Se lo scorso mese di aprile affermavamo che da Riccione partiva con decisione il percorso del nuovo quadriennio olimpico, ora ci troviamo effettivamente a regime e in questi giorni di inverno il nuoto italiano ha fatto nuovamente tappa sulla riviera romagnola sempre con una proiezione alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e sarà così abbastanza di frequente per i prossimi due anni e mezzo.

In fondo si tratta di momenti più unici che rari, i soli in cui il meglio del nuoto italiano si trova riunito e solo così si può misurare il reale valore del movimento, fermo restando che non bisogna mai dimenticare il periodo dell’anno in cui ci troviamo.

Sicuramente trattandosi di un Campionato Italiano invernale, per di più al ritorno in vasca da 25 dopo ben 7 anni, non possiamo fare un confronto con quello che è stato il mese di aprile scorso, ma essendo presente tutto il movimento nazionale al completo – ad eccezione dei gemelli olimpionici che conosciamo ormai troppo bene – ci sono sempre spunti per fare delle analisi, in modo da ricavarne informazioni utili sullo stato attuale del nuoto italiano.

Come dichiarato dal Commissario Tecnico Cesare Butini al sito istituzionale della Federnuoto si tratta di tappe intermedie che devono fungere da consolidamento. Ovvero si tratta di punti di partenza, o meglio di ripartenze, in modo da cercare almeno di provare a cambiare quel trend che c’è stato spesso negli anni olimpici.

Infatti nei quadrienni passati, sin da quello che portava ad Atene 2004, si erano verificate delle situazioni di annate fotocopia, ovvero ogni anno si era preteso di ottenere sempre il massimo dalle varie tappe. In questo modo si era verificato un po’ il problema della preparazione verso l’Olimpiade con troppi atleti fuori forma nel momento più importante, chiaramente al di là dei singoli acuti che (per fortuna!) l’Italia è riuscita ad avere.

Anche lo stesso Claudio Rossetto nella piacevole chiacchierata al Salottino di Corsia4 alcuni mesi fa ha detto chiaramente che in futuro occorrerà rimodulare la preparazione in questo senso, indipendentemente dei tanto discussi criteri di selezione, ciò che manca ancora è una periodizzazione pluriennale verso un unico obiettivo

Questo breve excursus per dare la vera chiave di lettura di questi campionati italiani in vasca corta: si è verificato in questo momento particolare un po’ un rimescolarsi delle carte. Non si tratta di mettere in contrapposizione l’evoluzione di alcuni nuotatori o piuttosto l’evoluzione di altri, ma semplicemente il constatare il fatto che oggi i nostri atleti si trovano in momenti differenti dovuti a obiettivi diversi ed esigenze diverse.

Molti nomi di spicco della scorsa primavera-estate non hanno per nulla scoperto le carte. C’è chi proverà i prossimi giorni a migliorare gli attuali tempi ai Campionati Europei di Copenaghen oppure chi è già in letargo per uscire direttamente in primavera. Sto parlando di atleti come Carini, Restivo, Vendrame, Pizzini, Codia, Bianchi, Carraro, Castiglioni giusto per citarne alcuni. Altri, Nicolo Martinenghi su tutti, sono già partiti con un piano di lavoro pluriennale volto a sviluppare meglio alcuni prerequisiti a oggi ancora mancanti, non per negligenza degli allenatori, ma per la loro giovane età.

Giusto per allacciarci alla metodologia dell’allenamento, il denominatore comune di questi atleti è stato in questo inizio di stagione un periodo del tutto generale. Attenzione, il termine generale non vuol dire fare solo lavoro aerobico ed esercizi di tecnica, soprattutto quando si parla di atleti evoluti.

