Una chiacchierata chiarificatrice con il Dottor Gustavo Savino, specialista in Medicina dello sport e Farmacologia clinica (Centro Regionale Antidoping dell’Emilia-Romagna, AUSL di Modena).

Come promesso la scorsa settimana, il Dottor Savino ci aiuta a capire cosa sia il PASSAPORTO BIOLOGICO, come funziona e se serve davvero!

Oggi volevo approfondire la questione del PASSAPORTO BIOLOGICO.

Quando e come è nato? Con quali obiettivi? A che punto siamo?

Il PASSAPORTO BIOLOGICO è nato nel 2003 nel calcio (in Italia, come “Passaporto Ematologico dell’atleta” [Cazzola M. et al.]) e applicato successivamente nel ciclismo, che è da sempre uno degli sport più attenti alla questione doping, nonostante sia inondato da queste pratiche. È nato grazie alla pratica della Suivi Médical una pratica del ciclismo internazionale (con paternità francese) che possiamo tradurre con sorveglianza medica degli atleti.

Il PASSAPORTO BIOLOGICO è nato come un protocollo di esami del sangue da proporre agli atleti periodicamente (a volte anche con cadenza quasi quotidiana) per valutarne i parametri biofisici (più o meno i normali parametri che vengono valutati anche a noi quando facciamo gli esami del sangue: la funzionalità del fegato, del pancreas, dei reni, emocromo, emoglobina, …) con l’obiettivo di tenere controllati questi parametri nel tempo, valutarne le eventuali variazioni e poter studiare se si trattava di una variazione fisiologica (dovuta all’attività fisica svolta) o non-fisiologica (derivante da una patologia in atto o dall’assunzione di sostanze che alterano questi valori).

L’obiettivo era di EVIDENZIARE INDIRETTAMENTE gli effetti della sostanza proibita assunta o di un suo metabolita.

Successivamente la comunità scientifica internazionale, in collaborazione con alcune federazioni sportive e la WADA, ha sviluppato questa idea di variazione dei parametri ematici negli sport di resistenza arrivando alla definizione di PASSAPORTO BIOLOGICO DELL’ATLETA (WADA, 2009).

Questa idea sviluppata per il ciclismo è stata in seguito esportata in altre discipline sportive in forma sperimentale e si auspica che il passaporto biologico venga adottato a livello internazionale in tutte le discipline sportive (ma ancora così non è…).

Attualmente nelle varie NADO (Agenzie Anti-Doping Nazionali, N.d.R.), quindi anche in Italia, ci sono tavoli di lavoro sul passaporto biologico: ne fanno parte esperti della commissione di vigilanza sul doping, esperti dei laboratori antidoping (in Italia soprattutto quelli del principale laboratorio antidoping del CONI, quello con sede all’Acquacetosa di Roma). Questi esperti si riuniscono periodicamente per studiare come selezionare e affinare gli esami da inserire nel passaporto biologico per evidenziare quali sono i migliori parametri da considerare e i metaboliti da ricercare per capire indirettamente se l’atleta sta facendo uso di sostanze dopanti. Inoltre si stanno sperimentando nuove configurazioni del passaporto biologico per implementare le caratteristiche della versione attuale.

Ma in pratica, com’è fatto fisicamente un PASSAPORTO BIOLOGICO?

L’atleta deve averlo sempre con sé o solo durante le competizioni? A cosa serve? Quale utilità possiede?

Come si inserisce nel programma antidoping? E chi lo gestisce?

È una sorta di libretto/fascicolo, ma esiste soprattutto in versione digitale e l’atleta deve averne una copia in competizione. Serve ad identificare gli atleti, a predisporre test mirati in base allo sport praticato e in base ai risultati dei dati del passaporto e quindi a perseguire e a sanzionare le violazioni del codice antidoping.

In sostanza è gestito dai medici delle federazioni sportive.

Come è strutturato attualmente il passaporto biologico?

A oggi il passaporto biologico comprende 3 distinti moduli: il modulo ematologico, quello steroideo e il modulo endocrinologico.

Il modulo ematologico, applicato per prima dall’UCI (Union Cycliste Internationale) nel 2009, riporta alcuni parametri ematologici dell’atleta, tra i quali: globuli rossi, emoglobina, ematocrito, ecc. con lo scopo di identificare l’uso di agenti stimolanti l’eritropoiesi, il potenziamento del trasporto di ossigeno, l’uso di trasfusioni ematiche e qualsiasi forma di manipolazione ematica (tutte pratiche/sostanze vietate, N.d.R.).

Il modulo steroideo si basa invece sull’analisi del campione di urine, nel quale vengono ricercati tra gli altri il testosterone, l’epitestosterone e altri metaboliti ormonali allo scopo di evidenziare l’utilizzo di anabolizzanti steroidei.

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Come vengono raccolti i campioni e come invece gestiti i risultati?

Le linee guida operative della WADA stabiliscono i criteri da seguire per organizzazioni antidoping che utilizzano il passaporto biologico in modo da standardizzare le procedure riguardo alla raccolta, trasporto e analisi dei campioni e alla gestione dei risultati. Inoltre, all’interno del programma di monitoraggio, vengono evidenziati i parametri fondamentali e specifici per ogni sostanza – i marcatori specifici o marker – per identificare e dimostrare l’uso di una tecnica o di una sostanza proibita.

