CIO ha parlato.

LA POSIZIONE DEL CIO

Dopo essersi espresso con note più o meno ufficiali o per bocca dei suoi esponenti, il CIO ha fatto uscire delle linee guida che precisano il campo entro il quale è permesso agli atleti esprimersi liberamente su certe tematiche ai Giochi Olimpici. Mi rendo conto che, già messa giù così, ha il sapore di una limitazione, anche se nel titolo della comunicazione l’intenzione sembra un’altra:

Il CIO estende le opportunità di espressione degli atleti durante i Giochi Olimpici di Tokyo 2020.

Andando avanti nella lettura della comunicazione, la sensazione che si tratti di una prima tattica di difesa aumenta. Per mano di Kirsty Coventry, ex nuotatrice plurimedagliata per lo Zimbabwe nel nuoto ed ora Presidente della Commissione Atleti, vengono chiarite le direttive contenute nella famosa regola 50.2 della Carta Olimpica, il cui intento è quello d mantenere la neutralità dello sport e delle Olimpiadi stesse.

Questo si legge nel comunicato:

Durante i Giochi Olimpici, gli atleti avranno anche l’opportunità di esprimere le proprie opinioni:
• Nelle zone miste, anche quando si parla con i media
• Nell’International Broadcasting Center (IBC) o nel Main Media Center (MMC), anche quando si parla con i media
• Durante le conferenze stampa in sede o al MMC
• Durante le interviste
• Alle riunioni di squadra
• Nei media tradizionali o nei media digitali
• Attraverso i canali social
• Sul terreno di gioco prima dell’inizio della competizione (cioè dopo aver lasciato la “call room” o area similare o durante l’introduzione del singolo atleta o squadra) a condizione che l’espressione (ad esempio, gesto) sia:
– coerente con i Principi Fondamentali dell’Olimpismo;
– non mirati, direttamente o indirettamente, a persone, Paesi, organizzazioni e/o alla loro dignità;
– non dirompente (solo a titolo esemplificativo, sono considerate dirompenti le seguenti espressioni: espressioni durante l’inno nazionale e/o introduzione di un altro atleta o squadra, in quanto ciò potrebbe interferire con la concentrazione e/o la preparazione per la competizione di tale altro atleta o squadra; interferenza con l’introduzione di un altro atleta o squadra o del protocollo stesso (ad esempio spiegando una bandiera, uno striscione, ecc.); provocando (o assumendo il rischio di causare) danni fisici a persone o cose, ecc.); e
– non proibito o altrimenti limitato dalle regole del relativo Comitato Olimpico Nazionale (NOC) e/o dai regolamenti di gara della relativa Federazione Internazionale (IF).”

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Ci sono alcune cose sacrosante, il rispetto per gli avversari e per lo sport in sé su tutte, altre che sembrano ovvie, tipo la possibilità di esprimersi liberamente in sala stampa, altre un po’ più oscure (alle riunioni di squadra?), ma è chiaro che l’intento sia quello di evitare che le proteste plateali, come quelle anti Sun Yang di Gwangju, rovinino i momenti più in vista, ovvero gare e premiazioni. Peccato che siano proprio quelli i momenti a cui molti atleti puntano per far sentire ancora di più la loro voce.

Ed ecco quindi l’affondo finale del CIO: “Nell’esprimere le proprie opinioni, gli atleti sono tenuti a rispettare le leggi applicabili, i valori olimpici e i loro compagni atleti. Dovrebbe essere riconosciuto che qualsiasi comportamento e/o espressione che costituisce o segnala discriminazione, odio, ostilità o potenziale violenza su qualsiasi base è contrario ai Principi Fondamentali dell’Olimpismo”.

Un chiaro riferimento alle battaglie anti discriminatorie e anti razziste che tanto stanno facendo parlare negli ultimi giorni, a partire dall’inginocchiarsi o meno a favore della campagna Black Lives Matter fino alla mancata approvazione delle cuffie inclusive. Frutto di una lunga ed accurata discussione che ha coinvolto ampiamente anche i rappresentanti degli atleti, le linee guida sono così spiegate proprio da Coventry: “Mentre le linee guida offrono nuove opportunità agli atleti di esprimersi prima della competizione, preservano le gare sul Campo di Gioco, le cerimonie, le cerimonie di vittoria e il Villaggio Olimpico. Questo era il desiderio di una grande maggioranza di atleti nella nostra consultazione globale.”

Ora che il CIO si è chiaramente espresso, ed ha anche dichiarato che ogni eventuale caso di trasgressione verrà preso in considerazione (con la massima trasparenza) ed eventualmente punito, il punto non è tanto se siano o meno giuste queste regole, ma se ci siano o meno alcuni atleti che sono disposti a “disobbedire” in nome della causa alla quale vogliono dare voce.

Questa sorta di apertura dolce, regolamentata da alcuni avvertimenti che fanno leva principalmente sul buon senso, potrebbe non reggere l’urto della volontà di alcuni atleti di protestare sui podi o durante gli inni nazionali, con gesti ben più eclatanti che qualche dichiarazione in zona mista facilmente insabbiabile.

Adam Peaty, ad esempio, aveva lasciato intendere che avrebbe contestato in prima persona e sostenuto chi come lui non è d’accordo con l’ammissione ai Giochi di atleti macchiati da coinvolgimenti in casi di doping. Anche se la presenza di Sun Yang è definitivamente esclusa, non sono esclusi altri atleti potenzialmente inseribili in questo discorso, nel nuoto e in altri sport.

Per non parlare poi del discorso inginocchiamento, che negli Stati Uniti avviene proprio durante l’inno nazionale che precede gli eventi ed in concomitanza del quale uno come Anthony Ervin (che ai Giochi non ci sarà) si è spesso inginocchiato. Cosa succederà se qualcuno deciderà di farlo sul podio? La sanzione applicata potrebbe contenere anche una squalifica ed eventualmente far perdere la medaglia? Cambierà se ad inginocchiarsi sarà un atleta americano durante il proprio inno o durante l’inno di un’altra nazione? Cambierà a seconda del contesto, della provenienza dell’atleta, della reale attinenza della protesta?

Il CIO ha cercato di prevenire, facendo parlare i Rappresentanti degli Atleti. Vedremo se basterà a non creare “incidenti”.

-17 A TOKYO…

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