Nonno! Mi racconti una storia di nuoto? e il Nonno parlò di un certo Phelps e di un 100 stile libero femminile che entusiasmarono il mondo in ormai passato 2016….

“Nonno! Mi racconti una storia di nuoto, come l’altra volta? Avevi detto che dovevi finirla”?

“Va bene. Ti è piaciuta la storia dell’uomo pesce, eh? Ti svelerò il suo nome. Si chiamava Michael Phelps. Anzi. Si chiama. Credo che sia ancora vivo. Ti racconterà una delle  gare che ha vinto all’Olimpiade di Rio: i 200 misti”.

“Ma non si era ritirato”?

“Sì, ma questo è il punto dove ero rimasto l’altra volta. Poi è tornato a gareggiare, dopo aver provato col golf per un po’. Ha anche messo su famiglia e il suo bambino era la mascotte a Rio, in quell’ormai lontano 2016. Prima dei 200 misti aveva già vinto in staffetta e a farfalla, la specialità di tuo papà”.

“Papà. Lui è mai stato alle Olimpiadi”?

“No. È uno che si diverte a nuotare, ma si stanca presto e non ha tante ambizioni. Insomma c’era questa gara da fare. Insieme a lui nuotava il suo rivale di tante battaglie, quasi tutte vinte da Michael: Ryan Lochte. Un americano che allenava i suoi muscoli usando come pesi i copertoni delle ruote e i tronchi degli alberi. Poi c’erano tanti nuotatori giovani che magari prima o dopo le gare correvano da lui a farsi fare l’autografo. Già. L’autografo”.

“Che c’è? Perché ti sei messo zitto”?

“No. Niente. Insomma in quella gara Phelps è stato leggendario. Ha schiantato chi ha provato a stargli dietro. Pereira e Lochte hanno provato a stare sulla sua scia, ma sono finiti sfiniti. Michael ha di nuovo fatto vedere chi è il più forte e lo ha dimostrato ancora anche a Ryan. Nel passaggio dorso-rana è stato grandissimo. È stata una delle finali più belle che abbia mai visto. Ricordi quando ti ho detto che quella che mi aveva emozionato di più erano stati i 100 farfalla di Roma nel 2009? Lì l’uomo pesce aveva battuto un certo Čavić sul filo di lana. Non so se questa gara ha superato quella come emozione vissuta, ma non importa perché poi c’è stata un’altra gara ancora più entusiasmante”.

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“C’era ancora l’uomo pesce”?

“No. Non esager… oddio, ha fatto i 100 farfalla poco dopo”.

“Cosa? Non parlare sotto voce”.

“Oh. Scusa. No. Adesso ti voglio raccontare dell’altra gara”.

“Voglio sentire ancora dell’uomo pesce”.

“Aspetta. Poi si ricomincia con Phelps. Allora. C’è stata una gara a stile libero, quello che nuota mamma”.

“…”

“No. Neanche lei è mai stata alle Olimpiadi. Si è sempre accontentata di essere la campionessa del quartiere. Insomma c’è stata la finale dei 100 metri stile libero donne. È stata la gara più folle e sorprendente dell’anno. Quindi stupenda! Le favorite erano due sorelle australiane chiamate Bronte e Cate Campbell. Ma che favorite? Per loro sembrava che fosse una passeggiata vincere l’oro e l’argento. Invece stai a sentire.

Ti faccio la cronaca.

Cate parte troppo forte anche per lei e Bronte cerca di starle vicino per farle lo scherzetto come al Mondiale dell’anno prima. Pensano che i 100 stile siano roba loro, come una faida familiare. Il passaggio ai cinquanta metri di Cate è spaventosamente veloce. Il ritorno di alcune atlete è impressionante. In tv si vede l’australiana con tutto il corpo davanti alle altre per un po’, ma a venticinque metri dall’arrivo è appaiata dalle avversarie. La Manuel, sorpresa impronosticabile se non per il fatto di essere un’americana alle Olimpiadi, vede Cate vicino e le viene l’acquolina in bocca. Cate arranca. La svedese Sarah Sjöström  fatica a stare sui suoi tempi, dopo tutte le gare disputate, e vincerà il bronzo per “eccesso di cadaveri lasciati alle spalle” (un po’ come Hagino e Wang, arrivati secondo e terzo nei 200 misti grazie all’annegamento, si fa per dire, di Pereira e Lochte.)

Chi non risente delle fatiche dei giorni passati è una ragazza, tale Penny Oleksiak, che a sedici anni ha già una lunga serie di “record canadesi di tutti i tempi”. I suoi ultimi 25 metri sono spaziali. Si avventa sulle avversarie e vince l’oro a pari merito con l’americana. A proposito! La Manuel, è la prima ragazza di colore a vincere un oro a stile libero. A quei tempi questo evento era qualcosa di storico. Oggi non ci fa più caso nessuno, che vinca un bianco o uno di colore”.

“Ahahahahahahahah. Nonno”!

“Sì. Che c’è? Perché ridi”?

“Ti muovevi tutto. Eri diventato tutto rosso. Agitavi le mani. Ho alzato il braccio e non mi hai nemmeno visto. Aahahaha. Eri buffissimissimo”.

“Ah. Eh, sì. Quella gara mi ha preso così tanto che mi è sembrato di riviverla. Già. C’era anche una brava olandese, finita quinta, e poi… vuoi sapere un segreto”?

“Sì”.

“Ma non dirlo a nessuno”.

“Allora. Come ti ho detto erano due le sorelle australiane. Una era Cate, che fin lì aveva sempre avuto problemi a reggere la pressione dei grandi eventi e che poi invece esploderà e vincerà tantissimo. L’altra era Bronte. Ti ho già detto che nel tentativo di stare dietro alla sorella, è partita troppo forte anche lei e alla fine non ha vinto nemmeno una medagliuccia di bronzo, andata alla Sjöström. Però, dai, pensaci. Anche quella volta, come l’anno prima, ha finito una gara davanti alla sorella. Quarta contro settima. Cate ce l’avrà voluta in camera”?

“Questo sarebbe il segreto”?

“Oh. No. Ahahah. Il segreto è che per Bronte avevo un debole. Seguivo tutte le sue gare in tv e su internet. Cercavo ogni notizia su di lei. Poi un giorno, dopo il Mondiale di Kazan, in Russia, che ero andato a vedere, l’ho vista in aeroporto. Sono stato lì a pensare di chiederle l’autografo e non l’ho fatto perché non volevo darle noia”.

“Ahahahahaha. Che scemo! Se c’ero io ti facevo dare anche il numero di telefono, nonno”.

“Eccolo lui! Si starà a vedere quando sei grande cosa combini. Su. Adesso dormi”.

“No. Non voglio dormire. Me la racconti ancora questa storia”?

“Ancora? Se vuoi, ti faccio vedere il video di quelle gare. È facile trovarlo”.

“No. Racconta. A parole è più bello”.

 

(foto copertina: Giorgio Scala | Deepbluemedia.eu)

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