Ad esempio, per dimostrare l’uso di sostanze anabolizzanti si vanno a ricercare dei marcatori steroidei specifici nelle urine, oppure si usa un marcatore specifico di alterata eritropoiesi per confermare/escludere la manipolazione ematica (dal potenziamento del trasporto dell’ossigeno alle trasfusioni ematiche!).

Una volta ottenuti risultati delle analisi biologiche dei campioni (di sangue o di urina), al momento ancora in forma RIGOROSAMENTE ANONIMA, una specifica unità di lavoro si occupa di creare il profilo dell’atleta (che non sappiamo chi sia, in questa fase…), di applicare un modello statistico per analizzare statisticamente i risultati biologici, di inviare al gruppo di esperti le analisi statistiche per avere conferma/smentita che le variazioni siano significative e di correggere il processo sulla base della revisione del gruppo di esperti.

Cosa si intende per PROFILO DELL’ATLETA?

Il gruppo di esperti può valutare il profilo biologico “normale” e allora si procede con la normale attività di controllo, oppure “sospetta” e allora si prevedono test più specifici sulla sostanza da evidenziare.
Ancora può emergere un profilo “doping”ed in questo caso si rimanda ad altri esperti in quella materia, i quali all’unanimità devono confermare o smentire l’ipotesi “doping”. In caso di conferma viene aperta una procedura di violazione del codice antidoping e a questo punto viene avvisato l’atleta il quale a sua volta dovrà presentare tutti i documenti aggiuntivi richiesti per far luce sul proprio caso!
Infine può emergere il profilo “patologia” ed in questo caso chiaramente tutto passa per le mani di medici per accertamenti.

Ma allora questi meccanismi che ci hai descritto dovrebbero favorire in qualche modo l’individuazione degli atleti dopati? Perché se sono costretti ad alimentare continuamente il fisico con le pratiche dopanti per mantenere in “efficienza” il corpo, dovrebbe essere più facile per l’antidoping coglierli!

In realtà al momento l’antidoping funziona e ha valore legale quando si trova la sostanza, non quando si riconoscono “gli effetti collaterali” dell’assunzione del doping (quindi non basta riconoscere la “patologia” o l’alterazione di un parametro probabilmente legata all’assunzione di sostanze dopanti).
Nel senso che anche se io vedessi in un atleta tutte le caratteristiche del soggetto che potrebbe aver assunto una determinata sostanza dopante, ma non trovo la sostanza dopante nelle analisi non posso sanzionarlo!
Anche i cosiddetti test indiretti non hanno valore legale. L’unico modo legale per sanzionare un atleta è quello di fare delle analisi mirate, trovare la sostanza e stabilire che quella sostanza non è prodotta dal corpo dell’atleta ma ha origini e provenienza esterne.

È per questo motivo che è nato il PASSAPORTO BIOLOGICO, che permette di capire (e seguire, N.d.R.) lo stato di salute dell’atleta nel corso della sua carriera sportiva. Il PASSAPORTO BIOLOGICO permette di registrare (e quindi osservare) come variano i parametri biochimici e fisiologici di un atleta. Osservando le eventuali variazioni è possibile fermare, in via precauzionale (e per la sua salute) un atleta in caso di variazioni significative di questi parametri per sottoporlo ad analisi più approfondite.

Prendiamo ad esempio il ciclismo. Un atleta che si presenta a un controllo antidoping deve mostrare il proprio passaporto biologico per dimostrare al medico che effettua il controllo che tutto stia andando bene nel percorso “di salute”.

Anche in questo caso secondo te verrà utilizzata l’obiezione economica (“costa troppo”) per non applicarlo a tutti gli atleti? Oppure il passaporto biologico avrà un costo sostenibile?

In realtà ha un costo molto sostenibile! Il passaporto biologico rispetto ai controlli antidoping costa circa 10 volte meno.

Il grosso limite dei controlli antidoping è che spesso non sono mirati: adesso i controlli antidoping prevedono che vengano ricercate tutte le sostanze a tutti gli atleti, non sono sport/specifici (e questo li rende molto costosi, N.d.R.).

Ad esempio se si fa il controllo antidoping ad un sollevatore di pesi è inutile andare a cercare eritropoietina, ma si andranno a cercare gli anabolizzanti; se pensiamo ai controlli sui giocatori di scacchi (questo gioco è nell’elenco degli sport, N.d.R.) non ha senso invece andare a cercare gli anabolizzanti!

Sarebbe invece più utile riuscire a fare dei pannelli di controlli antidoping collegati al tipo di sostanze utili per ogni sport, mirati alla disciplina. Ma capisco che questa sia decisamente un’idea complessa da tradurre in pratica (per svariati motivi, e non solo dal punto di vista “tecnico”).

Invece per fortuna esiste già la distinzione tra sostanze vietate solo in gara e sostanze vietate sempre.

Nel prossimo appuntamento ci ritroveremo per analizzare, sempre in compagnia del Dottor Savino, il ruolo dei medici nella questione doping.

E, vi assicuro, ci saranno spunti davvero molto interessanti! Per ora… buona lettura e buon fine settimana!

(Foto copertina: Passaporto biologico  | www.arabscoach.com)