In un periodo generale sono sempre presenti tutte le componenti dell’allenamento, ma sono affrontate in maniera orizzontale, senza andare troppo in profondità nei lavori più intensi, ovvero più legati ai prerequisiti di gara veri e propri. Sempre a quel livello vengono sempre effettuate delle sedute specifiche sul passo di gara, ma la sintesi finale non sarà mai come quella del periodo estivo, in modo da non creare adattamenti precoci che possano inibire gli innalzamenti prestativi dove viene effettivamente richiesto, appunto nel periodo estivo, o comunque dove è presente la competizione obiettivo. Questa considerazione per dire che gli atleti che ho citato non hanno nuotato affatto male tecnicamente rispetto a come ci hanno abituato; se si vuole fare un paragone con l’automobilismo, il telaio è buono, manca ancora la messa a punto del motore.

Soprattutto per quanto riguarda la vasca corta servono allenamenti altamente specifici, non tanto sulle virate e subacquee che vanno sempre allenate a prescindere, ma su come queste influiscono anche sulla parte nuotata rispetto alla vasca lunga. Cambiano le frequenze ottimali e anche dal punto di vista metabolico la situazione è differente proprio per il fatto che l’azione nuotata venga spezzata dalle virate. Per questo motivo la finalizzazione a una competizione in vasca corta va fatta alla perfezione, nonostante richieda meno tempo rispetto agli adattamenti della vasca lunga, probabilmente è ciò che viene fatto troppo a livello giovanile con i Criteria del mese di Marzo, ma questo merita un discorso a parte.

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Tornando ai Campionati appena conclusi, meritano un discorso diverso altri atleti che invece un’attenzione maggiore su questo evento l’hanno posta, forse perché giustamente avevano bisogno di riscatto: sto parlando di Matteo Rivolta a delfino e Simone Sabbioni a dorso. È bene nominarli insieme perché entrambi nell’anno 2016 (quello olimpico purtroppo!) hanno avuto le stesse sventure fisiche, iniziate nel collegiale preolimpico di Santos e portate avanti per tutta la scorsa stagione. Sono stati costretti a lavorare per parecchio tempo in modalità a dir poco degradata, perdendo di fatto un’altra stagione agonistica.

Sottolineo questo aspetto perché purtroppo si fanno spesso delle considerazioni inopportune sulle controprestazioni e le involuzioni dei nuotatori senza conoscere a fondo la loro situazione, e non c’è niente di peggio per uno sportivo essere vittima del proprio fisico. Finalmente questi due ragazzi si sono messi alle spalle questi problemi fisici e hanno dimostrato di essere ancora all’altezza del nuoto internazionale.

Anche da un punto di vista tecnico il dorsista romagnolo si dimostra solido come pochi in tutte le fasi della gara, grandi apnee al limite e nuotata moderna con utilizzo ottimale del rollio del tronco, cosa che non riesce a Margherita Panziera, che ha si delle basi di lavoro incredibili, una bella nuotata, ma tutta orientata all’uso delle spalle con la famosa bracciata a “scalino” come accadeva vent’anni fa, notevole il 2’03” sui 200, ma troppo limitata tecnicamente a questa distanza.

Tornando a Sabbioni dopo questa prova di forza, può solo ripartire dalla medaglia nei 100 dell’europeo di Londra 2016. Sempre nel dorso fa piacere avere avuto segni di risveglio (forse un po’ meno evidenti) da Nicolo Bonacchi, un altro nuotatore ancora giovane con grandi doti fisiche che stava finendo nel dimenticatoio. Anche Matteo Rivolta ha mostrato la solita nuotata fatta di grande orizzontalità, ma con il solito difetto del secondo colpo di gambe un po’ ritardato, in ogni caso può pensare seriamente di riprendere il discorso del ritorno sul 26” basso nel 100 delfino in vasca lunga di cui parlava già due anni fa il suo allenatore Mirko Nozzolillo.

L’altra panoramica interessante di questi campionati è stato lo stile libero maschile sia nella velocità che nelle distanze intermedie 200 e 400. Non è una nuova scoperta, ma il fiorentino Lorenzo Zazzeri ha dato un ulteriore dimostrazione di crescita soprattutto tecnica prima che cronometrica. Grande pulizia ed essenzialità nella nuotata, rollio ben controllato, posizione delle spalle sempre alta sull’acqua. Se vogliamo trovare un difetto troppo affrettato nell’uscita dalle virate, ovvero dopo la spinta una linea di galleggiamento già molto alta prima di andare in presa. Inoltre continuo a ritenerlo a oggi l’unico vero velocista in termini di velocità di base (in attesa di riavere il miglior Orsi), impressionante la facilità nel passaggio a 22”1. È evidente anche la sua crescita fisica dovuta al lavoro a secco e il saper trasformare quest’ultimo in acqua nel migliore dei modi; per questo motivo va un plauso al suo tecnico Fabrizio Verniani e al preparatore atletico Giovanni Bosi.

Salendo di distanza, il suo compagno di squadra Filippo Megli è sempre più una conferma e dimostra anche lui di avere tutte le caratteristiche dello stileliberista moderno: velocità di base prima di tutto, come dimostra l’impostazione dei 200 e 400 stile oltre a un 100 che è stata tutto meno che una gara di contorno, il ritorno in 24”7 è molta sostanza. Sempre in queste distanze si stanno confermando sempre più giovani come Fabio Lombini e Matteo Ciampi; e ci fanno ben sperare per un gradito ritorno della staffetta 4×200 ai livelli che merita: ormai sono passati 12 anni dal record europeo del 2006, e 17 dall’argento dei Mondiali di Fukuoka 2001, record europeo e tempo inferiore persino al record USA!

Infine non si può ignorare la crescita di Tomas Ceccon, la sua vittoria nei 200 misti dimostra come siamo di fronte a un atleta su cui già tutti hanno detto delle sue doti. Ma io voglio aggiungere come faccia ben sperare per il futuro perché con i suoi tecnici Burlina e Wenter sta lavorando nel modo corretto, tutt’altro che scontato nel nostro nuoto giovanile.

Ha vinto la gara più importante per la crescita di un giovane, quella che definisce sia la completezza tecnica che fisica di un nuotatore, come sostengono fermamente gli ungheresi. La frazione che mi ha maggiormente impressionato è stata la rana, molto ben coordinata e mai fuori tempo, visto che ci troviamo di fronte a un ragazzo alto 1,96. Si spera che atleti con doti come le sue in futuro diventino un valore aggiunto, un quid un più per il nostro movimento, e non un semplice mezzo salva-spedizioni fallimentari per nascondere la polvere sotto al tappeto come è successo alle ultime Olimpiadi.

I talenti ci sono, e per una motivazione statistica dal momento che le nostre piscine dal post 2000 hanno avuto un aumento esponenziale di iscritti, quindi il nuoto si può ritenere uno sport fortunato, almeno da questo punto di vista. Lo step fondamentale che va fatto è quello di costruire degli atleti prima che dei nuotatori, cosa non scontata perché non dipende dal talento. Se si pensa di buttare in acqua direttamente il talento e si spera che faccia tutto da solo inevitabilmente si bruciano delle tappe e si crea un disadattato

Intendo chiudere la mia analisi con un vero esempio di atleta, che all’età di 35 anni (se non sei un atleta non ci arrivi) ha salutato il modo del nuoto proprio a Riccione. Scontato il riferimento a Filippo Magnini che intendo ricordare e ringraziare non solo per le sue emozioni che ha trasmesso con i suoi titoli mondiali nei 100 stile e tanti altri successi, ma per avere insegnato a tanti di noi cosa vuol dire essere atleta.

Vuol dire provare gusto a fare fatica, fare proprio l’allenamento cercando prima di capire e non di eseguire a macchinetta, vuol dire dare importanza a tutto anche agli esercizi più semplici e banali. Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare sulle serie di allenamento, sui passi che teneva, in realtà la maggiore impressione l’ho avuta osservandolo in un collegiale in una semplice seduta di esercizi di tecnica e senso percezione. Li è apparsa netta la differenza tra la sua concentrazione maniacale e altri atleti più giovani che prendevano la seduta un po’ sottogamba facendo prevalere l’aspetto goliardico. Mai come quella volta ho capito che a certi livelli non si arriva per caso e perché Filippo Magnini ci è arrivato e altri (seppur con talento) sono rimasti in un limbo.

(Foto copertina: Fabio Cetti | Corsia4)